Caso presentato alle assise del XIII Congresso della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi.
30 Maggio 2015. Ravenna
Sara ha 24 anni. Si rivolge a me perché travolta dall’ennesima, inspiegabile, crisi di abbuffate e vomito. Mangiare e rimettere, un biglietto di presentazione che lascia ben presto il posto ad un’ urgenza piu’ incalzante: c’è del nuovo nella sua vita affettiva. Dopo poche sedute accantona il cibo, mettendo al centro del suo dire il suo ultimo incontro amoroso, una novità che la spiazza e la interroga. Sino ad oggi ha avuto diverse relazioni con uomini, tutte accomunate da una ripetizione: l’uso del sesso e del corpo come regolatore principale del rapporto. Dall’adolescenza sino ad oggi, incontrare un uomo e non averci una ‘storia di sesso’ è sempre stato impensabile. Questo non senza far precedere all’atto sessuale una trasformazione del corpo che poteva richiedere diverso tempo. Prima di concedersi fisicamente, doveva diventare ‘bella per lui’. Senza mai averne amato nessuno, ha nel tempo modellato il suo corpo per soddisfare le fantasie e le pretese dei partner incontrati. La prima relazione significativa la ebbe a 17 anni con un istruttore di fitness. A lui piacevano le ‘palestrate’, lei assecondò i suoi desiderata ingrossando il suo fisico con pesante esercizio fisico e uso di steroidi. Per lo stilista diventa magrissima e ed emaciata, perdendo circa 15 chili con una dieta drastica. Il problema alimentare, motivo di ingresso in seduta, trova la sua collocazione : dai 17 anni in poi tutti i periodi di solitudine tra una relazione e l’altra sono stati caratterizzati dall’insorgenza di vomito e abbuffate, che si affievolivano sino a scomparire allo stabilizzarsi del rapporto. Riempirsi e svuotarsi segnavano il tempo della solitudine, durante il quale il corpo si modificava senza un padrone. La penultima relazione è quella che la segna di più. Trova lavoro presso un tatuatore, per piacere al quale degrada il suo aspetto fisico riempiendosi di piercing e tatuaggi su tutto il corpo, viso compreso. Costui mostra aspetti sadici pretendendo giochi erotici estremi e dolorosi, usando anche l’arma del licenziamento per ottenere il suo scopo. E’ così che la incontro: tumefatta in varie parti del corpo con cicatrici da taglio, segni di infezione di alcuni piercing. Il padre è una figura opaca. Ricorda il turbamento preadolescenziale di quando la portava al campo nudisti mostrandosi fiero delle sue forme. Tutto il riconoscimento avuto da lui passava per il corpo: ‘Cresci bene, guarda che bel sedere’ soleva dirle. Ancora: ‘ Fai vedere che bel seno ti è sbocciato’, frase pronunciata davanti ad altri. Un rapporto ambivalente, erotizzato, carnale, dai confini incerti. Un posto nell’altro da ottenere esclusivamente attraverso le misure. Dal ricordo di una sua frase deduco che lei ne fu consapevole e cercò di porre un limite: ‘Papà, non puoi dirmi queste cose!’. Una labile barriera che però non l’ha protetta da un sovrainvestimento del suo fisico. Da quel tempo in poi lei diverrà puro corpo per il godimento dell’Altro. La madre non si dimostrò capace di opporsi a quelle attenzioni, forse agite a sua insaputa, forse tollerate, questo oggi Sara non lo sa. Ma si pone la questione. Fu tuttavia della madre il tentativo di instradarla agli studi universitari, abbandonati al secondo anno. Ne parla come di una passione che nel tempo è sfumata ( architettura). Ella sente il bisogno di essere, e lo dice con fermezza, ‘l’oggetto bello da possedere’, frase che riassume la sola posizione conosciuta incarnando la quale trova il suo posto in un rapporto a due, aderendo in maniera plastica all’immagine corporea che l’altro ha della donna. Cosa è dunque oggi quel nuovo che la porta in seduta? Non certo le abbuffate, compagne di una vita. Ha incontrato un uomo che la corteggia senza farle alcuna proposta sessuale, né ha pretese padronali di cambiamento del