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Buco, urgenza e adolescenza

25 Mar 16

A cura di Alex Pagliardini

Se l’analista realizza qualcosa di simile all’immagine popolare o anche a quella deontologica dell’apatia è nella misura in cui egli è posseduto da un desiderio più forte dei desideri di cui potrebbe trattarsi, come quello di passare per vie di fatto con il suo paziente, di prenderlo tra le braccia oppure di buttarlo giù dalla finestra.1

 

 

Mancanza/Buco

 

La clinica contemporanea deve fare i conti spesso, e in alcuni luoghi sempre, con l'urgenza. Come possiamo intendere questo tratto? Come possiamo intenderlo quando si presenta associato a quella che ormai siamo soliti chiamare adolescenza?

Possiamo partire da quella che mi sembra una preziosa indicazione di Lacan. L'urgenza è prodotta dall'incontro del soggetto con un buco nella propria esistenza, incontro che va ben distinto da un altro, forse più noto e più frequente, ossia l’incontro con la mancanza. Un buco è cosa ben diversa da una mancanza come ribadisce spesso Lacan.

Un modo semplice, anche se molto riduttivo – riduzione che tuttavia ritengo accettabile per lo scopo di questa riflessione –, di intendere la differenza tra mancanza e buco si può ricavare dall’esempio della libreria. In una libreria sono disposti secondo un ordine, un funzionamento, un principio, dei libri. Se viene a mancare un libro – o più libri – là dove, in base al principio di collocazione, era prevista la sua presenza, abbiamo a che fare con una mancanza. Nella libreria là dove doveva esserci un libro c'è una mancanza. Il libro “manca al suo posto”, il libro “è assente là dove doveva essere presente”. Immaginiamo di essere noi a cercare nella libreria in base al principio in cui sono stati ordinati i libri e nel posto in cui doveva esserci ad esempio “Lo Straniero” di Camus troviamo “niente”, un posto vuoto. In quel momento facciamo l'esperienza della mancanza. Tutt'altra è la struttura del buco. Se manteniamo l'esempio della libreria il buco come esperienza assomiglia invece alla scomparsa improvvisa di tutti i libri che dovevano essere presenti. Ciò ci fa intendere l'esperienza del buco ma non coglie il segno della sua struttura. Per intendere tale struttura dobbiamo pensare alla nostra libreria nella quale non tanto vengono a mancare uno o più libri – o tutti i libri – ma salta improvvisamente il principio con cui tali libri sono stati ordinati, il principio che ne regola la distribuzione. I libri sono tutti presenti ma è impossibile trovarli perché si è spezzato il principio, il funzionamento della libreria. I libri sono tutti lì ma sono diventati un buco.

 

 

Adolescenza e urgenza

 

Non entro nel merito delle ragioni per cui la clinica contemporanea debba fare i conti regolarmente con questa esperienza del buco e dunque con la conseguente dimensione dell'urgenza. In questa sede mi limiterò ad alcune riflessioni frutto della mia esperienza e di quella di alcuni colleghi, esperienza relativa al tentativo di praticare la psicoanalisi all'interno di un servizio pubblico, le cosiddette Asl, in una zona di confine, Ostia, ed esclusivamente con gli adolescenti. In tale contesto l'urgenza è la norma. Ogni adolescente si presenta al servizio in uno stato di urgenza, spesso non porta che questa urgenza: qualcosa di insopportabile da eliminare immediatamente.

Alcune caratteristiche dell'adolescenza, sulle quali convergono oramai molte interpretazioni, spiegano in parte questa situazione.

L'adolescenza è un punto di rottura nel dispiegamento della storia del soggetto. La perdita della propria immagine, la perdita della propria posizione simbolica rispetto all'Altro genitoriale, l'irruzione del corpo pulsionale, sono le tre grandi coordinate di questo punto di rottura. Questo momento è per certi versi compatibile con quello a cui abbiamo accennato prima; l’adolescenza è l’incontro con una mancanza, con l'esperienza della mancanza e dell'eccesso come rovescio di questa stessa mancanza. Il soggetto in adolescenza incontra improvvisamente e ripetutamente la mancanza di un libro là dove questo era solito essere presente. Nella trama del soggetto si apre una faglia. Il ripetersi di questa mancanza, del libro che “manca al suo posto”, si fa sentire ben presto come un troppo, come una mancanza di troppo, dunque come un eccesso.

Seguendo il nostro ragionamento sembra plausibile affermare che gli adolescenti di oggi, i cosiddetti nuovi adolescenti2 testimonino non tanto e non solo dell’esperienza improvvisa e ripetuta della mancanza quanto dell’esperienza improvvisa e ripetuta del buco.

