si sia mai scoperta una verità prima ignorata.
Cartesio, Discorso sul metodo. (Sesta parte)
Racconta Lacan: “C’est ainsi que le mot de Freud à Jung de la bouche de qui je le tiens, quand invités tous deux de la Clark University, ils arrivèrent en vue du port de New York et de la célèbre statue éclairant l'univers: ‘Ils ne savent pas que nous leur apportons la peste’, lui est renvoyé pour sanction d’une hybris dont l’antiphrase et sa noirceur n’éteignent pas le trouble éclat. La Némésis n'a eu, pour prendre au piège son auteur, qu’à le prendre au mot de son mot. Nous pourrions craindre qu’elle n'y ait joint un billet de retour de première classe”.[1]
A Lacan, che non fu esattamente un uomo di scienza, sfuggì il significato storico dell’aneddoto che dice d’aver raccolto dalla bocca di Jung: la presumibile ignoranza scientifica, in particolare biologica, di Freud. All’epoca del viaggio in America di Freud & Co, nel 1909, da quasi due secoli la peste aveva cessato di esistere come pandemia. “Non sanno che portiamo loro la peste”, pur giustificabile come iperbole retorica, fu in sostanza un’affermazione per lo meno anacronistica, se non una vera e propria sciocchezza. [2]
Posso tuttavia circostanziare storicamente la mia apparentemente azzardata interpretazione dell’analfabetismo scientifico di Freud, ben sapendo che una tesi empirica non si conferma mai al 100%. È chiaro che non ho intenti polemici ma solo di ricerca; la mia analisi è rivolta al soggetto di quell’ignoranza più che all’oggetto peste, su cui oggi restano pochi dubbi.
Inizio constatando che Freud non aveva in biblioteca L’origine delle specie. Di Darwin fece un uso meramente strumentale. Della sua opera non gli interessava l’aspetto di biologia delle popolazioni. Disse di aver preso da Darwin il mito dell’orda primordiale: un falso ideologico. Darwin non formulò mai miti; fu un “ragionatore” ossessivo, non mitopoieta. Nell’Origine dell’uomo e la selezione sessuale – unico libro di Darwin in possesso di Freud – Darwin parlava di small communities, non di orde. [3]
Di più. Mentre scriveva i Tre saggi sulla teoria sessuale, furono ritrovati i saggi di Mendel sulla genetica dei piselli (su 28.000 piante); inauguravano la nuova scienza genetica, ma rimasero lettera morta per 40 anni. Quando si dice resistenza alla scienza… Freud non citò mai Mendel. Poiché non si aggiornava scientificamente, la riscoperta di Mendel gli sfuggì. La scienza come fatto collettivo non lo acchiappava. Per lui la genetica rimase sempre la psicogenesi pulsionale delle fasi libidiche attraversate dall’individuo durante lo sviluppo: orale, anale, fallica. Concepiva solo l’evoluzione individuale. Ragionava in termini individualistici anche quando si cimentava con la psicologia delle masse, regolata secondo lui unicamente dalle identificazioni individuali al Führer; la portata delle interazioni collettive gli sfuggiva regolarmente. [4]
Nel 1926 Heisenberg formulò il principio di indeterminazione della meccanica quantistica. Freud l’ignorò; si ostinò nel proprio rigido determinismo pulsionale, elevato a sovradeterminismo. Nel suo ultimo romanzo, L’uomo Mosè e la religione monoteista, dichiarava candidamente il proprio “imperativo bisogno di causalità”; [5] una coazione, un autentico sintomo nevrotico, anche un po’ buffo.
All’insufficienza di aggiornamenti scientifici, sempre trascurando la dimensione collettiva del procedere scientifico, Freud suppliva con una versatile inventiva terminologica, prodotto collaterale della sua fantasia mitopoietica. Allora il protozoo diventava “animaletto protoplasmatico” (Protoplasmatierchen). Carino, no? [6]
E vengo al tema scottante di questo post: una particolare ignoranza microbiologica di Freud, o volendo di storia della medicina, riguardante proprio la pandemia della peste.
