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Come rendere giustizia a quella sedia e quelle sbarre nel reparto di psichiatria di La Spezia?

1 Apr 22

A cura di Emilio Robotti

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO) stima che almeno i due terzi della popolazione, una volta nella vita, abbia sofferto di una patologia psichiatrica, anche temporanea e non grave.

 

Oggi, si stima che un terzo della popolazione mondiale soffra di depressione ed ansia.

 

E’ quindi possibile immaginare di avere una persona molto vicina e cara, che soffre di una qualche patologia psichiatrica.

 

Immaginate si tratti di una patologia di una certa serietà, che questa persona cara abbia un aggravamento della propria patologia e venga ricoverata temporaneamente nel reparto di psichiatria (S.P.D.C. – Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) più vicino. Di andare a farle visita durante il ricovero.

 

Immaginate, quando vi rechiate nel reparto di psichiatria come visitatore, di avere a disposizione una sedia – una di quelle delle aule scolastiche, legno e metallo – posta davanti ad un cancello chiuso da dei lucchetti, con le sbarre fitte, sormontato da grate.

 

Dall’altra parte del cancello, nel piccolo cortile delimitato da muri e grate, si intravedano in primo piano dei mobili da ufficio, in attesa probabilmente di essere smaltiti. Nel cortile, anche la persona a voi cara, che potete sfiorare – un po’ a fatica per le sbarre e le grate – solo con lo sguardo.

 

Non è immaginazione. Tutto questo accade realmente nel reparto di psichiatria dell’Ospedale S. Andrea di La Spezia,

Il quotidiano Il Secolo XIX che pubblica la notizia, spiega che questa è la soluzione individuata nel reparto di Psichiatria di La Spezia per consentire, in condizioni di sicurezza, gli incontri tra i pazienti ricoverati e i loro familiari ed amici, ai quali evidentemente è destinata la sedia fuori dal cancello. L’articolo riporta la giusta indignazione dei parenti, alcuni dei quali hanno segnalato alla stampa la situazione. La notizia provoca le parole di indignazione, tra gli altri, di due esponenti molto noti della psichiatria italiana e ligure, entrambi oggi in pensione. Uno di loro, il Prof. B. Orsini, è stato relatore in parlamento della Legge 180/78, più nota come “Legge Basaglia”.
 

L’articolo ne Il Secolo XIX è illustrato dalla foto riportata in questa pagina.

 

Che non è solo un’immagine.

 

E’ dignità, negata.

 

Sono persone: corpi, menti, anime, in un luogo che non costituisce un puro e semplice contenimento, ma qualcosa che rappresenta un manicomio e/o un carcere. Sono fatti. Sono simboli di separazione e segregazione, prigionia, istituzionalizzazione. Sono simboli di un rifiuto, come  sono un rifiuto i mobili abbandonati nel cortile vicino ai pazienti.

 

Tutto ciò non può far parte del Servizio Sanitario Nazionale creato nel 1978 con la L. 833, lo stesso anno in cui la L. 180 metteva fine alla stagione dei manicomi.

 

Tutto questo rappresenta proprio quello che si voleva abbandonare con l’apertura dei manicomi. Basaglia sapeva bene, e lo diceva, che i manicomi si dovevano aprire, non chiudere. Aprire per far scomparire un’istituzione disumana come il manicomio – carcere, che era la negazione stessa del diritto ad essere una persona e ad avere una dignità.

 

Pochi giorni dopo la pubblicazione della foto e dell’articolo, una dichiarazione dell’ente ospedaliero avrebbe voluto chiarire che la sedia costituiva un atto di gentilezza verso i parenti in visita, che altrimenti avrebbero dovuto stare in piedi. Atto di gentilezza che sarebbe stato male interpretato. Quanto al cancello, alle grate ed ai lucchetti, servirebbero ad impedire il passaggio di sostanze ai pazienti, in precedenza già avvenuto. La scelta del cortile come luogo per le visite sarebbe avvenuta perché è già il luogo dove i pazienti ricoverati abitualmente possono recarsi a fumare.

 

Tutto a posto?

No.

 

Intendiamoci, non si tratta di chiedere indagini della magistratura, licenziamenti o provvedimenti disciplinari per i responsabili del servizio del reparto e dell’Ospedale.

 

La sanità italiana è da anni soggetta ad una incredibile involuzione, causata da un taglio sempre maggiore e sempre più lineare delle risorse economiche ed umane, rinviando una non più rinviabile riforma complessiva.

 

In questo contesto di depotenziamento e definanziamento della sanità pubblica, la salute mentale è la cenerentola, quella che paga di più dalla sottrazione di risorse. Anzi, la Salute Mentale più precisamente è quella che viene pagata di meno.

 

Ce lo ha ricordato proprio a gennaio 2022 anche la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ne abbiamo parlato qui, in  un altro articolo di questa rubrica).

 

Per la salute mentale in Italia, oggi, si spende solo il 2,9 per cento delle risorse complessive destinate al Servizio Sanitario Nazionale.