Per molti versi le coordinate dei nuovi adolescenti sono quelle di sempre: perdita della propria immagine, perdita delle posizione simbolica, irruzione del corpo pulsionale. Queste si declinano però in una modalità che rende ragione più dell'esperienza del buco, e dunque dell'urgenza, che di quella della mancanza, e dunque del disagio. L’adolescente di oggi non fa tanto l’esperienza di una faglia all’interno della propria trama soggettività – saremmo così nel campo della mancanza – ma della radicale assenza di una trama soggettiva rispetto a quel che gli sta capitando – siamo qui nel campo del buco.

Tra le molte ragioni che spiegano questo cambiamento possiamo menzionare anche tre caratteristiche della contemporaneità, dell’Altro della nostra contemporaneità: saturazione e rigidità del registro immaginario, anonimato e impotenza del registro simbolico, rifiuto e dunque proliferazione del reale. Queste tre caratteristiche, che evidentemente andrebbero ampiamente argomentate – ma non è questo l’oggetto del presente scritto – spiegano come mai quella rottura che realizza l’adolescenza invece di prendere la declinazione della mancanza prenda oggi la declinazione del buco. Una rottura si dà come mancanza se l’Altro nel quale avviene è in grado di offrirle un posto come tale – torniamo così all’esempio della libreria. Una rottura si dà come buco se l’Altro nel quale avviene non contempla alcun tipo di rottura ma anzi, al contrario, la necessità dell’inesorabilità del funzionamento. In tale Altro la rottura diventa buco, cioè compromissione del funzionamento rispetto alla rottura in corso.

Prendendo per valida questa tesi, ossia che i nuovi adolescenti non fanno tanto l'incontro con una mancanza nel tessuto della propria esistenza quanto con un buco della stessa, ne consegue che i nuovi adolescenti non sono portatori solo o tanto di un disagio quanto di un'urgenza.

 

Il desiderio dell’analista

 

Che cosa produce questa urgenza dell’adolescente presso lo psi di turno che la accoglie? – a maggior ragione se ciò avviene all'interno di un servizio nel quale l’urgenza dell’adolescente è la norma.

Produce fretta, l'urgenza degli adolescenti produce necessariamente fretta presso chi la riceve e la accoglie. Lo psi di turno si ritrova, spesso suo malgrado, attraversato dalla fretta e questo solo perché ha impattato nell'urgenza di chi si rivolge a lui.

Occorre attivarsi e risolvere il problema – senza che si sappia minimamente quale sia – il prima possibile. Se non si fa in fretta l'adolescente di turno perderà l'anno scolastico, si farà del male, sprofonderà nella droga, finirà in carcere, eserciterà violenza sui genitori. L'urgenza degli adolescenti non può non provocare la fretta in chi la accoglie. Aggiungo, non può che provocare la fretta in chi la accoglie se chi accoglie tale urgenza risponde dalla posizione di soggetto.

Applicare la psicoanalisi in contesti di frontiera significa certo inventarsi modi nuovi di applicarla e arrangiarsi con quel che c’è, ma allo stesso tempo significa tenere ben presenti le fondamenta della propria pratica. Anzi penso si possa dire che più si opera in situazioni limite più le fondamenta della propria pratica vadano fatte funzionare, rese operative.

Andiamo allora alle fondamenta. L’analista non risponde al disagio del paziente, in tal caso all’urgenza dell’adolescente – stiamo riflettendo sull’urgenza, su come trattare l’urgenza dell’adolescente, non stiamo qui dicendo quel che occorre fare in generale con gli adolescenti3 –, facendo valere la propria presenza di soggetto, cioè la propria mancanza e la propria strategia per risolverla. L’analista da un lato risponde facendo funzionare il luogo dell’Altro, rendendo operativa tale dimensione, ossia facendo funzionare uno spazio di articolazione e dispiegamento di quel che il paziente porta, nel nostro caso l’urgenza che l’adolescente porta. Se si riesce a far valere questo spazio, la funzione dell’Altro, l’urgenza dell’adolescente può trovare un dispiegamento e dunque una propria significazione – da qui un’attenuazione. Se si risponde dalla posizione di soggetto, cioè dalla posizione di chi cerca e vuole qualcosa, questo non può che determinare una collusione tra l’urgenza dell’adolescente e la fretta dell’analista.

Ma l’analista, e siamo ancora alle fondamenta, non deve solo fare funzionare il luogo dell’Altro, tenere questa posizione e darle corpo, ma deve al contempo dare corpo e dare consistenza anche alla funzione dell’oggetto, ossia incarnare un’incognita e presentificare un’insistenza rispetto a quel che l’analizzante porta.

