Primo giro
Il primo giro parte da Freud. Il disco esordisce con una bella musichetta.
Il sogno non è paragonabile allo sregolato risuonare di uno strumento musicale percosso da violenza estranea anziché dalla mano del musicista; non è né privo di senso, né assurdo, né basato sulla premessa che una parte del nostro patrimonio rappresentativo dorma, mentre un’altra inizia a destarsi. Il sogno è un fenomeno psichico affatto valido; è precisamente l’appagamento di un desiderio, da inserire nel contesto di comprensibili azioni psichiche della veglia; l’ha costruito un’attività mentale assai complessa.[1]
Freud fu in molti sensi un duro; fu anche duro d’orecchio. Nietzsche avrebbe detto che era apollineo, non dionisiaco, più sensibile alle arti figurative che alla musica. Perciò il riferimento musicale all’inizio del III capitolo della Spiegazione dei sognifa pensare. Di seguito ci provo.
Ecco cosa Freud scrisse quindici anni dopo quella spiegazione.
Le opere d’arte esercitano su di me un forte effetto, in particolare letteratura e arti plastiche, più raramente pittura. Perciò, all’occasione, sono indotto a indugiare a lungo davanti ad esse; le voglio comprendere a modo mio e rendermi conto per quale via producano i loro effetti. Se non ci riesco, per esempio nella musica, sono quasi incapace di goderla. In me una disposizione razionalistica o forse analitica si oppone a farmi coinvolgere se non riesco a capacitarmi di perché sono coinvolto e da cosa.”[2]
Quando si dice volontà d’ignoranza… Quella di Freud è difficile da stanare perché mascherata da volontà di capire: il comprendere (erfassen) oscurò lo spiegare (erklären); far rientrare i fenomeni psichici in schemi cognitivi noti – ri-assumere – prevalse su “togliere le pieghe”. La strettoia mentale freudiana fu la pretesa di capire gli effetti dalle cause nell’illusione che capire il perché fosse superiore allo spiegare il come del processo. Il vizio di Freud fu cercare il senso retrostante alle cose psichiche.[3] Perciò Freud non capì la musica, forma espressiva non narrativa, estranea a storie di cause ed effetti, fondamentalmente senza senso. La musica vuole sintonia immediata, risonanza affettiva pronta; sfugge al racconto e al ragionamento. L’ascolto analitico è musicale: avviene in silenzio; tacita la diacronia;[4] avverte nell’inconscio “recondite armonie di bellezze diverse”.[5]
Dicevo volontà d’ignoranza. In psicanalisi si presenta in forma pura e invertita; gli analisti la proiettano sui pazienti che resistono ad ammettere pre-giudizi freudiani: l’Edipo e la castrazione, già in sé ostacoli alla spiegazione scientifica. I veri resistenti sono gli analisti, dirà Lacan, a proposito della famosa analisi delle resistenze.[6] Freud non fu meno resistente dei suoi epigoni. La sua linea di resistenza passava per i complessi d’Edipo e di castrazione. A un certo punto non parlò più di controtransfert. Fu dopo la vicenda Jung-Spielrein, stabilendo che in analisi l’analista deve essere un “oggetto perfettamente freddo”,[7] senza farsi coinvolgere dal paziente come Jung dalla Spielrein. E l’empatia?
Cosa non voleva sapere Freud di musica e inconscio? Quale seduzione temeva? Lo dico come ipotesi di lavoro. Non era questione di seduzione individuale; in ballo c’era e tuttora c’è un’inibizione intellettuale collettiva. Come tanti ancora oggi, Freud non volle riconoscere la presenza matematica nella musica e nelle scienze moderne, la sintesi di melodia e armonia nella prima, di diacronia e sincronia nelle seconde. Essere duri d’orecchio vuol anche dire resistere alla spiegazione scientifica. La volontà d’ignoranza è una passione più difficile da spiegare dell’amore e dell’odio,[8] ma ci provo. La difficoltà sta nel fatto che l’ignoranza è una passione più collettiva – più contagiosa, si direbbe oggi – dell’amore e dell’odio. Leggo che un sanitario su cinque è no-vax e non mi stupisce.[9] La formazione sanitaria è tecnica, non scientifica. Dai tempi di Ippocrate la mentalità sperimentale è malvista in medicina.[10] Di questo passo la volontà d’ignoranza ci manterrà nella peste.
