Le speculazioni sulla salute dei cittadini e l’uso della pandemia da parte delle oligarchie economiche per imporre alla politica il loro potere e la loro assenza di visuale sull’interesse collettivo, non devono oscurare l’innegabile utilità della vaccinazione. L’opposizione politica al vaccino ostacola il superamento della pandemia e aiuta a mantenere vivo un senso diffusissimo di precarietà psicologica e sociale che mina la democrazia. Il nemico vero che i democratici devono combattere sono la grave iniquità e la precarietà dei legami sociali e degli scambi che dominano l’intero pianeta. La globalizzazione si è realizzata, in barba ai suoi profeti messianici, come processo selvaggio di predazione (radicalmente avversa al desiderio) dei beni comuni che nella fragilità generale ha trovato il suo “terreno di cultura” elettivo. La predazione ha creato un potere illegale regnante in grandissima parte del mondo e ha cortocircuitato e infiltrato le istituzioni dei paesi democratici al punto che, talvolta, è forte la tentazione di confonderle con la mentalità illiberale che le infiltra. Cedere a questa tentazione è un errore politico.
Nel mondo globalizzato e non governato -se non da regolazioni della vita in comune che seguono la logica dell’interesse più avulso da scrupoli etici- gioca un ruolo centrale la paura. Nel rifiuto, dichiarato o meno, di vaccinarsi -il sintomo attuale di un malessere psichico esistente da tempo che ha ricadute politiche molto importanti- convergono, tra altre, due forme di paura. La prima è la paura nei confronti della ragione. La paura del senso della misura, della moderazione e dell’intuizione feconda, legata al gusto del vivere, con cui si elaborano i desideri e le emozioni e si governano le proprie azioni. La ragione è di primo acchito temibile perché in un mondo che perlopiù sragiona, affidandosi allo strumento “vincente” del determinismo (alleato dello sfogo coatto delle emozioni), è vissuta come poco credibile, foriera di pericolose incertezze. Più insidiosamente la ragione è identificata, nel mondo confuso in cui viviamo, con il suo opposto: il pensiero freddo, anonimo che imprigiona il mondo nei suoi modelli algoritmici, totalizzanti. Così si rigetta l’amico al posto del nemico e di quest’ultimo si diventa schiavi. Si perde di vista il legame tra l’emotività impulsiva (pensata fallacemente come autenticità) e l’anafettività e si attribuisce l’assenza di emozioni alla ragione.
La seconda forma di paura nei confronti del vaccino, più specificamente legata alla pandemia, è il risultato di un cambiamento d’oggetto. La paura del virus, oggetto conosciuto, ha alimentato paure preesistenti nei confronti di oggetti sconosciuti dell’infanzia e ha creato uno stato di tensione psichica supplementare. Inoltre, la difficoltà oggettiva di affrontare il pericolo con strategie di attacco o di evitamento e l’isolamento affettivo provocato dal lockdown hanno creato in tanti una destabilizzazione psichica avvertita come pericolo interno. Superato un limite la destabilizzazione costituita come persecutore interno indefinito si è esteriorizzata e concretizzata nella forma di un nemico in grado di compattare difensivamente la psiche. Il vaccino, un “alimento” proveniente da una autorità politica percepita come “matrigna, inaffidabile e velenosa, è qualcosa che si può scegliere di prendere o non prendere mentre il virus ci sceglie, non lo scegliamo. Fare del vaccino il persecutore esterno da combattere in nome della libertà personale, è diventata una via d’uscita da un’imbarazzo profondo a vivere che in alcuni casi implica una sfida alla morte, in realtà un’inconscia identificazione con essa. Vissuto come affermazione della libertà, il rifiuto di vaccinarsi mette in scena una sua drammatica assenza. Questa assenza, una domanda abortita di libertà, che non è un fenomeno marginale, è più preoccupante, in prospettiva, del rifiuto stesso.
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