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Com’è estraniante questa crisi

4 Feb 14

A cura di Luigi D'Elia

Com'è estraniante questa crisi Tratto da: Marss – Mutazioni Antropologiche Rivista di Scienze della Sostenibilità 2012 

Due parole su cosa intendo per “crisi sistemica”

 

Una crisi che non accenna a finire

È comune visione degli psicologi, se vogliamo un refrain professionale, intenderela crisi come opportunità, come occasione di fuoriuscita da una condizione precedente sfortunata o svantaggiosa, un’occasione di scelta, di discernimento, come l’etimologia della stessa parolacrisi suggerisce. Quante volte mi è capitato di interloquire, incrociando gli sguardi talora meravigliati dei miei pazienti, dicendo più o meno: “sa, questo suo problema è proprio una benedizione. S’immagini se non fosse sopraggiunto, lei sarebbe andato avanti fino al baratro, ed invece così lei ora può fermarsi e ripartire con altri presupposti”. Certo, c’è una dose di aprioristico ottimismo in queste pur vere parole. In realtà questo discorso non è sempre formulabile e talora le risorse dei nostri interlocutori sono tali da non poter essere ottimisti e dunque ci si deve attestare su compromessi praticabili.

Ebbene, con lo stesso senso di realismo occorrerebbe a mio parere affrontare l’attuale crisi globale che stiamo attraversando da alcuni anni e che al momento non consente di intravedere una via di uscita. Ma perché?

Che tipo di crisi è?

I mass media per lo più ci consentono di rappresentarci questa come una crisi essenzialmente economico-finanziaria che ha cause ed effetti sulla nostra ricchezza o povertà, sul nostro potere d’acquisto, sulla qualità della nostra vita in termini di risorse e servizi, una crisi che ha origini nelle incomprensibili alchimie delle borse internazionali e nelle delocalizzate  ed irrintracciabili stanze dei bottoni degli speculatori finanziari e banchieri. Certamente questo è uno degli aspetti della crisi, il suo lato più evidente e forse più tangibile in quanto la conseguenza diretta è l’evidente impoverimento delle fasce medio-basse delle popolazioni. Ma questo è solo il lato più visibile della crisi, molto meno visibile e più sfuggente alla riflessione comune è il punto di rottura psichico molto più profondo, che riguarda la nostra civiltà in questa epoca storica e che ci racconta di un’instabilità che riguarda il sistema “in sé”, in quanto tale, ed è lì forse che dobbiamo cominciare la nostra esplorazione. Dunque proviamo a smarcarci dalle semplificazioni mediatiche e a cogliere nella catena di fattori che ci hanno condotto fino a questo grado di instabilità esistenziale, quelle innumerevoli fonti d’irrazionalità estremainterconnesse tra loro, insite in questa crisi e che ci provocano estraniamento e alienazione e proviamo, per quanto ci riesce, a esaminarle.

1.       Il discontrollo pulsionale: virtualizzazione “tossica” della realtà

L’economia virtuale, quella finanziaria-speculativa-tossica, supera di molte volte l’economia reale che, quindi, non è più fondamento e riferimento della vita reale. Dal punto di vista psicologico questa contemporanea virtualizzazione e moltiplicazione fittizia della realtà corrisponde ad un incontrollabile scivolamento nel principio del piacere, non più mitigato, ma divenuto assoluto e tirannico, tale da produrre una maniacalizzazione del rapporto con la realtà. Se questa virtualità sopravanza di moltissimo il limite del pianeta ciò si configura come un pericoloso discontrollo della vita pulsionale (che assume automaticamente valenze distruttive primitive di tipo orale o anale) da parte di un’oligarchia ristrettissima di persone a discapito di tutti gli altri. A partire da questo schema originario, da questo codice sorgente virtualizzazione/discontrollo, riscontriamo a cascata l’inesorabile riduzione della soggettualità dell’individuo negli oggetti che egli accumula in una sorta di feticizzazione compiuta (e largamente preannunciata da Karl Marx già agli albori della nostra modernità), nella partecipazione profonda e convinta al mantenimento e continuità della società alla quale appartiene attraverso il proprio comportamento consumistico, saturante, tossicofilico, ludopatico, assecondante il programma di obsolescenza programmata dell’esistenza intesa essa stessa come merce di consumo.