Allora la prendo larga. Ai primordi della civiltà occidentale trovo una tripletta di dati negativi sulla questione del tempo. Gli antichi non ebbero musica sinfonica, ma solo la melodia del canto di accompagnamento alla recita poetica; non ebbero meccanica nella versione dinamica di Galilei ma solo la statica delle leve di Archimede; non ebbero letteratura romanzesca, escluso il capolavoro omerico dell’Odissea. In un certo senso, gli antichi non seppero trattare il tempo sincronico della musica, diacronico del romanzo, sincro-diacronico della dinamica galileiana (basti pensare alla velocità istantanea in un intervallo infinitesimo di tempo). Sono fatti paradossali, se si pensa che la scienza antica fu la storia, cioè l’analisi del tempo vissuto. Il tempo di Erodoto e Tucidide, di Tacito e Svetonio, fu il tempo umano. Il tempo musicale sarebbe allora “disumano” come quello scientifico della caduta dei gravi? Perciò dovette aspettare la civiltà medievale per prender voce nei cori religiosi? Il medioevo, epoca buia, fu la culla dell’arte musicale e della scienza moderna.
Un punto è chiaro. Quello dei classici (e dei classicisti, cosiddetti anti-riduzionisti) non fu mai il tempo meccanico del moto del punto materiale. L’analisi aristotelica del moto fu antropomorfa. Riguardava il moto degli astri, mossi eternamente da potenze divine immobili (gli angeli per i medievali) o del sasso lanciato da mano umana, con un punto di partenza, dove riceve la spinta, l’impetus, e un punto di arrivo, dove trova la quiete appena lasciata.
Freud resistette a riconoscere la psicanalisi come scienza moderna applicando questo modello “classico” di comprensione del moto psichico (Erregung, nel senso di “e-mozione”);[11] concepiva la psiche come regno delle cause psichiche: le spinte pulsionali (die Triebe) finalizzate a scaricare energia libidica come nell’eiaculazione, quando la psiche si acquieta come il sasso a fine corsa. La soddisfazione freudiana (die Befriedigung) ricalcava una precisa analogia biologica. Lo schematismo “classico” escluse il moto del pendolo, infinito in potenza, senza inizio né fine e senza scarica energetica. Il moto pendolare è la versione unidimensionale del moto circolare bidimensionale; ma, deboli in trigonometria, né gli antichi né Freud lo videro. Perché? Perché il moto oscillatorio non ha cause, quindi non esiste in natura. Aristotele non lo ammise neppure in potenza come l’infinito. Perciò non formulò una teoria musicale; la musica fu per lui solo esercizio tecnico (scholé) di rilevanza sociale, finalizzato alla catarsi collettiva, per scaricare le emozioni popolari.
La causa è il perno dell’ontologia medica; se c’è la causa, c’è l’effetto; se c’è l’agente morboso, c’è la malattia; se non c’è la causa, non c’è l’effetto; togliendo l’agente morboso, la malattia è tolta. Il modello eziologico è la colpa: se sei malato è colpa di qualcosa. Per Ippocrate non esistevano falsi positivi, malattie senza causa come l’ipertensione essenziale, né falsi negativi, come i portatori sani di virus. Ma qual è la causa del passare del tempo? Non sa rispondere neppure lo storico che applica la legge temporale del post hoc ergo propter hoc. Se non ha causa, il tempo non esiste, mettendo a rischio proprio la causalità.
Il punto mi sembra stabilito. L’antica era la scienza delle cause che producono effetti. Comprendeva il presente in funzione del passato, ma non lo spiegava. Gli antichi erano duri d’orecchio. Si giustifica così la distinzione di Dilthey tra scienze umane, che “comprendono” i fenomeni storici, interpretandone il significato eziologico, e scienze naturali, che “spiegano” i fatti del mondo, distribuendone i significanti in modelli dotati di precise simmetrie; le prime furono scienze del tempo, le seconde dello spazio.[12]
Per lo storico antico, non meno che per il fenomenologo moderno, il tempo è la durata necessaria alla causa per produrre l’effetto. Per loro il tempo ha lo stampo medico della patogenesi: il virus ha bisogno del tempo di incubazione per produrre la malattia; ne stiamo faticosamente imparando il determinismo in tempi di pandemia. Sapere come e perché le cause determinano gli effetti era lo scire per causas. Lo storico aveva il compito di ricondurre gli eventi presenti ai passati, supposti causare i primi;[13] dettagliava i tempi del processo osservato, partendo dalle cause prime e arrivando alle ultime, cioè agli effetti costatati empiricamente. Il modello aristotelico, estesamente commentato nel secondo libro della Fisica, era antropomorfo: la causa era concepita come lo scultore, l’effetto come il prodotto del suo fare, la statua.
