Prima di iniziare a parlare ci guardammo negli occhi, giusto il tempo di comprendere la sua semplicità. Le sue parole dirette e a tratti pungenti raccontano di una passione, l’amore per la fotografia non già intesa come professione ma come un pretesto per rischiare, per vivere. Una passione che ha sempre trovato rinnovamento nelle diverse sfaccettature della vita stessa, dove la stabilità è paragonata alla morte.
Lo definisce un uso nazional popolare, secondo il quale tutti sembrano artisti anche se fare fotografia vuol dire manifestarsi, esprimere se stessi. Con un cellulare in mano anche una scimmia ci farebbe un ritratto; se avesse una matita non sarebbe altrettanto semplice.
Allo stesso modo le lettere dell’alfabeto sono a disposizione di tutti, ma solo Dante ha scritto la Divina Commedia. La macchina fotografica, il cellulare sono strumenti ma non il fine.
Qualsiasi cosa si faccia ci vuole pensiero, poiché conta ciò che si è attraverso ciò che si fa.
La chiacchierata prende la strada dei giovani e Franco racconta di come oggi si viva di superficialità. I giovani viaggiano in lungo e in largo, sono ormai cosmopoliti, eppure conoscono ben poco.
Oggi tutti vogliono diventare “qualcuno”, mentre basterebbe adempiere al dono della vita ed essere ciò che si è, realizzando semplicemente se stessi.
A un certo punto Franco utilizza un termine: “Identificarsi”, trovare la propria identità senza pensare alle conseguenze; e mi fa l’esempio di una mela, la quale non può essere diversa, non può cioè avere un gusto differente, per cui se a qualcuno non piace la mela, allora pazienza, mangerà altro. Se a qualcuno non piacciono le foto di Franco Fontana, il problema è di chi guarda; mentre è nel “di” che si conserva l’autenticità dell’autore, dell’appartenenza di pensiero. Siamo portati a credere che sia sufficiente acquisire la tecnica per essere buoni fotografi, ma è inutile leggere il libretto d’istruzioni; bisognerebbe piuttosto vivere la creatività: leggere molti libri, guardare altrettanti films, andare ai concerti, viaggiare.
E – mi sottolinea – non per trarre ispirazione ma per vivere divertendosi e giocando, senza perdere mai gli occhi e l’entusiasmo del bambino, la voglia di sperimentarsi.
Si dice “acqua di sorgente” lui, un sasso che cade dalla montagna senza avere alcuna strada tracciata, sorge da sé stesso e in sé trova nutrimento. Pertanto consiglia ai giovani di restare umili, semplici sempre, per trovare la propria strada e percorrerla senza paura, per parlare e dire ciò che si vuole attraverso il linguaggio delle immagini. Mi spiega che tiene seminari, workshop in tutto il mondo, ma non insegna nulla.
E’ uno scambio reciproco, tra donare e ricevere. Il compito è quello di risvegliare l’artista che c’è in ognuno dei partecipanti. Basta guardare infatti la mostra “Quelli di Franco Fontana” per comprendere le parole del Maestro: ognuno di loro ha una Personalità artistica ben distinta, possono piacere o meno, avere successo oppure no, ma non sono la copia di nessuno.
Le sue parole appassionano e affascinano e così gli chiedo una cosa che mi sta molto a cuore: l’idea che ha della figura femminile. Sorride e mi mostra alcune delle foto contenute nell’opera “Piscine”. Mi spiega come il suo sia un nudo pulito: frazioni di corpo, non sempre evidenti. “In nudo veritas”, è una verità semplice, mai volgare. Nasce a tal proposito un parallelismo con la pittura che mi dice essere astrazione, mentre la fotografia registra sempre un pezzo di realtà, pertanto l’astrazione è nella mente del fotografo. Una scultura o un quadro di un nudo sono mediati poiché non esistono realmente. La fotografia invece scuote l’animo di chi la osserva, perché si mostra con tutta la sua sfrontatezza, perché mostra il reale. Eppure non vi è nulla di male o alcuna volgarità se non nella mente e nel cuore dell’osservatore. Franco nei suoi scatti contempla e adora ogni donna, non ritrae mai il volto femminile dando un’identità alla modella, il suo è un messaggio universale. Addirittura paragona la donna alla luce, che è tutto nella fotografia, dicendomi che un mondo senza la donna sarebbe un mondo buio. Come contraddirlo… Saremmo portati a vedere in lui un grande professionista che ha potuto vivere della sua arte e guadagnato non solo copertine e riconoscimenti internazionali, ma Franco Fontana è un fotografo professionista quando viene contattato da Fiat, o pagato da Vogue per lavorare nella moda, fare una campagna pubblicitaria, ecc. Ma fotografare è un pretesto per continuare a vivere, per sperimentarsi e rischiare. Lui come un latino si lascia condurre dalla vita, cercando di rendere visibile l’invisibile.
La sua è una fotografia di rimozione, dove il dettaglio trova significato attraverso il suo sguardo. Bisogna che le cose un po’ ci appartengano per fotografarle, lasciare che il paesaggio entri dentro di noi e attraverso la nostra mente, le nostre emozioni possa esprimersi. Ogni cosa è in continuo cambiamento in quanto noi stessi, l’occhio di chi guarda, è in continuo mutamento, poiché la vita, gli stati d’animo e il pensiero stesso cambia in ogni momento cambiando ciò che ci circonda e ciò che ci sta intorno cambia attraverso di noi.
Una chiacchierata intensa e coinvolgente che lascia riflettere al proprio modo di guardare la Fotografia. Una personalità carismatica, rimasta umile nel tempo. Non ci parla di tecnicismi o scelte estetiche ma senza alcuna retorica ci invita a riflettere e a utilizzare più che la fotocamera la testa: “Fotografate quello che pensate!”.
“La sua è una fotografia di
“La sua è una fotografia di rimozione..” Mi piacerebbe comprendere meglio il senso che l’autrice vuole esprimere…….
Cara Simonetta, la fotografia
Cara Simonetta, la fotografia del maestro F.Fontana è un originale interpretazione del paesaggio, letto spesso attraverso strutture geometriche essenziali, elementi semplici, colore vivace. L’immagine che ne scaturisce è una foto ripulita da elementi ritenuti superflui. In questo senso, l’autore, nel curare la composizione, cerca di “rimuovere” tutto ciò che , a suo modo di vedere, non serve. Lo stesso F.Fontana dice: “non esiste quello che vedete, esiste quello che fotografate”. Il dettaglio che emerge sul tutto assume un significato pregnante. Spero di essere stata esaustiva.