Lo dico con tutta franchezza: non lo sopporterei, lo manderei malamente via allo stesso modo in cui farei con un testimone di Geova che mi citofonasse alle otto di mattina di Domenica.
Ma andiamo con ordine.
Cominciamo col dire che il problema di cosa sia la vera conoscenza probabilmente, a quanto dicono gli stessi filosofi, non sarà mai definitivamente risolto
Tutto cominciò con Platone (in fondo è stata tutta colpa sua) il quale nel Teeteto definisce la conoscenza come una credenza vera e giustificata, definizione considerata ortodossa per molto tempo dagli epistemologi.
Circa 2500 anni dopo il filosofo Edmund Gettier, un placido professore di un campus americano qualunque, in un articolo di due pagine del 1963 dimostra, trovando una serie di contro-esempi logici e formali, l’infondatezza, o quanto meno la parzialità, di questa definizione. Da qui in poi scaturisce un ginepraio di discussioni tra i filosofi analitici ed epistemologi fatto di incroci di fioretti logici nel quale si entra e dal quale – è avvertito colui che avesse l’ardire di farlo – non se ne esce più.
Non basta quindi che una conoscenza per essere definita tale sia solo 1.credenza, 2.vera e 3.giustificata, ma che abbia altre caratteristiche legate al contesto in cui essa si esplica e al grado di verificabilità dei suoi nessi di causalità (vedi a tal proposito questa bella puntata di Zettel).
L’indefinibilità della conoscenza ne fa un concetto mutabile in relazione approssimativa col proprio specifico oggetto e i propri relativi confini mobili, ma con buoni gradi di avvicinamento in alcuni casi specifici, mentre in altri no. Esistono quindi molti ambiti nei quali la conoscenza è ab initio parziale e barcamenante, laddove in altri appare maggiormente approssimata al vero. Possiamo affermare quindi che esistono diversi gradi di conoscenza a seconda di molte variabili in gioco. Inoltre, da psicologo (e non-filosofo) quale io sono, posso anche suggerire che esistono molte tipologie di conoscenza sia a partire dalle condizioni disponibili iniziali di causalità, ma anche a partire dai differenti stili cognitivi ed emotivi del conoscente, e in funzione della sua esperienza.
Ma cosa c’entra questa premessa sulla natura della conoscenza con il complottismo?
Provo a spiegarmi.
L’arrivo di internet sulla scena mondiale, ma anche sulla scena psichica, poco dopo l’inizio dell’antropocene, con i suoi nuovi codici comunicativi, relazionali, cognitivi, ha in un questa primissima fase scompaginato il progetto neurocognitivo della nostra specie disambientandola di fatto e ha fatto emergere un fenomeno che io definirei di accerchiamento o assedio comunicativo, una sorta di inflazione dell’infosfera che fa il paio con la complessificazione delle società moderne e postmoderne, la loro impressionante accelerazione in merito a molti meccanismi di adattamento, dove tra le altre cose è piuttosto lampante osservare un vero e proprio gap tra generazioni limitrofe tanto da segnare un visibile scarto di ambientamento tra nativi digitali (coloro nati durante l’era del pc e di internet) e nativi pre-digitali. Esistono anche gli adottivi digitali come me e molti altri, ma non è proprio la stessa cosa.
A fronte di tale accerchiamento informativo diventa sempre più difficile circoscrivere gli ambiti di una vera conoscenza o anche solo di una conoscenza sufficientemente approssimata, e chi frequenta i media ed in particolare il web può essersi personalmente sincerato della difficoltà ad orientarsi nel mare magno delle fonti informative, fatto questo che fatalmente ingrossa sempre più le fila di coloro che si nutrono di informazione-spazzatura e si rivolgono a fonti informative di pessima qualità, inaffidabili, suggestive, confusive. Anche l’informazione più accreditata (quella dei giornali più diffusi) sembra essere travolta dall’inquinamento delle fonti oltre che dalla partigianeria delle politiche editoriali.