Comunque il punto essenziale sfuggì agli antichi: prima della geniale intuizione nietzscheana dell’eterna ripetizione dell’identico – una forma di oscillazione pendolare intrinsecamente meccanica – la natura del tempo restò per loro enigmatica. Applicavano il tempo all’analisi dei fenomeni storici, ma non sapevano cosa fosse. La storia, scienza del tempo, era la prassi degli ignoranti. Lo riconobbe Agostino nell’XI libro delle Confessioni, la storia della sua vita: “So che cos'è il tempo, ma se me lo chiedono non so spiegarlo”. Il tempo fa esistere i fenomeni senza essere un fenomeno. Per il filosofo idealista il tempo è trascendentale. L’assenza di tempo nell’inconscio freudiano è una variante psichica dell’idealismo: i fatti psichici sono eterni, senza tempo.
Dovrebbe essere chiaro come fosse difficile, se non impossibile, affrontare la dinamica del moto con gli attrezzi della causalità antropica. Lo pseudo-paradosso di Achille che non raggiunge la tartaruga, perché lei va avanti e lui le sta alle costole, testimonia la difficoltà degli antichi a concepire la velocità in termini non antropici come rapporto tra due grandezze eterogenee: spazio e tempo.[14] Gli antichi, il cui lessico non aveva la nozione di variabile, sapevano mettere in rapporto solo grandezze omogenee: i greci con il logos, i latini con la ratio confrontavano solo lunghezze con lunghezze, aree con aree, volumi con volumi, tempi con tempi. Prima dell’algebra di Cartesio e della relatività di Einstein spazio e tempo erano grandezze eterogenee; non si potevano incrociare e fare calcoli su di esse. Non erano variabili da correlare, perché non erano variabili. Senza variabili niente calcolo, senza calcolo niente fisica, senza fisica la volontà d’ignoranza ha praterie dove espandersi, pilotata dal principio di ragion sufficiente.[15]
È altrettanto chiaro che il tempo “umanistico” era inadatto alla composizione musicale, che “compone” simmetrie.[16] Pitagora individuò le condizioni necessarie – oggettive – per trattare la sincronia musicale; riconobbe i rapporti tra armoniche, misurate come lunghezze di corde vibranti (un colpo di genio!): ½ (ottava do-do), 2/3 (quinta do-sol), ¾ (quarta do-fa), rapporti detti armonici. Ma il discorso sulla sincronia finì lì. Pitagora mancò di dimostrare che la somma dei rapporti armonici ½, 1/3, ¼… tende all’infinito. È un vero paradosso: sommare grandezze sempre più piccole produce grandezze sempre più grandi.[17] Solo nel XVII secolo lo dimostrò Pietro Mengoli, allievo di Bonaventura Cavalieri, allievo di Galilei, grazie alla diseguaglianza somma ≥ somma +1, valida solo per somme infinite.