2.       Il piano fatalistico-dispercettivo: la naturalizzazionedell’economia

A ciò si associa la diffusa sensazione, quando si guarda all’andamento dell’economia, di non trovarsi più ad avere a che fare con leggi e modalità appartenenti alla cultura umana, alle decisioni dell’uomo, alla sua storia e alle sue determinazioni, ma ad irreversibili ed incontrollabili fenomeni della natura. In altre parole l’economia non appare più oggi, così come raccontata dai media, come una complessa scienza sociale (le cui regole in genere sfuggono ai più), ma piuttosto ci ritroviamo a che fare con pratiche e saperi che appaiono essersinaturalizzati, rappresentati cioè come dotati di vita propria, imprevedibili, autonomi, fatalistici e quindi dis-umanizzati e di cui piuttosto dovrebbero occuparsi freddamente gli scienziati della natura come i fisici e non più i politici o gli economisti stessi. Ed infatti a Wall Street chi presiede in pratica le transazioni finanziarie, specie quelle rapidissime e “tossiche”, sono già in netta maggioranza i fisici e non gli economisti. Accanto alla naturalizzazione delle leggi economiche si assiste al parallelo processo di ideologizzazione strisciante del pensiero unico ed ineluttabile di questo attuale modello di vita tardocapitalistico. Entrambi questi processi: naturalizzazione e ideologizzazione dei codici sociali richiedono una preventiva e costante smemorizzazione della storia, una sorta dismagnetizzazione dei presupposti sui quali si fonda il nostro stesso mondo, un fare cioè di continuo tabula rasa (questo grazie alla ipersaturazione dell’infosfera) condizione necessaria per poter continuamente riscrivere e sovrascrivere su coscienze che operano processi rapidissimi di oblio e revisionismo (anche in meno di una generazione), dove non solo ogni opinione e reversibile e fluida, ma lo diventa anche ogni fatto.

3.       Il dogmatismo compulsivo dell’illimitatezza e dell’utilitarismo individuale

Il principio d’illimitatezza è uno dei costrutti portanti di questa epoca e probabilmente una delle cause profonde della crisi. Illimitatezza dei mercati, della crescita, dei guadagni, degli sviluppi. Tutti concetti totalmente irrealistici e ciononostante rimbalzanti di continuo nei media come ricette di uscita dalla crisi. Alcuni analisti e filosofi (da ultimo qui) da tempo hanno segnalato proprio nel principio d’illimitatezza il fondamento teorico forte del nostro sistema sociale ed economico-politico, fondamento ben presto diventato dogma.

Un altro dogma, un po’ più antico del primo, risalente alla nascita stessa dell’era moderna, ma altrettanto penetrante, è quello dell’interesse individuale e dell’utilitarismo come unico movente dell’azione sociale, condotto ai nostri giorni dall’homo oeconomicus e dalle sue prerogative (vedi qui). Utilitarismo-interesse personale che a sua volta fonda il modello di società concorrenziale e competitiva su cui si muove una presunta intelligenza del mercato dotata di una autonoma e naturale (anch’essa) giustizia e pacificazione interna. Tale codice competitivo, spinto agli estremi, lede la possibilità di costruire modelli collaborativi di aggregazione e società e alla lunga corrode il tessuto sociale stesso imponendo modelli di vita cinici e utilitaristici.

Entrambi questi dogmi, illimitatezza e utilitarismo individuale, rappresentano l’apoteosi dell’irrazionalità e dell’autolesionismo, contrari cioè all’evidenza e al bene comune e quindi al bene di ciascuno. E nonostante ciò la nostra cultura, il nostro modo di pensare e di agire è assolutamente permeato nelle scelte fondamentali e nelle direttrici politiche da questi due principi, rivelatisi così perniciosi per la nostra vita, il nostro futuro e la nostra stessa sopravvivenza.

4.       Il piano illusionale: il progressivo smantellamento dei diritti civili

Le società democratiche alle quali (almeno nominalmente) quella italiana appartiene si sono fondate fin dal XVIII secolo e soprattutto dopo la catastrofe novecentesca su una progressiva acquisizione di diritti civili nell’ambito della rappresentanza democratica, delle libertà, delle tutele pubbliche dello stato sociale, del lavoro, delle pari opportunità, dell’accesso democratico ai servizi della salute, dell’istruzione, dei beni comuni, etc. Le stesse costituzioni dei paesi occidentali declamano a piè sospinto queste conquiste di civiltà che in realtà attualmente si vanno rapidamente assottigliando/sgretolando dal momento chel’organizzazione sociale neocapitalistica non può intrinsecamente garantirne nessuna, basta vedere cosa sta accadendo ai principali diritti sociali negli ultimi 20 anni: lavoro, salute, istruzione, servizi pubblici primari, non sono di fatto più garantiti, o stanno rapidamente evaporando e pur tuttavia le ultime generazioni sono nate, cresciute ed educate nell’aspettativa di essi come acquisiti. Siamo cresciuti dunque nell’aspettativa di diritti che non sono più esigibili.

