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CASO NASTA: RINVIO A GIUDIZIO PER 5 PERSONE. LA LETTERA DELLA MAMMA.

11 Dic 15

A cura di Rossana Putignano

Riporto qui la lettera aperta di Marisa Toraldo, la mamma di Alessandro Nasta, nocchiere della Vespucci deceduto nel 2011 a bordo della nave. Ieri, la notizia del rinvio a giudizio per 5 persone.

“In merito al rinvio a giudizio degli imputati per la morte di mio figlio Alessandro, ciò che mi preme ribadire è che, durante questa attesa, sia io che la mia famiglia, abbiamo deciso di non voler dar spazio unicamente alla rabbia, ma di voler seguire la strada migliore per poter capire le reali circostanze e le responsabilità che hanno determinato la morte di Alessandro. La conferma del rinvio a giudizio è un momento importante, attraverso il quale, in base a quanto emerso dalle indagini ed agli atti che verranno messi in luce, sarà possibile poter fare chiarezza sugli effettivi scenari che hanno portato al tragico evento. Sono convinta che, in linea con la normativa sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro, si possa promuovere il rispetto della legalità, condizione indispensabile affinchè drammi di questa portata non si debbano riproporre. Durante il periodo delle indagini avrei voluto urlare al mondo ciò che realmente provavo ma non l'ho fatto, per profondo rispetto di chi si stava occupando del caso e perchè solo chi ha vissuto la perdita del proprio figlio può comprendere realmente il mio tormento. Alessandro aveva solamente 29 anni quando, comandato ad effettuare lavori in quota sull'albero di maestra della nave Amerigo Vespucci della Marina Militare, morì precipitando da un'altezza di circa 15 metri schiantandosi sul ponte di coperta. Mi sono sempre sforzata di decifrare tutte quelle mancate giustificazioni di una morte che, sin da subito, avendo visitato il luogo nel quale si era verificata, mi era apparsa drammaticamente prevedibile ed evitabile. Per un lungo periodo ho continuato ad interrogarmi sul perchè un dispositivo anticaduta non fosse riuscito ad evitargli quel tragico schianto, ma più mi tormentavo con le mie domande, più le risposte convergevano su una sconvolgente presa di coscienza, e cioè che la nave Amerigo Vespucci, il rinomato vanto della marineria italiana, di sicurezza non ne avesse affatto per salvare la vita di Alessandro. E' mai possibile che nel ventunesimo secolo esistano ancora realtà così distanti dai principi di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavorori, imposte ai lavoratori, in assoluto contrasto con i riferimenti normativi e militari, in nome di una assurda "tradizione"? Da madre che piange il proprio figlio, morto per quell'assurda tradizione, non posso far finta di nulla e non pretendere di conoscere la verità. Mio figlio non è morto in guerra, è morto durante una ordinaria esercitazione alle vele, una esercitazione straordinariamente lontana dalle condizioni minime di sicurezza stabilite dallo Stato, e durante la quale, nelle operazioni di salita e di discesa, avrebbe dovuto contare prevalentemente sulle proprie braccia e sulle proprie gambe. Mio figlio è stato ucciso da chi, incurante della legge, ha deciso scientemente di non attuarla, stabilendo che il rischio dei lavori in quota fosse marginale e che un ragazzo di 29 anni non avesse bisogno di un idoneo dispositivo anticaduta, di una formazione adeguata e tantomento di una idoneità espressa da un medico del lavoro. Tutto ciò non è ammissibile, non si può soprassedere. Alessandro ha prestato servizio in marina militare con profonda dedizione e con professionalità, a confermarlo ci sono i suoi colleghi, quei servitori dello Stato di cui purtroppo non si fa adeguata menzione e a cui costantemente rivolgo il mio pensiero. In questo momento è anche per loro che sento il bisogno di condividere il pensiero che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrisse nella prefazione del libro “Angeli senza ali, morti bianche e sicurezza sul lavoro”, Edizioni Lavoro 2008: "In nessun luogo i lavoratori possono essere trattati come numeri. Il più delle volte, tuttavia, le vittime degli infortuni sul lavoro sono quasi anonime, i loro nomi restano solo un giorno nelle pagine interne dei giornali di provincia, quasi fossero morti naturali. Solo di rado, nei casi di incidenti eclatanti, che coinvolgono più lavoratori, i grandi mezzi di comunicazione paiono assumere consapevolezza di un fenomeno drammatico e, quasi sempre, evitabile." Mi auguro che la morte di mio figlio possa essere motivo di riflessione per tutti e che, nella ricerca della giustizia, la sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolar modo nei lavori in quota, possa diventare una delle priorità assolute per la tutela dei lavoratori. Solo perseguendo la via della legalità si sarà fatto tanto per far sì che principi fondamentali, come quello della sicurezza sul lavoro, possano finalmente essere oggetto di condivisione, specie tra chi, come sancito anche dai regolamenti militari, per dovere proprio ha il compito di dover salvaguardare l'integrità fisica del personale dipendente. Per contrastare l’idea dell’inevitabilità di questi incidenti occorre una diversa cultura del lavoro, fondata sul rispetto della vita e sul primato di chi, con il proprio impegno e nel rispetto delle leggi, rende realmente onore al nostro Paese. Chiedo semplicemente giustizia e rispetto per chi, come Alessandro, nel compiere il proprio dovere, convinto di essere tutelato dalla propria forza armata, ha perso la vita lasciando un vuoto incolmabile. Sono una madre italiana che continua a credere nello Stato, convinta dell'importanza della legalità e della Magistratura, lo devo a mio figlio ed ai valori che gli avevo trasmesso. La sicurezza è, e deve diventare, la migliore delle tradizioni: è una questione di giustizia e di rispetto del diritto di tutela della salute nei luoghi di lavoro.”

