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Corrado Tumiati e i suoi ricordi dei Tetti rossi

4 Set 19

A cura di Gerardo Favaretto

Corrado Tumiati appartiene a quel genere di psichiatri scrittori che, con destini  più o meno gloriosi, è stato sempre ben popolato. La psichiatria ha costantemente avuto, in particolare nel periodo in cui si stava costituendo come forma di sapere, una forte anima letteraria. Anima che tutt’ora viene conservata in quella forma di psichiatria narrativa che spesso risulta piuttosto efficace nel da voce al mondo interiore delle persone che soffrono, anche se non sempre questo approccio letterario- ermeneutico è garantito dalla assenza di distorsioni dovute all'’atteggiamento  "proiettivo" di chi scrive. Purtroppo  è quel genere di narrazione che,molto spesso, finisce con il riempire le pagine dei rotocalchi o dei social media e che smarrisce ogni autentica memoria dell'incontro con la persona.
Dalla psichiatria molti medici sono  transitati alla scrittura, con fortune alterne, ricavandone  alterna fama [1]. La scrittura di questi autori risente della loro esperienza e si muove dentro un’area  che non ha confini chiari e che va dalla lettura clinica, alla narrazione  della psicopatologia, fino al quelle forme di racconto che  con la psicopatologia poco hanno  a che fare. Qiueste narrazioni conservano , però,  una attenzione all’interiore del personaggio , alla sua esperienze del mondo, a come le emozioni lo condizionano e  si intessono dentro cognizioni e pensieri divenendo   esperienze vissuta.
Fanno da contraltare a questi psichiatri scrittori tutti quegli autori  che si sono cimentati con successo più meno grande (spesso grandissimo) con la cosiddetta “dimensione psicologica” di storie e personaggi.  Dai grandi della letteratura Russa , fino agli esempi novecenteschi del grande romanzo  o  ai testi  nostrani di Svevo o Giuseppe Berto, solo per fare degli esempi di classici,  dove l’esplorazione del mondo interno   è stato il punto di vista dal quale si è prodotto una scrittura.
Corrado Tumiati, che sarà  nella sua vita un noto scrittore , traduttore e giornalista  nasce in una famiglia di elevata levatura culturale, a Ferrara alla fine dell’ottocento ( 1885) e fino agli anni ‘30 fa lo psichiatra lavorando nei manicomi di Pesaro , Siena , Venezia. Il suo fondo, donato dalla figlia,  è conservato a Firenze, città nella quale morì negli anni 60 ( 1967)  .
Come psichiatra lavorò soprattutto a san Servolo, a Venezia, per 20 anni. Scrisse diversi lavori scientifici di cui si può comodamente trovare l’ elenco nella sua scheda biografica consultabile presso  l’ottimo Archivio Storico  della Psicologia Italiana ,ASPI [2].
Partecipò alla prima guerra mondiale e lavorò come medico dirigendo alcuni ospedali da campo e da questa esperienza trasse uno dei propri libri più noti "Zaino di sanità" che nella ultima edizione del 2009 riporta anche note e commenti sula sua figura di autore e traduttore.
Nel 1920 fonda il periodico La Voce Sanitaria che, nel 1926 ,cambia il titolo con quello di "Igiene Mentale". In questo periodo Tumiati, che lavora a san Servolo,  si dedica attivamente alla sua professione e fonda un "Patronato per i malati di mente" e un "Dispensario psichiatrico" per l'assistenza minorile.
“Igiene mentale” fu la voce della Lega italiana per la lotta e la profilassi delle malattie mentali ovvero di quella Associazione che, a partire dagli anni 20, si costituì con  una spiccata vocazione a una visione sociale della malattia mentale e che promosse l’istituzione di ambulatori e residenze alternative la manicomio. [3]
E’ interessante notare che, a quanto riferiscono le biografie di Tumiati, egli si dimise dall’ospedale di san Servolo proprio per i contrasti con la amministrazione provinciale e per la poca considerazione che veniva data a quelle iniziative territoriali. Sembrerebbe vi fossero pure, da parte di Tumiati, contrasti con la prefettura fascista, di cui non condivideva l’ideologia.
Si dimise per fare lo scrittore, si trasferì a Firenze  e la sua carriera come scrittore e traduttore sarà brillante, fino alla sua scomparsa nel 1967.
Nel 1931 vince il premio Viareggio per il suo lavoro “I tetti rossi”[4] che ha come sottotitolo “Ricordi di manicomio” ed è di questo testo così elegante e originale che qui si parla.
Tetti rossi è il nome che le persone danno al manicomio; Tumiati dice che ospedale psichiatrico o manicomio sono definizioni per  tecnici,  ma le persone  "normali" hanno scelto un nome diverso  che insieme è un’icona e un decorosa allusione. I tetti rossi  rappresentano mura e coperture diel manicomio  visto da fuori .
E’ un libretto di poco più di un centinaio di pagine scritto con grande delicatezza e con uno stile quasi pittorico. Tinte ad acquarello che catturano momenti di esperienza, memorie appunto, di quello che evidentemente non è uno specifico manicomio ma il riassunto degli ospedali nei quali Tumiati ha lavorato .
La sua scelta non è né di svolgere una trama , magari autobiografica, né, tanto meno, quella di romanzare la storia di uno o dell’altro dei ricoverati ma , al contrario, in brevi racconti , riunire scampoli di memoria,  anche di mezze pagine, e  di narrare brevi episodi  o momenti o semplicemente descrivere dei personaggi che ha incontrato  sotto e fuori  dei Tetti rossi.