Dovrebbe, a questo punto, essere chiaro come mai, data la concezione antropomorfa del tempo come narrazione storica, gli antichi non produssero la dinamica galileiana delle sfere rotolanti sul piano inclinato. Meno chiaro è come mai non abbiano prodotto una consistente attività narrativa romanzesca, per raccontare vicende umane, con poche eccezioni: Gli amori di Dafni e Cloe in Egitto, il Satyricon a Roma. Quindi la coincidenza temporale, che voglio mettere a fuoco, è incomprensibile. Jung parlerebbe di sincronicità come “nesso acausale” dotato di senso, nel caso difficile da decifrare.[18]
L’evento epocale è del XVI secolo. Il genere letterario romanzesco esordì con il megaromanzo di Rabelais delle avventure di Gargantua e Pantagruel (1532); l’edizione del capolavoro di Copernico sulle orbite planetarie eliocentriche, che inaugurò l’epoca scientifica moderna, fu di poco dopo (1543). Allora saltò il tappo che bloccava entrambe le letterature, la romanzesca e la scientifica. Una volta partite insieme, procedettero impetuosamente in parallelo con ritmi vertiginosi, a volte interferendo tra loro in romanzi di fantascienza. Oggi i Nobel premiano in modo paritario scienza e letteratura. Cos’hanno mai in comune le due attività, scienza e romanzo? Dimostrazione e narrazione? Sincronia e diacronia? Forse proprio nulla. Sono movimenti ortogonali, si dice in geometria. Ognuno va per la propria strada senza intralciare l’altro. Forse per spiegare il curioso fenomeno, senza pretendere di capirlo, ci vuole un altro giro.
Secondo giro
A costo di allontanarmi ancora di più dal tema, il secondo giro del mio disco – ancora di vinile – torna indietro e riparte da Freud.
Freud parlava della psicanalisi come della sua “giovane scienza” (junge Wissenschaft[19]). Un errore: la psicanalisi nacque vecchia; c’era da aspettarselo da chi, oltre che duro d’orecchio, era intellettualmente arretrato. Infatti, la giovane creatura di Freud è antica, essendo una variante dell’aristotelico scire per causas. La “strega” di Freud – la metapsicologia – era ormai una vecchietta, afflitta dall’“imperativo bisogno di causalità”.[20] Per lei ogni effetto psichico era prodotto da una causa psichica: la pulsione, der Trieb. In Questione dell’analisi laica Freud arrivò a dire una sciocchezza: molte lingue moderne invidierebbero alla tedesca la parola “pulsione” per rappresentare gli stimoli (Anreize) all’attività psichica.[21] È lecito dissentire da Freud senza pericolo di passare per antifreudiani.
Concettualmente la pulsione freudiana, per Lacan concetto fondamentale della psicanalisi, è una causa aristotelica. Le pulsioni sessuali sono cause efficienti; la pulsione di morte è causa finale. Emergono dai libri della Fisica di Aristotele, che pure Freud non aveva in biblioteca.[22] L’efficienza (per altro scadente) delle pulsioni sessuali, da non confondere con l’istinto sessuale, consiste nel produrre soddisfazione sessuale, la cosiddetta Befriedigung, sulla stessa lunghezza d’onda dell’appagamento del desiderio (Wunscherfüllung). Il modello della scarica pulsionale è l’orgasmo maschile; l’energia della spinta pulsionale, la libido, è solo maschile. Da lì derivarono a Freud insormontabili difficoltà a concepire il godimento femminile.
La pulsione di morte opera su tutt’altro registro rispetto alle sessuali. Il discorso su di essa si fa più complicato per non dire contraddittorio. Innanzitutto è una pulsione immateriale. Non ha le componenti fisiche della sessuale: spinta costante, fonte somatica, oggetto e meta. Ne conserva solo una, la meta. La finalità della pulsione di morte è coordinare il concerto pulsionale, come farebbe un direttore d’orchestra, orientandolo attraverso scariche ripetute verso lo stato di eccitamento minimo, una sorta di nirvana, prossimo all’inorganico. Nello schematismo freudiano, la pulsione di morte sostiene l’eterna ripetizione del trauma, contro il principio di piacere; corrisponde al moto infinito degli astri.