 

Ovvero, si spende oggi circa la metà di quanto già ritenuto necessario vent’anni fa dalla Prima Conferenza Nazionale per la Salute Mentale. 

 

Il risultato negativo di queste politiche miopi, fatta di risparmi, che hanno  incalcolabili conseguenze in termini di costi reali, non solo economici, è evidente anche in quanto succede a La Spezia.

 

Ma è evidente anche con le attese infinite per qualsiasi prestazione diagnostica o di cura, con le liste di attesa definitivamente esplose con la pandemia, che viene utilizzata come giustificazione.

 

Ma, anche senza pandemia, le liste di attesa per le prestazioni riabilitative ai bambini con disabilità continuano ad aggirarsi tra i  24 ed i 36 mesi, in Liguria. Proprio nei casi in cui precocità dell’intervento riabilitativo è determinante, esso avviene insomma a due o anche tre anni di distanza.

 

Sono episodi che rappresentano non la punta dell’iceberg, ma l’iceberg stesso,, completamente visibile in tutta la sua dimensione.

 

Episodi che dimostrano ancora una volta incontestabilmente il legame diretto tra la necessità della difesa dei diritti dei più fragili, del contrasto alle diseguaglianze, con il diritto individuale e l’interesse collettivo.

 

Sono l’altra faccia della medaglia di un Servizio Sanitario Nazionale, ancora universale, che ancora riesce a garantire, in altri casi, la cura ai bambini affetti da SMA (Atrofia Muscolare Spinale), un tempo destinati alla morte precoce, mediante l’erogazione del farmaco più costoso del mondo (un trattamento singolo con quel farmaco ha il costo di due milioni e centomila dollari). Un Servizio Sanitario che a macchia di leopardo non presenta solo inefficienze e sprechi, malasanità, ma spirito di servizio, abnegazione, sacrificio, competenze ed oasi di eccellenza assoluta, grazie ad operatori e dirigenti capaci, competenti/e, illuminati/e e appassionati/e.

 

La stessa crisi del Servizio Sanitario (ed al suo interno, del servizio di Salute Mentale) riguarda  la scuola, i servizi sociali, ambiente, vivibilità, accessibilità, lavoro, politiche demografiche, le politiche per la famiglia, per l’immigrazione e non solo.

 

La globalità e l’interconnessione, la complessità del mondo in cui viviamo, il battito delle ali di una farfalla che scatena un cataclisma dall’altra parte del mondo, è anche nelle città e nei quartieri.

 

La risposta della politica tradizionale e soprattutto istituzionale, ad una situazione grave ed aggravata dalle conseguenze della pandemia come questa è oggi la pioggia di soldi del PNRR.

 

Le risorse, i soldi, servono, anche se sono una condizione necessaria, ma non sufficiente. 

 

Determinante è come vengono spesi, sulla base di quale analisi del presente e di quale visione per il futuro.

 

Si tratta non semplicemente di spendere, ma di utilizzare le risorse per ridisegnare il presente e soprattutto il futuro delle città, dei quartieri, dei territori a partire dalla salute, dalla scuola, dall’ambiente, dal lavoro e da tutti gli altri aspetti che riguardano il diritto di cittadinanza e il contrasto alle diseguaglianze. 

 

Si tratta di rinforzare ed allargare la sensibilità e l’iniziativa individuale e collettiva, che esiste.

 

Si tratta, a fronte di una “pioggia di soldi del PNRR”, tanto decantata da una certa politica, non solo in sanità di parlare e progettare ospedali e case di comunità, integrazione dei servizi, ma di costruire partecipazione e democrazia. Democrazia che non è solo votare periodicamente dei rappresentanti, ma essere protagonisti e partecipare.

 

Per non vedere più quel cancello e quella sedia, per avere ospedali e case della salute di comunità che funzionano, per servizi territoriali integrati, sanitari, sociali e non solo, per città e territori più sani, e giusti, serve costruire comunità nei territori dove questi servizi operano e devono nascere e riformarsi, serve ridisegnare le città ed i territori con uno sguardo e un pensiero competente e scientificamente fondato che si spingano il più lontano possibile. 

 

Nel vedere il futuro la scuola, la formazione e la cultura sono altrettanto determinante della salute, così come la salute è biunivocamente legata all’ambiente.

 

Ambiente che cura o degrada, come nel caso di quel cortile, di quelle grate e di quel cancello, di quella sedia e dei suoi arredi, anche umani, nel reparto psichiatrico di La Spezia.

 

Serve una politica diversa e migliore da quella attuale, da tempo ed ancora oggi votata alla esclusiva gestione del qui ed ora, dell’emergenza che dura tempi infiniti.

 

Dobbiamo uscire da un’emergenza continua, che dura fino a che non è superata e fatta dimenticare da un'altra emergenza.

 

Costruendo partecipazione e democrazia: costruendo comunità.

 

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