Questa rovinosa caduta del patto tra individuo e società come uno degli elementi fondanti l’esistenza è una delle conseguenze in fieri più drammatiche ma meno esplicitate di questa crisi. Ed è estraniante come nei mass media si continui reiteratamente a parlare di occupazione, di diritti civili, di diritto alla salute, all’istruzione, proprio mentre tutto ciò sta rapidamente svanendo (o sta diventando sempre più residuale). L’unico obiettivo politico, tra quelli esplicitabili, rimane il ripianamento del debito, in nome del quale sta avvenendo l’azione combinata di cessione sempre maggiore di sovranità dei popoli e delle nazioni e progressivo indebolimento del tessuto sociale realizzato attraverso la precarizzazione esistenziale anche attraverso lo smantellamento dei diritti civili (vedi qui).

Tale prolungamento innaturale della fantasticheria infantile per cui si fa ancora finta con individui adulti che babbo natale esiste e che tutto va bene (signora la marchesa), o va più o meno come prima, mentre invece tutto si smantella pezzo a pezzo sotto i nostri occhi è secondo me una fortissima fonte di disagio psicologico in quanto il principio della menzogna o della verità indicibile sul quale l’informazione è costruita crea un estraniante scarto/disallineamento tra la realtà raccontata e la realtà percepita che accentua un senso di spaesamento e confusione prolungato che chiunque fa il mio mestiere conosce bene ed ha potuto osservare, sa anche che può diventare esplosivo e distruttivo.

5.       Il senso d’impotenza: l’inutilità dell’azione politica

Un altro aspetto altamente spaesante tipico di questa crisi è il diffuso sentimento di esautoramento dell’azione politica e della rappresentatività democratica. Anche la crisi del ’29 era già in qualche misura una crisi globale, e già allora la finanza s’era impossessata della politica, ma non del tutto, tanto che fu grazie alle politiche keynesiane e poi, purtroppo, con la guerra mondiale che se ne uscì definitivamente. Ma oggi questo inglobamento e neutralizzazione della politica si è del tutto compiuto e nessuno appare portare alcuna proposta di riforma della vita economica e civile che non sia il vuoto ed ecolalico ripetersi di slogan inconsistenti sulla crescita, sull’occupazione, sulla ripresa, sull’aiuto alle famiglie, su rigore dei conti, sulle riforme e così via. Nessuno può allo stato attuale cambiare le regole del gioco dell’economia e della finanza.

L’Italia in particolare, già laboratorio della spettacolarizzazione della vita politica nel ventennio berlusconiano, è passata ad una fase successiva ed è diventata oggi teatro dell’assoluto svuotamento e degrado della politica, attraverso la costituzione di una unica e compattissima “casta” che rappresenta, con il consenso della maggioranza del popolo, la propria posizione di privilegio nella forma più esplicita di parassitismo attivo delle risorse pubbliche, attraverso le continue ruberie perpetrate ormai non solo senza alcuno stupore pubblico, ma anche con un certo grado di comprensione ed identificazione di chi sa che “al posto loro” si farebbe esattamente la stessa cosa.

Tra gli slogan inutili si aggiunge anche quello della riforma e auto moderazione della casta stessa che ovviamente assume una carattere di puerile inverosimiglianza in quanto appare del tutto evidente l’impossibilità di un sistema (di una mentalità istituzionale consolidata) che ha come pietra angolare privilegio e parassitismo di autolimitarsi dall’interno. Sarebbe paradossale.

E dunque viene a cadere ogni residuale illusione di una soluzione politica e di un aiuto comunitario ai propri problemi concreti.

6.       Colonizzazione dell’immaginario ed espropriazione della soggettualità

Se sul piano politico l’impotenza al cambiamento è massima e palese, sui sottosistemi sociali e individuali assistiamo ad un analogo movimento di anestesia dell’azione trasformatrice indotta dai meccanismi di omologazione che lo stile di vita turbocapitalistico induce. La partecipazione attiva, spontanea e tuttavia narcotica ai propri fini che questo sistema è riuscito a realizzare tra i suoi membri è inedita e pressoché totale per cui nel tempo è divenuto sempre più arduo poter conquistare punti di osservazione divergenti e interlocutori realizzando una colonizzazione dell’immaginario pervasiva, tale da rendere impossibile intravedere e percorrere modelli alternativi di vita, di organizzazione sociale ed economica rispetto a quello esistente, il quale sembra prevedere al proprio interno tutte le possibili variazioni e trasgressioni riuscendo quindi a neutralizzare in partenza ogni autentica sperimentazione o solo un’esplorazione discorde. Se ne deduce che se questo sistema attraverso le sue coordinate non offre più la felicità ai suoi membri ciò deve essere evidentemente ascritto all’incapacità del singolo di potervi accedere.