A questo punto Freud rasentò la contraddizione, ma non se ne curò molto, perché l’inconscio è il regno dell’Unlogik, dove il principio di non contraddizione non esiste.[23] A noi, invece, la potenziale contraddizione interessa, non per contraddire Freud, come amano fare i post-freudiani, ma perché la pulsione di morte, essendo il motore della ripetizione psichica, tocca la questione del tempo. Il punto critico è che l’inconscio, oltre a non avere principio di contraddizione, non ha neppure la rappresentazione del tempo.L’inconscio è in generale senza tempo.[24] Ci si chiede allora come sia possibile la ripetizione temporale – eterna, precisa il filosofo – se il tempo non esiste.[25]
Freud dribbla la questione. Gli basta che esista la causa della ripetizione: la pulsione di morte. Se la causa esiste, la ripetizione esiste. O no? Allontanatosi finalmente da Aristotele, grazie a Empedocle, Freud riesumò il pendolo, scotomizzato da Aristotele. Fu ispirato dal gioco del Fort-Da del nipotino, che si divertiva gettando e riprendendo un rocchetto attaccato a un filo come il pendolo. La pulsione di morte è costante, come le pulsioni sessuali, ma in modo diverso: è costante nell’oscillare. La nozione di oscillazione era latente in Freud; risaliva a prima della cosiddetta seconda topica; si può ritrovarla nella tecnica dell’ascolto analitico, basato sull’attenzione “equifluttuante” (gleichschwebend) e affidato all’attività psichica inconscia (unbewußte Geistestätigkeit)[26] dell’analista.
Già il fenomeno del pendolo, le cui oscillazioni si ripetono senza causa, avrebbe dovuto avvisare Freud sull’inconsistenza scientifica dell’eziologia metapsicologica. Ma Freud non fu né uomo di scienza[27]né aggiornato sulla scienza del suo tempo.[28] Quando scriveva gli Studi sull’isteria, Henri Poincaré formulava la teoria, connessa al problema gravitazionale dei tre corpi, in seguito articolata come teoria del caos, secondo cui dopo un tempo sufficientemente lungo ogni sistema meccanico tende a tornare allo stato iniziale, in assenza di cause specifiche a tal fine.[29] Nella Psicopatologia della vita quotidiana, Poincaré ricorre solo come presidente della Repubblica francese, cugino del matematico.
Analogamente, quando Freud scriveva i Tre saggi sulla teoria sessuale, tornarono alla luce i saggi di Gregor Mendel, creatore della “giovane scienza” genetica. Dell’evento non c’è traccia negli scritti di Freud, che non citano mai né Mendel né Galilei. Quando si dice volontà d’ignoranza…
Quella segnalata è la contraddizione dal lato dell’analizzante, che ricostruisce la storia del proprio avvenire soggettivo. Accanto ad essa si colloca la contraddizione dal lato dell’analista che racconta il caso clinico in cura. Come e dove si colloca il tempo della narrazione, se il tempo non esiste? Dove va a finire la verità narrativa della storia del soggetto? Su qualche giornale? Quotidiano o specialistico? Sarebbe semplice uscirne: smettere di raccontare casi clinici, come fece Lacan dopo il caso della sua tesi di psichiatria.[30] Ma qui non accetto il compromesso, perché voglio risalire alla fonte della contraddizione. Allora il mio vinile deve fare un terzo giro.
Terzo giro
Riguarda l’Analisi finita e infinita, testo patetico dell’ultimo Freud che le traduzioni ufficiali, americana e italiana, riportano con titolo errato: Analisi terminabile e interminabile. Come finisce un’analisi, posto che inizi?[31] È la questione del tempo di sapere.
Freud non la sollevò mai, perché per lui il tempo epistemico era rigidamente fissato dal determinismo psichico. Fu merito di Lacan averlo messo in luce agli esordi della sua speculazione nel noto sofisma dei tre prigionieri.[32]Qui lo riporto spoglio del rivestimento fenomenologico dei tre tempi di vedere, comprendere e concludere.[33]Il soggetto della scienza non comprende ma spiega; non capisce ma fa capire.
La storiella è semplice da raccontare e in sé irrilevante. Il direttore del carcere convoca tre prigionieri e mostra loro cinque dischi: tre bianchi e due neri. Dice che ne porrà tre sulle loro spalle e promette di liberare chi saprà riconoscere con argomentazioni puramente logiche il colore del proprio disco. Dopodiché distribuisce tre dischi bianchi. Il puzzle è interessante perché pone il problema del sapere collettivo a prescindere dall’individuale. Infatti, ogni individuo non vede sé ma gli altri; deve riconoscere sé stesso attraverso ciò che l’altro vede ma gli resta nascosto.
Visti dai prigionieri, i casi sono tre: a), b) e c).
Caso a): il direttore distribuisce due dischi neri e uno bianco.