Suore , medici , infermieri , ammalati , parenti , personale di servizio , ci sono tutti ; rispettosamente ma con chiarezza trattati allo stesso modo con una affettuosa assenza di indulgenza ; sono una sorta di archetipi della loro specie, di matrici primitive di tipologie di personaggi ma anche di menti e di situazioni.
Per le Suore sembra avere una non celata attrazione; esse  sono narrate in più parti[5]  quasi spiate a cogliere gli aspetti di una femminilità velata, ma presente, lontana e innominabile ma che si insinua  sempre nel suo punto di vista di narratore. Le suore dai cui volti , il silenzio o poche parole  sono capaci di far emergere dolori e frustrazioni ma anche un metodo paziente,  la preghiera , la presenza di un divino, che sta da qualche altra parte ma probabilmente non  lì in manicomio.
E poi i parenti e la loro ipocrisia, neppure troppo nascosta, quella specie di critica, un po’ carica di rancore di chi li vede passare, magari disinteressati, per testimoniare della loro assenza e che si sente di doverli,  a malavoglia, sostituire in un accudimento che mai sarà familiare[6].  Parenti che accompagnano la figlia a ricoverare e a cui il medico che li accoglie chiede “ chi dei due?“ con la chiara allusione che a dover essere ricoverato è il padre non la figlia come dicono “le carte” [7].
E poi gli infermieri [8]sempre presenti , sorridenti ,  anime da contadini, all’epoca , trasportati in un orto recintato dove si coltivano piante e si accudiscono  greggi ,” di uomini e donne[9].
Il racconto di un’emergenza , Primetta , davvero straordinariamente ordinario per la vita di un luogo di degenza ma anche cintato e chiuso ,  e quello di una vista a domicilio “ Interno”.
Il breve racconto delle dimissioni dipana, come una matassa, i fili del pregiudizio [10]: un matto dimesso la mattina rischia di rientrare subito alla sera perché a chiunque chiede aiuto e fa presente la sua miseria chiunque , persino il prete, pensa : il matto uscito dal  manicomio. E Tumiati dice che poi qualcuno l’ha aiutato fuori, che la miseria va combattuta e che se le persone sono aiutate fuori del Manicomio quel matto diventa di nuovo persona . Alla faccia dello stigma che ancora non si chiamava così e dei servizi del territorio che allora erano immaginati e timidamente sperimentati e di cui racconta poi in modo toccante ne “I poveri al dispensario” un rispettoso collage di storie di vita fuori del manicomio per persone che non hanno nulla .  
E' con  gli psichiatri che  Tumiati dà, davvero, il meglio di tutta la sua capacità descrittiva. La tipologia dei colleghi il direttore e poi il dottor L. il più ammirato “non più metafisico, non ancora tutto fisico : psichiatra.” Mi corre d’obbligo riportare qualche frase :
“Sensibile come un artista dotto come un sapiente, assapora i suoi malati come le tante sigarette che schiaccia contro la bocca col palmo della mano attento quasi geloso del segno del gesto della parola del grido che gli consente che gli consentono di sbalzar via, con un tocco della realtà confusa il tipo con la malattia. Psicologo ma non della psicologia delle scuole, invece di quella che si fa in vivo osservando sistematicamente gli uomini nei loro pensieri, nei loro effetti, nella loro condotta”
“Di tutti i medici quello del manicomio e costretto ad una vera e propria segregazione … ve lo costringono infine gli ammalati stessi i quali, una volta guariti, sfuggono spesso lo psichiatra come se avessero acquistato, con la ragione, un pavido diritto di temerlo anziché il dovere ad amarlo” [11]
E infine, con una tranquilla e lucida ironia, il più facile dei disegni: gli psichiatri che parlano fra di loro degli altri colleghi durante un congresso
“E mi piace, allora, ascoltare i commenti dei colleghi che <non prendono parte alla discussione>non è nulla di più ferocemente  ameno degli psichiatri che si giudicano fra di loro con un frasario nel quale  l'innocente linguaggio delle diagnosi si colori o si intorbida per la passione che le muta in  giudizi.
– che cranio, se arriva a 45 è molto
-quanti superlativi è un isterico
-barba, fronte, orecchi è una testa da trattato
-mi spieghi perché quello là ride sempre mentre parla(…) Già parla di cellule e ride,  cita un autore e ride. E’ un ticcoso. E’ uno schizoide. O un imbecille e così via[12]
Graffiante descrizione, Corrado Tumiati, è proprio  la Tua descrizione che è “ferocemente amena”. Oggi Ticcoso non lo  diremmo mai , e forse non diremo 45. ma 70, e poi non noteremo troppo la conformazione del cranio. E la barba poi ce l’hanno tutti, o quasi. Oggi per questo sarebbe diverso.; ma solo per questo.
Non è l’ultima nota , ma forse, avrebbe dovuto esserla. Si intitola “L’agitata” e lascia, fra le pochissime righe, intravvedere l’onesta umiltà e l’imbarazzo di un necessario e  rispettoso  silenzio . comincia e finisce così :
“ Te no , veramente, non posso descrivere”
Non l'hai fatto Tumiati; hai capito che  è della tua impotenza di medico e di curante  che avresti dovuto parlare . E ti siamo grati del tuo silenzioso riserbo dal quale, sempre abbiamo da imparare.
 

[1] Altro caso interessante che penso di prendere in esame in un prossimo intervento nella rubrica è quello di Luigi Romolo  Sanguineti
[4] Corrado Tumiati, I tetti rossi. Ricordi di manicomio, Milano, F.lli Treves, 1931
[5] “Monache “ e “Lezione difficile”
[6] “La Sposa” e “la Madre”
[7] “la Figlia”
[8] “Ritratto di un infermiere”
[9] “Cronici Tranquilli”
[10] “Libertà”
[11] “Colleghi”
[12] “Congresso”

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