Neanche la scienza e l’informazione scientifica si salvano da questa inflazione e confusione dei linguaggi e di segni: basta vedere, ad esempio, l’infimo livello della divulgazione in psicologia e scienze affini per potersi fare un’idea dell’impossibilità di impostare un ragionamento minimamente complesso o anche solo elementare che si emancipi solo di poco dal modo antinomico e dicotomico o dall’opinionismo o dall’uso del tutto improprio di terminologie giornalisticamente suggestive (tanto da giustificare negli anni scorsi la nascita di una task-force di sbufalatori, ma è come svuotare l’oceano con un secchiello).
Accade dunque che a fronte di una maggiore democraticità dell’accesso alle fonti è parallelamente aumentata, e di molto, la probabilità di inquinamento delle stesse. Diventa perciò sempre più difficile orientarsi all’interno di una fitta nebbia di rumore di fondo impossibilitati a distinguere in esso se non un senso almeno un segnale.
Oltre a questo effetto-nebbia l’ambiente del web creando di fatto mondi del tutto abitabili ma paralleli, che per molti che lo frequentano rimangono tali, facilita un movimento di scissione e compartimentazione delle realtà che non agevola per nulla i meccanismi di autocorrezione che la nostra mente, in condizioni di socialità, si può invece consentire.
Ma in un ambiente nebuloso, privo di punti di riferimento e per di più sottoposto ad una compartimentazione interna la mente tende ad agganciarsi ovunque può. Le euristiche personali, che mediamente consentirebbero prestazioni cognitive di livello “x” e che con minori variabili in gioco consentirebbero un certo discernimento, in condizioni svantaggiose come quelle che sto descrivendo peggiorano verticalmente. Le percentuali statistiche di coloro in grado di orientarsi e costruirsi opinioni fondate su una conoscenza almeno verosimile diventano darwinianamente e spietatamente bassissime.
Il complottismo diffuso altro non è che un modo di esistere della mente nelle attuali condizioni infosferiche, divenuto solo più comune. Indica un disagio collettivo nel quale naturalmente allignano, ma in numerosa compagnia, coloro che già prima di questa era sarebbero comunque stati diagnosticamente rilevabili, con la differenza che oggi queste modalità di esistere della mente, vicine alla suggestionabilità oppure ai tratti paranoidei, diventano paradossalmente più comuni e quindi meno evidenti.
Da un certo punto di vista il modo complottista di esistere indica un riazzeramento delle condizioni della conoscenza e di conseguenza la necessità di un riallineamento su differenti regole di accesso e di movimento su territori in buona parte sconosciuti che richiedono nuove mappe e differenti paradigmi della soggettualità.
Attendiamo con trepidazione la nascita di “educatori dell’informazione” o meglio dire di sherpa del web che aiutino a ri-orientarsi e accompagnino i turisti sperduti in queste lande sconosciute.
Euristica.mente anche le
Euristica.mente anche le religioni e prima ancora lo spiritismo sono proiezioni complottiste usate da chi detiene il potere e l’informazione per modellare la realtà a propria immagine.
Messaggi contraddittori, poi, convergono anche nelle menti illuminate, come quella sul folle consumo di risorse non rinnovabili e la riduzione nel nostro Paese di indigeni prolifici.
L’uso di informazioni corrette è in pratica disprezzato dalle masse, che preferiscono informazioni ‘godibili’, sotto tutti i punti di vista.
In Italia il ‘nulla’ è diventato poi la base dell’agito soprattutto in politica, con l’azzeramento del valore dell’informazione, la sua contraddizione, l’iterazione della contraddizione o dell’annullamento, finchè non resta appunto che il nulla godibile e l’assenza di agito.
La convergenza khuniana delle rivoluzioni scientifiche o la falsificabilità popperiana sono state pervertite e ‘nuovo’, ‘diverso’, ‘altro’, ‘mio’ ed altre funzioni logiche primarie sono state sconvolte dagli sponsors.
Darwinismo dell’informazione, effetto butterfly, ecologia della mente, convergenza evolutiva, etica finalistica…come dire, diamo un senso alla vita, che un senso non ce l’ha, soprattutto oggi, quando anche la storia diviene ‘parola’ e svuotata da una sirena del suo significato di ‘memoria’.
D’altronde noi sappiamo che l’io non esiste ed è solo una funzione temporanea automatica ed autoreferenziale, finchè non inciampa…