Uno dei prigionieri, chiamiamolo A, vede due dischi neri ed è subito certo di essere bianco. Gli altri due, chiamiamoli B e C, vedendo un bianco e un nero, sono in prima battuta incerti; diventano certi solo in un tempo successivo, vedendo che A non ha incertezze e si presenta immediatamente al direttore con la soluzione: vuol dire che ha visto due neri; quindi B e C, grazie alla certezza dell’altro, superano la propria incertezza e dopo A diventano certi di essere neri.
Caso b). Il direttore distribuisce un disco nero e due bianchi.
Tutti e tre i prigionieri sono incerti ma in modo diverso. Uno di loro, chiamiamolo A, vede due bianchi; gli altri, chiamiamoli B e C, vedono un bianco e un nero. Ma ecco la differenza: ciascuno dei B e C, vedendo l’incertezza di A, deduce con certezza di essere bianco, perché se o B o C fosse nero, A vedrebbe due neri e sarebbe certo di essere bianco. A sua volta A diventa certo di essere nero dopoaver costatato che B e C hanno riconosciuto il proprio colore.
Caso c). Il direttore distribuisce tre dischi bianchi.
Tutti e tre i prigionieri sono nella stessa incertezza. Nessuno si muove prima degli altri. Vuol dire che nessuno vede almeno un disco nero e quindi nessuno può decidere come nei precedenti casi a) e b). Ergotutti deducono nello stesso istante di essere bianchi, dopo aver escluso sulla base dell’incertezza comune le due condizioni alternative precedenti a) e b).
La soluzione di Lacan nel caso c) unifica i casi a) e b). Uno dei prigionieri, chiamiamolo A, ragiona per assurdo così: “Dato che i miei compagni B e C sono bianchi, ho pensato che, se fossi nero, B e C potrebbero ragionare per assurdo come me: ‘Se fossi nero anch’io, pensa B, l’altro C avrebbe immediatamente riconosciuto di essere bianco’ (caso a). Analogamente lo pensa C nei confronti di B. Siccome questo non si è verificato, non sono nero ma bianco”. Il prigioniero A arriva alla certezza dopoi due tempi di incertezza di B e di C, potendo ciascuno di loro ragionare come A.
La storiella si può complicare con n prigionieri. L’analisi prevede ncasi con n-1 momenti di incertezza transindividuale. Si prefigura una logica epistemica a n valori di verità, collettivamente orientata, un tema trattato da diversi logici: Lukasiewicz, Brouwer, Gödel, Zadeh, tra gli altri. Il punto sensibile delle logiche polivalenti è la negazione, tema affrontato da Freud, per il quale la negazione, essendo una rimozione, non sempre nega o non nega in modo definitivo.
Heyting algebrizzò la logica intuizionista di Brouwer, definendo la negazione come pseudo-complementazione. Non entro nei dettagli matematici. Il motivo teorico d’interesse è che, non basandosi sul principio del terzo escluso, la logica intuizionista è meno metafisica della classica. Non garantisce a priori la verità dell’alternativa tra affermazione e negazione, perché non tratta gli enti matematici come dati di fatto ma come costruzioni effettive del soggetto matematico. L’intuizionismo sarebbe piaciuto al Freud delle Costruzioni in analisi (1937), se si fosse aggiornato maggiormente sulla scienza del suo tempo. Infatti, Il primo saggio intuizionista di Brouwer fu del 1908, ai tempi in cui Freud scriveva Lo scrittore e il fantasticare. Lacan dimostrò di conoscere l’intuizionismo quando affermò che “per porre un’esistenza occorre poterla costruire, cioè trovare dove l’ex-sistenza si situa”.[34]
Tecnicamente la logica intuizionista esige una semantica a infiniti stati epistemici; lo dimostrò Gödel; altri, Tarski e Kripke, costruirono semantiche infinite pre-ordinali riflessive e transitive, il primo con modelli topologici, il secondo insiemistici.[35] La semantica di Kripke coglie un aspetto essenziale dell’aritmetica intuizionista, dove i numeri sono successioni infinite di numeri (precisamente sono successioni di Cauchy). L’infinito gioca in psicanalisi come oggetto del desiderio – è innegabile. Negare l’infinito non è facile, però; allora dell’infinito si preferisce non volerne sapere.
