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CONVEGNO A BARI: “LOTTA ALLE MAFIE – Giustizia, Impresa, Istituzioni e Società: uniti si vince

29 Gen 16

A cura di rossana.putignano

Il 28 Gennaio u.s. l’A.p.A (Associazione Per Avvocati) ha organizzato un simposio presso la Sala Consiliare del Tribunale di Bari dal titolo “LOTTA ALLE MAFIE – Giustizia, Impresa, Istituzioni e Società: uniti si vince!” . Ospiti illustri hanno occupato le poltrone dei relatori ed emozionato tutti i convenuti dall’inizio alla fine.  A condurre magistralmente l’evento è l’avv. Michele Rapanà, vicepresidente Apa, il quale ancora una volta, mostra la volontà di operare ex professo con una campagna di informazione e formazione per il bene comune. L’impegno dell’organizzatrice l’avv. Maria Giovanna Del Vecchio è stato straordinario e a lei vanno le congratulazioni per l’ottima riuscita dell’evento.

Ad aprire il congresso è l’ avv. Giuseppe Stefanì, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Bari il quale incita i giovani colleghi iscritti all’Ordine, a dare un contributo alla lotta alla mafia attraverso l’informazione uscendo dall’autoreferenzialità; infatti, gli avvocati hanno un compito istituzionale e possono contribuire a questa lotta attraverso l’impegno e l’associazionismo, militando, ad esempio, nel gruppo anti usura; spiega Stefanì : “oggi non si parla più della paura dell’imprenditore, oggi sembra quasi che gli convenga seguire la strada della criminalità e gli avvocati hanno il compito di offrirgli un' alterativa” attraverso l’informazione. Il tema della prevenzione vs repressione di cui parla Stefanì sarà il fil rouge che lega tutti i relatori, ognuno con la sua professione e professionalità e credo, sia stata questa l’arma vincente del congresso; non a caso la massima “insieme si vince!” è una parte del titolo e l’unione e la comunanza degli intenti è sempre preferibile alla “cultura dell’Io” e alla “logica di bottega” denunciata dal Mons. Franco Lanzolla. Occorre uscire dall’autoreferenzialità a favore del “Noi” , questo è il vero tema del simposio.

Proseguono i saluti di Giuseppe Barile, Presidente APA il quale ci invita a riflettere su una “didattica al contrario” secondo cui i genitori rivendicano i figli ammazzando la gente “per proteggerli” , anziché educarli. Per Barile, non si tratta solo di un problema di cronaca nera, c’è proprio un vuoto educativo che potrebbe essere contrastato solo da un “esercito di maestre”, citando Saviano, ed è proprio l’insegnamento e il sentire il bene comune che ci salveranno.

E’ il turno del Dott. Giuseppe Volpe, Procuratore della Repubblica del Tribunale di Bari il quale disserta analogamente a chi lo ha preceduto, sul tema della prevenzione che è ad appannaggio del potere esecutivo ma purtroppo lo Stato non mette a disposizione i mezzi (anche informatici) per raggiungere determinati obiettivi; orbene, per combattere la mafia – spiega Volpe –non ci resta che “instaurare con la gente un rapporto di fiducia, la gente deve poter capire che di noi si può fidare” . Per quanto concerne l’impresa, si stanno mettendo in atto dei protocolli che prevedono ad esempio l’installazione delle telecamere di sorveglianza o l’impegno alla denuncia in caso di racket e estorsione. Spiega il Procuratore “ a Bari sta funzionando questo protocollo ma a Foggia la cosa è più complessa perché tutti dicono non abbiamo mai avuto minacce, dunque risulta veramente difficile individuare dei collaboratori di giustizia. Il procuratore sottolinea la necessità di uno sforzo comune. solo così è possibile essere ottimisti per il futuro. Oltre al protocollo messo in atto con gli imprenditori nel barese, si sta paventando la possibilità di istituire per chi non collabora il reato di “concorso esterno in associazione a delinquere” affinchè gli imprenditori possano cambiare atteggiamento nei confronti di chi potrebbe aiutarli.

Prosegue il Sostituto Procuratore della Repubblica D.D.A presso il Tribunale di Bari, il Dott. Giuseppe Gatti toccando il cuore di tutti: " era il 7 Dicembre 1990: a Capo d’Orlando è costituita una associazione di imprenditori. Si riunirono ognuno con il suo dramma senza sapere che in quel momento si stava facendo la storia " e l’unica maniera per combattere la mafia è, appunto l’associazionismo perché “la potenza della mafia non è dentro ma fuori, nel vuoto di comunità che genera solitudine e che diventa silenzio mortale”. Ricorda Gatti la reticenza nel collaborare di un collaboratore di giustizia:

non ho paura dei mafiosi, il mio problema è che domani quando si saprà in giro nessuno più verrà a prendere il caffè da me” .