Ieri 10 Dicembre 2015, massima commozione per la famiglia Nasta. Arriva così, dopo 4 anni di attesa, la notizia del rinvio a giudizio per 5 persone per la morte del nocchiere Alessandro avvenuta il 24 Maggio 2011, mentre lavorava ad alta quota (15 metri) sull’albero di maestra della A. Vespucci. Secondo la CTU medico-legale Alessandro sarebbe deceduto,impattando sul ponte a seguito di un malore, ma questa conclusione certamente non basta per liquidare frettolosamente due genitori che hanno perso il figlio. Da allora Marisa e Piero si sono sempre interrogati su quali avrebbero dovuto essere i dispositivi di sicurezza che avrebbero dovuto esserci, cosa è mancato, chi aveva delle responsabilità,cosa non è stato fatto, se Alessandro avesse potuto essere salvato. Queste e tante altre domande per 4 lunghi non hanno dato tregua a questi due genitori, impossibilitati ad elaborarsi il lutto, ma tra queste la più inquietante è sicuramente questa: “ Perché la Vespucci permette una “tradizione” così pericolosa come quella degli “acrobati del mare”, per i quali i dispositivi di sicurezza sarebbero addirittura da impedimento per la salita ad alta quota??” Ma c’è di piu’. Il DVR (Documento Valutazione Rischi) sembra che non venisse compilato “correttamente” e che Alessandro avrebbe dovuto essere chiamato per una visita medica che non è mai avvenuta; inoltre, il buon senso ci dice che Alessandro, avendo verosimilmente problemi di glicemia – come si evince da consulenza tecnica medico-legale – non avrebbe dovuto salire “ad alta quota” dopo aver lavorato sul ponte una intera nottata. Chi decide quali marinai debbano aprire le vele?chi valuta lo stato psicofisiologico dei giovani? Pare che quel giorno, o da sempre, si siano scelti dei volontari e che Alessandro si sia offerto spontaneamente, ma questa non è una buon alibi per scrollarsi di ogni responsabilità. Proprio di responsabilità si è parlato ieri a Civitavecchia con i rispettivi legali dei 5 imputati, 3 Ammiragli e due Capitani di Fregata, ovviamente tutte responsabilità negate, racconta la mamma Marisa. Ora ci chiediamo quali siano le responsabilità che questi individui hanno generalmente durante lo svolgimento delle attività, perché qualcosa dovranno pur fare! A tal proposito, ricordo che l’inchiesta della GdF sulla morte di Alessandro stabilisce che la vigilanza sulle norme, ”viene effettuata dal personale militare”, precisando che l’attività di prevenzione degli infortuni e di tutela della salute degli equipaggi delle unità navali, vede coinvolti anche i dirigenti e gli ufficiali responsabili di tali organizzazioni. Inoltre, per la GdF sono responsabili della compilazione del DTS (documentazione tecnica di sicurezza) la NAVARM, per le unità di nuove costruzioni, e la NAVISPELOG, perle Unità già in linea. La DTS è aggiornata a cura di NAVISPELOG anche a richiesta del Comandante dell' unità, ogni volta che siano apportate modifiche o trasformazioni a bordo e in occasione delle soste lavori. Un Consiglio di Sicurezza promuove, attraverso l’azione di ciascun Capo Servizio/Reparto/Componente, l’avvio delle procedure per l’aggiornamento del documento che raccoglie le schede di rischio con il concorso dell’U.M.M.C. Tali disposizioni però sono state modificare nel 2010 da un D.Lgs. 81/08 che ha individuato come unico datore di lavoro delle UU. NN. il rispettivo comandante, tuttavia senza avere le capacità culturali, formative, economiche ed organizzative previste per esercitare tali funzioni. Inoltre, l’analisi e la valutazione dei rischi, prerogativa esclusiva del datore di lavoro, provengono dalla stessa circolare, demandata a un ufficio in ambito di Comandi di Squadra Navale fino al 28 maggio 2012, cioè esattamente quattro giorni dopo l’incidente occorso ad Alessandro Nasta. Infatti, a decorrere da tale data il CINCNAV affida la realizzazione del DVR direttamente al singolo Comandante della Nave. Appare dunque improbabile che nessuno degli imputanti non abbia avuto un ruolo nella tragedia, seppur involontariamente, ma siamo costretti a sospendere ogni pensiero in questo senso in virtù del fatto che vige la presunzione di innocenza fino ai tre gradi di giudizio.

Fonti Bibliografiche: *Verbale GdF – Reparto Operativo Aeronavale Civitavecchia "Procedimento penale n.3060 /12 R.G. nr LA FAIA Domenico art. 589 c.p. Delega di indagini ai sensi dell'art. 370 c.p.p."

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