Nella semantica intuizionista di Kripke negare l’enunciato A richiede di passare in rassegna tutti gli stati epistemici, eventualmente, infiniti in cui A potrebbe verificarsi e costatare (dimostrare, to show) che A non si verifica in nessuno di essi. Per l’intuizionismo la negazione è un operatore logico universale come il tutti e l’esiste; richiede un tempo di calcolo (di dimostrazione),[36] come si è visto nella storiella dei tre prigionieri. È il calcolo che passa in rassegna le incertezze per arrivare alla certezza.[37] “La donna del sogno non è proprio la madre”. Die Mutter ist es nicht,[38] dice in modo tassativo il paziente, citato da Freud all’inizio del saggio sulla Negazione. “Calma, mio caro, ribatte Freud; nel tuo attuale stato di ignoranza puoi dire che la madre non è. Ma, proseguendo l’analisi, in uno dei successivi stati epistemici, potresti arrivare a dimostrare che è proprio la madre”.[39]
Qui ci imbattiamo di nuovo nella questione del tempo; non lo ritroviamo come tempo cronologico ma come tempo di sapere. Ho trattato l’argomento del tempo epistemico nel mio libro Il tempo di sapere. Saggio sull’inconscio freudiano,[40] dove dimostro che non sapere implica sapere, riconoscendo che c’è del sapere anche nel non sapere, giusto perché sai di non sapere. Così è anche per l’inconscio che è sapere non saputo; allora si può venire a sapere con l’analisi. Quanto siamo lontani dallo spunto offerto dalla musica? Ce lo suona il quarto giro del mio disco.
Quarto giro
Ne parlo da violinista fallito. Mio padre voleva che imparassi a suonare il violino, perché suo padre era un bravo violinista dilettante. Il violino è uno strumento musicale diabolico; inventato nel XVI secolo, è maledettamente difficile cavarci qualche nota non stridula, con polso sciolto ma sostenuto. Ho durato due anni di lezioni con poco profitto da una paziente maestra. Ho smesso su consiglio paterno di Michelangelo Abbado, padre del famoso Claudio, cui la maestra scoraggiata mi inviò. Tuttavia ho discreto orecchio musicale; capisco se in concerto il corno stona, ma sono incapace di cantare un motivo. Ho una figlia provetta pianista. I geni musicali di mio nonno sono presenti in me e li ho passati a mia figlia, che li ha attivati e li usa meglio di me. Io so solo parlare di musica dal punto di vista scientifico.
Cos’hanno in comune musica e scienza moderna, intendo la galileiana?
Lo dico semplificando al massimo. La scienza unisce la diacronia alla sincronia come la musica unisce l’armonia alla melodia. Per esempio, la legge di caduta dei gravi stabilisce tempi di caduta uguali per tutti i corpi: la diacronia della caduta è sincronizzata per tutti. E la psicanalisi? La psicanalisi freudiana non è estranea né alla scienza né alla musica moderne grazie alle due componenti del processo primario inconscio: la condensazione (Verdichtung), dal lato della sincronia, e lo spostamento (Verschiebung), dal lato della diacronia; sono moti simbolici che Lacan traduce in metafora e metonimia. La prima dimensione opera sostituzioni di significanti passando da una catena significante all’altra, la seconda prolunga la catena significante data con combinazioni successive, come teorizzato da Jakobson. Psicologicamente parlando, la metafora inaugura l’affettività con i suoi rimandi multipli da un significante presente ai significanti assenti, spesso non ben definiti; la metonimia sostiene procedure più razionali che evolvono passo passo, agganciando un significante all’altro secondo codici prestabiliti; alla metafora va ascritta la sincronia, alla metonimia la diacronia.
La distanza dagli antichi è enorme, tanto che non si percepisce più. Gli antichi non praticavano la dimensione metaforica o sincronica né in musica né in scienza. In musica non ebbero il pianoforte che consente di suonare 10 note contemporaneamente (un pessimo accordo). Le possibilità musicali antiche si limitavano alla melodia, una nota per volta, con cui accompagnavano il canto, strimpellando sulla cetra. La diacronia dominava anche la loro scienza, che era esclusivamente storica. Anche la geometria, che oggi tratta sincronicamente più spazi in modo algebrico, una volta era la “storia” dell’unico spazio di cui si “narravano” le proprietà nei 13 libri di Euclide o negli 8 di Apollonio, complice l’impianto idealistico della cultura classica che mirava all’Uno.