Il dato storico è perentorio: la morte nera iniziò a recedere nell’estate del 1727. Desumo le informazioni qui riferite dall’articolo di storia della medicina di Arnaldo d’Amico, intitolato “La morte della morte nera”, pubblicato nel n° 600 di Le scienze. [7] L’evento decisivo – è tecnicamente giusto dire “catastrofico” – fu l’invasione europea dei ratti grigi (Rattus norvegicus). Dopo un terremoto di dimensioni colossali in Asia, che produsse la fuoruscita dal sottosuolo di enormi masse di gas letali, miliardi di ratti grigi migrarono verso l’Europa (guidati da chi? un caso?); guadarono i grandi fiumi russi dal Volga al Dniepr; fino a tutto l’inverno attraversarono gli stessi fiumi ghiacciati. Il risultato fu la sostituzione delle popolazioni europee dei ratti neri (o ratti dei tetti) con i ratti grigi (o ratti delle chiaviche o pantegane).
Per gli umani fu un evento propizio, che ridimensionò notevolmente la diffusione della peste. L’ultima vera epidemia di peste si verificò in Europa nel 1720, portata a Marsiglia dal tre alberi Grand Saint Antoine, carico di stoffe pregiate, proveniente dall’Estremo Oriente. In due anni di epidemia Marsiglia perse metà degli abitanti (40.000) e il sud della Francia 120.000, oltre un terzo della popolazione. Da allora si ebbero solo focolai epidemici di peste che al massimo riguardavano una sola città, il più grave e ultimo in Europa nel 1743 a Messina e Reggio Calabria, dove morì il 70% della popolazione messinese e il 50% della calabra. La scena era classica: una nave carica di ratti appestati entrava in porto e, senza rispettare la quarantena, imposta dalla procedura avviata a Venezia sin dal 1374, sbarcava il carico. Anche la nave di Freud, la George Washington, non rispettò la quarantena a Long Island, benché portasse la peste, a detta di Freud.
Quale meccanismo portò a estinguere la peste su scala planetaria, pur rimanendo confinata in focolai endemici relativamente piccoli?
Freud, che pure un paio di anni prima del viaggio in America (1907-08) trattò il caso dell’Uomo dei ratti, non ne era – non volle o non poté esserne – a conoscenza. [8] Non avendo mentalità darwiniana, non sapeva – o non voleva sapere – che il ratto grigio è oggi dopo l’uomo il mammifero di maggior successo ecologico. La leggenda vuole che a Manhattan, dove Freud sbarcò la sera del 27 settembre 1909, vivano più ratti che umani, tanto da ribattezzarsi Manrattan. Paradossalmente l’estesa diffusione dei ratti grigi ci difende dalla peste. Il punto curioso è che entrambe le specie di ratti trasportano la peste. La differenza quanto al contagio non sta nei ratti ma nelle loro pulci. Il Ceratophyllus fasciatus, la pulce del ratto grigio, morde il ratto ma non l’uomo; [9] la pulce del ratto nero morde sia il ratto sia l’uomo, consentendo la trasmissione dell’agente della peste bubbonica (Yersinia pestis) dal ratto all’uomo. Senza i ratti neri e le loro pulci la peste praticamente si estinse. La storia non sarebbe dispiaciuta a Manzoni, che forse ci avrebbe costruito sopra un altro romanzo.
La mia tesi è che Freud non solo ignorava in modo del tutto giustificabile questi dati microbiologici oggettivi, ma soprattutto ignorava – voleva ignorare – il dato soggettivo di essere portatore sano di una peste ben peggiore della bubbonica.
Non è un paradosso. A posteriori, data la violenta reazione immunitaria scatenata già nello stesso Freud, posso dire che la peste che appestava la psicanalisi fu la scientificità, prodotta da un bacillo che a sua insaputa ospitava. (Quale pulce gliela trasmise?) In psicanalisi non si vuole sentire parlare di scienza neppure là dove si tratta del soggetto cartesiano della scienza, principalmente nell’inconscio freudiano. La psicanalisi è una scienza sui generis: è la scienza di quel che non si sa ancora di sapere, una paradossale scienza della volontà d’ignoranza. E di questo giustamente non si vuol sapere né individualmente né collettivamente. La rimozione originaria parte da qui.