Questo è il vuoto di comunità che genera solitudine “gli imprenditori hanno voluto combattere, non sono uomini soli, loro chiedono aiuto ma rimangono soli” . E’ questo il fattore x che non può essere né denunciato né controllato ed è proprio in questo vuoto intorno all’imprenditore che risiede la forza della mafia. La legalità mafiosa è una legalità patologica, è una legalità dell’Io; l’affiliazione ai gruppi mafiosi,addirittura, prevede un rito di iniziazione chiamata “tirata” in cui il neofita si fa incidere il braccio dal battezzando che berrà il suo sangue. Bevendo il sangue ci si appropria dell’altro; l’altro diventa, con un gioco di parole, “cosa nostra” . “A questa affiliazione esiste, tuttavia, una seconda possibilità, quella dell’incontro, la legalità indicata nella costituzione”spiega Gatti “la dimensione del NOI è ancora possibile; i percorsi personali di difficoltà devono confluire in processi di riscatto e emancipazione” . Il procuratore insiste ancora sulla “forza del noi” nel senso che solo insieme si è più forti, si è vincenti perché “il lieto fine non si trova mai dietro l’angolo, mai a buon mercato” : questa deve essere la fede dell’antiracket, la fede del NOI!

Sulla stessa scia, il discussant Dott. Gaetano Grasso, Presidente della F.A.I. (Fondazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiana), sottolinea la necessità di “adottare delle risposte che vanno oltre”, nel senso, che come suggeriva il buon Falcone, bisogna andare oltre il giudiziario e mettere in campo non solo competenze diverse, ma anche soggetti diversi, al di là dell’orizzonte giudiziario. Secondo Grasso “l’idea sbagliata è quella dell’allargamento dell’intervento”, “l’elemento x non può essere oggetto di perseguimento penale perché il cittadino che non entra nel bar non è perseguibile ed è giusto che sia cosi” . Ecco perché diventa indispensabile l’associazionismo che organizza: la criminalità organizzata ha bisogno di una risposta organizzata! “Gli imprenditori insieme vincono la paura e diventano più forti”! Questo è il messaggio chiave di tutti i relatori vogliono lanciare, ovvero, quello di uscire dalla propria autoreferenzialità e darsi all’altro, al bene comune.

Altro magnifico intervento è quello dell’avv. Maria Giovanna Del Vecchio, avvocato e anche un po’ psicologa, vicina a quelle che sono le vittime del Racket e della criminalità organizzata, incarnando perfettamente l’idea del professionista che va “oltre” il giudiziario. L’avvocato si è interessato al discorso del gioco d’azzardo e della ludopatia cercando di comprendere quelli che sono i meccanismi e tratti psicologici dei ludopatici su cui fa leva il discorso mafioso, ma non solo: anche lo Stato appare “poco virtuoso”; secondo l’avvocato, “lo stato fa poco per il gioco d’azzardo; laddove c’è crisi economica il gioco d’azzardo aumenta e lo Stato continua a dare le licenze per l’apertura delle sale da gioco che finiscono per diventare dei veri e propri luoghi di ritrovo”. Il gioco d’azzardo crea senza dubbio dipendenza e lo Stato fa cassa su questa dipendenza acquisendo il 25% di ogni giocata, senza tenere presente l’impatto sociale che ha un simile business come l’impoverimento o l’aumento dei divorzi se non quello dei suicidi per depauperamento economico. Spiega l’avvocato Del Vecchio: “ è proprio sulle dipendenze che la mafia si insinua” “Lo stato quello che ha fatto per le sigarette non lo ha fatto per le macchinette” ( ndr. Sulle sigarette è stata posta l’etichetta “il fumo uccide”, per le slot machine non viene spiegato che creano dipendenza). Lo Stato, dunque, è complice della mafia perché la mafia agisce proprio sulle dipendenze, problema che non si riesce ancora ad arginare proprio perché lo Stato si rende complice di questo mercato, facendo cassa sulla fragilità delle persone. Come se non bastasse, vi sono sale per i minori di 18 aa. in cui i ragazzi vengono “addestrati” all’uso delle macchinette: possibile che lo Stato voglia questo per i giovani? Una soluzione potrebbe essere, secondo l’avvocato Del Vecchio, quella adottata dalla Regione Lombardia che ha vietato l’apertura delle sale a una distanza inferiore ai 500mt dai luoghi sensibili e ha predisposto  agevolazioni fiscali per chi non installa slot machine. Come se non bastasse – ha scoperto l’avvocato – “in queste video-lottery è possibile inserire le banconote e premere il tasto della non giocata, diventando così meccanismo di riciclaggio del denaro sporco e lo Stato ha dimostrato di prestare il fianco a queste attività” .

Per ultimo ma non per questo meno importante, l’intervento di Mons. Franco Lanzolla che ha commosso tutti per l’impegno che profonde da sempre per il recupero dei giovani della città vecchia di Bari. Purtroppo spiega Don Lanzolla “non ci sono persone che guardano con lungimiranza questa città, c’è l’interesse di bottega, non c’è la comunità sociale” , “l’uomo è in crisi, è in crisi perché c’è un deficit educativo, la società è fondata sull’arricchimento, solo chi possiede è capace di comprare il piacere. A Bari vecchia dicono l’importante è avere invece il processo educativo non deve passare da ciò che ti fa piacere, da cioè che ti conviene ma da ciò che è giusto”. “ C’è molta insicurezza – denuncia Don Lanzolla – per questo motivo si entra nei gruppi, spesso devianti. Il problema è tornare a educare, ad avere un orientamento agli atteggiamenti interiori e la prima struttura di socializzazione è la famiglia. Il problema è la relazione in cui io non riesco a vederti, ho bisogno di tutto preconfezionato, non mi voglio costruire. Il problema è, infine, la delega: bisogna prendersi la responsabilità di costruire individui liberi”.

Al termine del convegno,nessuna standing ovation ma tanta commozione e applausi. Davvero un buon lavoro. Siamo orgogliosi di questi uomini.

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