Non ho parlato dei troppo comuni risvolti politici della contrapposizione diacronia/sincronia. La narrazione, essendo diacronica, può essere sottoposta a censura; il potere può imporre la propria “storia”, come è successo in Cina per la narrazione della pandemia Covid, manipolando ideologicamente la relazione di causa ed effetto. La psicanalisi è stata per lungo tempo osteggiata in Italia dalla Chiesa Cattolica perché la storia edipica non concordava con la storia della salvezza universale. Per contro una teoria sincronica difficilmente si può censurare. Può passare sotto silenzio, ma non modificata. Come modificare d’ufficio la teoria della relatività? Come censurare per via burocratica i tensori di Ricci Curbastro? Come intervenire sulla selezione naturale? Il Progetto Intelligente non va contro Darwin; propone la trita narrazione basata sulla causa efficiente “originale”
Concludo il mio poco accademico exposé e fermo il disco su una riflessione sul collettivo, suggerita dal sofisma dei tre prigionieri. Lacan lo conclude con questo enunciato lapidario: “Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale”;[41] in termini fenomenologici intende “la verità del sofisma come riferimento temporalizzato di sé all’altro e l’asserzione soggettiva anticipatrice come forma fondamentale di una logica collettiva”.[42] Vediamo, allora, come la musica gioca all’intersezione tra sapere e plurale.
Il tempo musicale non è continuo ma discreto in progressione esponenziale discendente di valori relativi rispetto al tempo scandito dal metronomo. Si inizia con il valore intero, o semibreve, di durata più lunga (2/2 o 4/4); segue la minima di durata metà (2/4), poi la semiminima (1/4), la croma (1/8), la semicroma (1/16), la biscroma (1/32) e la semibiscroma (1/64), con le eccezioni di terzine, quartine e sestine. Il punto è che, essendo discreti, i valori possono essere “battuti”. Nasce così il ritmo. Il ritmo, nella musica jazz battuto dalla batteria, è la cinghia di trasmissione dalla performance individuale del singolo a quella del collettivo. Garantisce l’unisono all’ascolto collettivo. La musica non è mai solitaria anche quando è eseguita dal solista: uno fa musica e gli altri ascoltano ma anche l’ascolto fa musica, che non esisterebbe senza ascolto.
Ciò che viene trasmesso dal musicista al pubblico e ritorna al musicista è la misteriosa sintesi di armonia e melodia. L’armonia è l’esecuzione sincronica di più note: nel piano possono arrivare a 10, nel violino si limitano a due (mi ricordo). Ovviamente non tutte le combinazioni sono possibili ma solo quelle pitagoriche, per esempio di quinta in quinta, come sono accordate le corde di violino. La melodia è invece “narrazione” della frase musicale, la sua diacronia, che è quella che si ricorda. Proust narra bene l’esperienza della petite phrasedi Vinteuil (in realtàdi chi? Saint Saëns, Franck, Wagner, Fauré?), che si ripeteva nel salotto dei Verdurin e scandiva l’amore di Swann per Odette (che ode?). Cosa sarebbe mai l’amore senza musica? Una storia che non fa storia e non si racconta.
La mia congettura conclusiva, ispirata più a Nietzsche che a Euclide, è che anche il sapere sia scandito da un proprio ritmo. È il ritmo a legare insieme i prigionieri di Lacan che mirano alla libertà. “La verità vi farà liberi”, diceva Gesù. È errore comune tra filosofi. È il sapere a farvi liberi, legandovi a coloro che condividono lo stesso vostro ritmo di alternanza di certezze e incertezze. Il ritmo epistemico è “un’onda d’urto” dotato di “forza plastica”, diceva Nietzsche, necessaria a plasmare il legame sociale. È un legame “musicale” nato dal basso, dai bassifondi del sapere. Freud non lo conosceva perché non aveva orecchio. Per lui esisteva solo il legame sociale imposto dall’alto per identificazione al Führer come oggetto trascendentale d’amore. Quello freudiano è un legame che non crea società civili ma produce masse. (Massenpsychologie). Va bene per gli scimpanzé non per Homo musicus.
Capodanno 2021.
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