A livello dell’individuo Freud non so dire il movente specifico della sua rimozione dell scienza. Posso solo congetturare che tra Freud e Cartesio, che fondò la scienza moderna sul non sapere, non corresse buon sangue. Nella sua biblioteca non c’erano le opere di Cartesio, peggio che con Darwin. Il riferimento di Freud ai famosi sogni “dall’alto” di Cartesio (Träume von oben [10]), formazioni simboliche che non attingono agli strati profondi della psiche, è del tutto superficiale e pretestuoso. Non affronta il sogno cartesiano con la buona scusa che gli mancano le associazioni libere al sogno. Insomma, Freud non voleva saperne di Cartesio e della sua scienza, fondata sul dubbio.
A livello collettivo si può dire qualcosa di più. Tutti noi, a prescindere dal grado d’istruzione, resistiamo alla scienza. Addirittura Einstein resistette alla meccanica quantistica, che pure contribuì a fare avanzare. (Ricorda il famoso detto: “Dio non gioca a dadi”). Darwin non abbandonò mai l’ipotesi gradualista, punto debole di tutta la costruzione biologica basata sulla selezione naturale. Alla scienza si resiste come si osteggia l’innovazione, in genere di sinistra. Tutti noi siamo riluttanti al pensiero scientifico, perché siamo conservatori, ossia siamo fondamentalmente di destra, che è l’orientamento politico originario, come si vede bene oggi in Italia. Vogliamo preservare le verità mitologiche dei nostri padri, non tanto perché li amiamo, ma perché ci fanno comodo le loro certezze. Le scienze, essendo congetturali, non danno certezze. Freud non fece eccezione; conservava la Bibbia autografata dal padre e si senti autorizzato ad abbandonare la scienza.
A ciò si aggiunga una rilevante, benché banale, perciò diffusa ragione sociologica, che regola il legame scolastico e opera da pesticida.
La scienza non ha maestri perché ha ricercatori. Il controllo delle procedure scientifiche non è nelle mani del singolo ma del collettivo. Da qui origina la politica conservatrice delle scuole di psicanalisi. Per non perderne il controllo, i maestri si guardano bene dall’esportare fuori dalla scuola il proprio insegnamento, rivolgendolo esclusivamente agli iniziati, agli “eletti”. La scienza, invece, è controllata democraticamente; tutti i membri di un collettivo di pensiero scientifico possono – se sono in grado – cooperare a corroborare o confutare un’ipotesi di lavoro. Perciò gli scolastici vivono come la peste l’eventuale confutazione scientifica dell’ortodossia, che porterebbe le scuole a dissolversi; si incrinerebbe infatti il potere centralizzato del maestro, che è l’anima di ogni scuola.[14]Allora in certe scuole di psicanalisi si stigmatizza la scienza addirittura come forma di paranoia – proprio a rovescio! Sono loro, i maestri, a sentirsi perseguitati dalla scienza e perciò la combattono per parare eventuali argomenti razionali contro i loro idiotismi.
Ma come dar loro torto? È questione di sopravvivenza. Primum vivere. Le scuole di psicanalisi continueranno giustamente a difendersi dalla peste scientifica, che le ha già infettate senza saperlo e quotidianamente minaccia la professione psicoterapeutica, più vicina all’ipnotismo che alla pratica scientifica. La paranoia delira, ma ha quasi sempre buone ragioni.
Da ultimo, va detto che la profezia newyorchese di Freud non si avverò. La peste scientifica della psicanalisi non attecchì né in America né nel resto del mondo. In psicanalisi la psicoterapia ha ormai da tempo fatto fuori la scienza, cioè ha “guarito” la nostra psiche dalla peste scientifica. E molti di noi se ne rallegrano. Freud temeva questo esito sin dal 1927, quando era ormai troppo tardi per porvi riparo. Freud spese una vita a curare l’aspetto di cura dell’analisi, incurante di quello scientifico. Tuttavia, seppure tardivamente, concepì il timore per la sopravvivenza scientifica della psicanalisi nel poscritto a La questione dell’analisi laica, opera censurata dalla rozza cultura italiana, che la travisò sin dal titolo: Il problema dell’analisi condotta dai non medici. [15] Purtroppo in questo caso Freud fu buon profeta: la scienza psicanalitica è stata uccisa.
Ignorante forse, ma lungimirante quel Freud.
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