Rispetto al nostro ragionamento occorre che sin dai primi colloqui l’analista riesca, rispetto all’urgenza dell’adolescente, a far risuonare un’incognita e la dimensione pulsionale in gioco in questa urgenza. Se e solo se riuscirà a fare ciò è possibile che si isoli un punto di angoscia rispetto a quel che sta capitando all’adolescente, punto a partire dal quale rilanciare una soggettivazione, o detto altrimenti punto a partire dal quale rimettere in piedi una trama soggettiva dopo il crollo dato dall’incontro con il buco. Si nota qui quanto la clinica dell’urgenza, almeno nella sua declinazione nel tempo dell’adolescenza, sia una clinica dell’angoscia, dove cioè occorre ricollocare l’angoscia nel posto giusto. Dall’angoscia diffusa e indifferenziata del tempo dell’urgenza occorre estrarre un punto di angoscia particolare per ciascuno, punto che segnala il come è avvenuto l’incontro con il buco, il come la rottura dell’adolescenza è diventata un buco per quel particolare paziente.

Non si tratta dunque di disangosciare l’urgenza dell’adolescente ma di trattare questa urgenza facendo sorgere l’angoscia nel posto giusto, ossia “nel posto particolare dove sta” per un determinato paziente.

Da un lato dar corpo all’Altro permette sicuramente il dispiegamento dell’urgenza e dunque dell’angoscia, ma dall’altro, ed è questo il punto decisivo, operare come oggetto permette di produrre l’angoscia in un determinato punto, punto che diventerà il perno da cui attivare una nuova soggettivazione di quanto sta accadendo.

Per intendere come fare a dare corpo alla funzione dell’Altro e a quella dell’oggetto al cospetto dell’urgenza dell’adolescente – a maggior ragione se questo avviene all’interno di un servizio dove non capitano che queste situazioni e in un contesto come quello di Ostia dove spesso il “degrado” dei legami caratterizza non solo il presente di questi adolescenti ma anche la loro infanzia, infanzia di cui come è noto l’adolescenza è una riattualizzazione – mi sembra ancora una volta fondamentale tornare alle fondamenta. In uno dei suoi testi fondamentali, Lacan indica appunto una serie di passioni come ostacolo e minaccia alla funzione dell’analista4: il timore dell’ignoranza, la passione di non deludere e l’esigenza di mantenere la propria superiorità sul paziente. Queste passioni vanno evitate sempre, e a maggior ragione, aggiungo, al cospetto dell’urgenza dell’adolescente. Evitare queste passioni è possibile solo mettendo in campo qualcosa di “più forte”, cioè il desiderio dell’analista – ed ecco che troviamo un altro fondamento. Mettere in gioco il desiderio dell’analista, cioè un desiderio che non domanda niente ma che è preso solo dall’esigenza di dare corpo alla funzione del desiderio, è quel che permette di non scivolare nelle passioni sopra indicate, di non farsi prendere dalla fretta e dunque di non rispondere dalla posizione di soggetto, ma al contempo è quel che permette di non dormire, di non sedersi nell’impotenza, di non cullarsi nella chiacchiera del senso, ma di introdursi come un taglio nel discorso dell’adolescente, e di farlo “in tempi brevi” – altrimenti l’urgenza prenderà il sopravvento relegando nell’irrilevanza il percorso di cura.

Non bisogna dimenticare, a proposito di questo ritorno alle fondamenta proprio là dove si opera in e con luoghi di frontiera, che l’urgenza è al fondo di ogni esperienza di analisi, che è al centro dell’esigenza che morde qualsiasi analizzante e che dunque la pratica analitica è da sempre in relazione con l’urgenza – che evidentemente un tempo, e ancora oggi ma in altri contesti rispetto a quello qui preso in esame, era semplicemente meno manifesta e meno assoluta.

Forse non è del tutto inutile ricordare quanto sia importante, affinché si possa trattare l’urgenza dell’adolescenza senza la fretta e senza dormire, non solo la propria formazione ma anche e soprattutto un costante lavoro di équipe nel quale tenere in esercizio quel che qui abbiamo evocato, ossia il desiderio dell’analista.

 

1 J. Lacan, Il Seminario. Libro VIII. Il transfert, Einaudi, Torino, 2008, p. 203.

2 A tal proposito si veda Simona Bani, I nuovi adolescenti. Cosa ci chiedono?, Di Girolamo, Trapani, 2009.

3 Per una trattazione del problema rimando all’ottimo testo di Francesco Giglio, Il disagio della giovinezza, Bruno Mondadori, Milano, 2013.

4 J. Lacan, La direzione della cura, in Scritti vol. I, Einaudi, Torino, 2002.

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