corpo. Si frequentano per alcuni mesi, nel corso dei quali si licenzia e lascia il tatuatore. Le chiede di sposarla, e di seguirla all’estero nella sua attività lavorativa. Per alcune sedute porta il tormento di questa scelta, che poi fa, dicendo si ad entrambe le proposte. Accettando compie un salto con poca rettifica, un passaggio all’atto *che segna una discontinuità solo modale rispetto al cliché dell’oggetto di carne piacevole, ma tradisce ancora la ricerca di un uomo al volere del quale assoggettarsi, stavolta senza modificare il corpo. Un nuovo che le fa enigma: ‘ per la prima volta le crisi bulimiche ci sono anche mentre sto con un uomo’( per questo le definì inspiegabili ‘ ad inizio colloqui). Un resto che non comprende, abituata a vederle sparire una volta stabilizzata la relazione. Senza il corpo da modificare e offrire, vestendo gli abiti del bell’oggetto, non si sente forse del tutto legata all’uomo. Non è tuttavia la sorpresa per il perdurare del sintomo che la fa vacillare, ma l’inconscio. Sogna la vecchia cagnetta tanto amata tra le mani della madre, dalla quale lei si allontana in direzione opposta tenendo per mano un levriero che la trascina, cane che lei detesta ( ‘finto, non mi piace, non mi appartiene’). Si spaventa. Inizia a saltare le sedute, colpita da questa sorpresa con la quale non vuole più avere nulla a che fare. Ma chiede di restare in contatto con me. L’inconscio rimanda dal profondo dubbi e perplessità in merito alla scelta di vita che si appresta a fare. Lei non ne vuole sapere, e chiude questo canale mentre prepara documenti per il matrimonio. Vince la sua ritrosia a tornare in studio, da quel momento diventato il luogo ove l’inconscio ha parlato, per chiedermi di esserci. Come farlo senza che si senta minacciata? Come tranquillizzarla sul fatto che nessuno riaprirà ciò che lei non vuole aprire? Le dico che, comunque vadano il viaggio ed il matrimonio, lei potrà sempre contare su di me, nella forma che vorrà: venendo in studio, telefonandomi, scrivendomi. Questa plasticità di movimento, questo adattarsi alle situazioni privo di rettifica e consapevolezza individuale, lascia pensare ad un caso di psicosi ‘bianca’, vale a dire , usando una terminologia lacaniana, segno di un soggetto mancante di capacità di elaborazione, per il quale l’immagine, la posizione, sono l’elemento che tiene unita ed ‘incollata’ la personalità. La quale, perso questo elemento di stabilizzazione, è a rischio scompenso.
Fisso la mia presenza di segretario stabile e non invasivo, custode del sigillo da lei apposto al vaso di pandora, e mi smarco dalla sequenza di padroni incontrati. Questo la tranquillizza. Viene in seguito a salutarmi pacificata, non in studio, nel quale non tornerà più, ma in una serata dedicata ai dca, nel corso della quale mi ringrazia per il lavoro fatto e per averle dato la possibilità di tornare a modo suo. Mi ha mandato dall’estero le foto del matrimonio. Corpo, parola e inconscio. Questi i tre elementi che il soggetto porta in un’analisi. Grazie a Lacan so che la posizione di segretario può essere funzionale e stabilizzatrice, permettendo al soggetto di portare solo i primi due.
* Il passaggio all'atto è antitetico all'acting out. Nel primo caso si sottolinea la estranetià, o comunque la scarsa consapevolezza del soggetto rispetto ad azioni che tende a non riconoscere come proprie. Nell'acting out invece abbiamo a che fare con azioni di ordine transferale, che interpellano direttamente l'analista, e si prestano ad interpretazione. Lacan lo definisce un 'transfert selvaggio', ' qualcosa della condotta del soggetto che si mostra all’Altro, un ‘ che, se ‘ha preso quel posto, tanto peggio per lui.'
– i dati anagrafici, geografici e lavorativi del soggetto in questione, sono stati modificati in maniera da renderlo irriconoscibile, in ottemperanza alla legge sulla privacy.
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