Accade dunque che in assenza di riferimenti a stili di vita alternativi o a percorsiresilienti possibili, rintracciabili, socializzabili, gli individui che vengono pauperizzati dall’attuale crisi, in special modo all’interno delle classi medie sempre più proletarizzate, sentano il proprio mondo frantumarsi e con esso ogni parte della propria identità, vivendo in tal modo un sentimento di fallimento pressoché totalizzante. Motivo per cui si assiste in paesi come la Grecia, ed in minima parte sta avvenendo anche in Italia, ad un aumento di suicidi tra la classe media e medio-bassa.

Ma oltre a renderci tutti un po’ più fragili ed esposti a sentimenti di fallimento, la colonizzazione dell’immaginario che gli stili di vita del turbocapitalismo ha prodotto tra le altre cose una desoggettualizzazione dell’individuo adulto che si è visto nell’arco di una generazione barattare la sua eterna giovinezza con un indebolimento della sua presenza ed incidenza nella propria vita, nelle proprie scelte personali e sociali (vedi qui).  

Ricapitolando. Ed allora, come se ne esce?

Ebbene, ripercorrendo e seguendo pedissequamente tutti i punti toccati da questa pur breve analisi sulla crisi, essa andrebbe perciò affrontata nei seguenti modi:

  1. Virtualizzazione-Tossicità della realtà: riprendendo un contatto con le dimensioni reali dell’economia e de-maniacalizzando, de-tossicizzando la qualità delle relazioni con il mondo riprendendo così anche una gestione più matura e soddisfacente dell’area pulsionale.
  2. La Dispercezione dell’Economia come evento della natura (e talora soprannaturale): ricollocando le regole e le leggi dell’economia nella loro sede originaria, e cioè nel novero delle cose umane (e delle scienze sociali) e quindi reversibili, falsificabili, modificabili.
  3. La Dogmatica compulsiva Illimitatezza-Utilitarismo: smitizzando radicalmente i dogmi della neo-religione fondati sui principi dell’illimitatezza – riaffermando dunque i limiti del pianeta e delle possibilità umane – e dell’utilitarismo – dimostrando  la sciaguratezza di scelte non votate al bene comune e i vantaggi della collaborazione (vedi qui) e della gratuità
  4. La grande illusione: cancellazione dei diritti civili e delle garanzie sociali: ricominciando la lotta per i diritti civili e le garanzie sociali da dove si è interrotta ed invertita nella ricerca di un ristabilimento di un nuovo patto sociale tra individui, famiglie, comunità e società
  5. La grande impotenza: annullamento della Politica e della Democrazia: restituendo alla politica e alla democrazia autenticamente partecipativa e rappresentativa il suo ruolo primario nelle scelte della vita di tutti i giorni e sui grandi temi della convivenza civile
  6. La Mente colonizzata e desoggettualizzata: decolonizzando l’immaginario turbocapitalistico (vedi qui) attraverso la sperimentazione di nuove forme di vita comune, di organizzazione economica, di scambio materiale, relazionale, sociale.

Queste a mio parere le coordinate da tenere presente per ricostruirci come individui e collettività che provano a rialzare la testa e a costruire un futuro migliore per le prossime generazioni. Un elenco facile a leggersi, ma maledettamente complicato a tradurre in prassi, un elenco che non vuole essere una ricetta di nulla, ma solo un semplice promemoria. Ci vorrà molto tempo per attivarsi su questi punti, ma forse è utile portarci avanti con il lavoro fin da subito…

Naturalmente su ognuno di questi punti si apre un abisso di pensieri e considerazioni ancora da svolgere, e questo è solo uno spunto di riflessione, un punto di partenza. Inoltre, il punto di vista di uno psicologo è giocoforza limitato e focalizzato sul reclutamento delle risorse individuali, gruppali e istituzionali, ma non può tenere conto di tutti i piani dei problemi emergenti.

Su una cosa però sento il bisogno di mettere l’accento e cioè la necessità di stabilire le condizioni preliminari di una “cura”, intesa qui nel modo più estensivo possibile, che deve poter partire da un principio di verità. Verità della comunicazione, verità della condizione psichica personale e collettiva, verità della storia e di ciò che ha prodotto e lasciato come eredità a tutti noi. Dirci la verità è già un pezzo considerevole della cura, ma è una condizione ancora di partenza. Nutrire viceversa false aspettative è una falsa partenza per tutti, una sorta di “placebo” che ritarda e allontana da un’autentica “cura”. Provare a riparare e ristrutturare (o peggio restaurare) le condizioni che ci hanno condotto fin qui insistendo sulle medesime coordinate non è affatto una buona idea.  Occorre rapidamente revisionare il campo delle aspettative altamente dispercettive ed estranianti che caratterizzano questa nostra epoca per potersi in qualche modo resettare su ciò che realisticamente occorre fare per ri-conquistare qualità di vita, diritti, dignità.

 

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