“La pulsione sessuale o, per meglio dire, le pulsioni sessuali, poiché una indagine più analitica ci insegna che la pulsione sessuale è formata di molte componenti, di molte pulsioni parziali, è verosimilmente più sviluppata nell'uomo che nella maggior parte degli animali superiori e, comunque, più costante giacché ha quasi completamente superato la periodicità alla quale appare legata negli animali. Essa mette enormi quantità di forze a disposizione del lavoro di incivilimento, e ciò a causa della sua particolare attività assai spiccata di poter spostare la propria meta senza nessuna essenziale diminuzione d'intensità. Chiamiamo facoltà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un'altra, non più sessuale, ma psichicamente affine alla prima” (S. Freud, 1908; ed. it. 1972).
1. Fra la fine del ‘900 e l’inizio degli anni 2000 David Le Breton inquadrava la crescente propensione dei giovani ad istoriare il proprio corpo con piercing e tatuaggi, e a mettersi alla prova attraverso alcune condotte a rischio, come un insieme di riti intimi paralleli, che avevano cominciato a diffondersi in base all’eclisse nella nostra società metropolitana e occidentale di riti di passaggio pubblici e condivisi. Deficit che spesso, più che all’assenza di cerimonie pubbliche di passaggio, oggi è dovuto ad un duplice misconoscimento: quello soggettivo di coloro (ad esempio i docenti) che pure oggettivamente continuano a svolgere funzioni sacerdotali in questo tipo di cerimonie; e quello della nostra società, che per varie ragioni è portata a non rilevarne la presenza[1].
2. Certo è che a oltre vent’anni di distanza dalle analisi di Le Breton oggi, a fronte del persistere di questo duplice misconoscimento, assistiamo da una parte al diffondersi di riti paralleli ormai non più intimi, ma non per questo riconducibili ad una ‘moda’; dall’altra al diffondersi del precariato che implica il prolungamento sine die dello stato di margine tipico dell’adolescenza e la conseguente assenza di cerimonie di aggregazione all’età adulta, che costringe un numero crescente di giovani in una zona d’ombra che si dilata sempre più nel tempo[2].
3. Queste le modalità attuali in base alle quali l’ex-infante si appresta lentamente e confusamente a entrare – prima o, più probabilmente, ‘’poi” – nel mondo adulto (Laffi). Ed è con questo sguardo centrato su questa fase già avanzata del processo maturativo che noi guardiamo agli adolescenti ed ai giovani adulti di oggi, stupendoci di scorgere in loro tutta una serie di elementi che alludono più o meno apertamente al concrezionarsi dentro di loro di una identità nella quale facciamo fatica a ritrovarci. Ebbene la prima risposta che dobbiamo darci allorché constatiamo con stupore e a volte con paura queste diversità è che esse sono il frutto di una nostra opacità e di una nostra rinuncia. Quella di non aver colto esaurientemente e per tempo l’esigenza di istituire cerimonie di passaggio in grado di permettere agli adulti di domani di essere condotti dagli adulti d’oggi verso l’età adulta, senza che gli uni e gli altri cedano alle ansie ed alle angosce legate al passaggio.
4. Tenendo presente che, come spiegano Weinstein e Platt, tutto il lavoro di riproduzione sociale – all’interno del quale si collocano a pieno titolo le cerimonie di passaggio – richiede un supplemento di impegno allorché si esplica all’interno di culture dinamiche come la nostra in cui ciò che passa da una generazione all’altra, lungi dall’essere la fotocopia del passato, si ridefinisce in base alle esigenze del presente ed alle attese nei confronti del futuro. E tenendo presente altresì che uno degli elementi di fondo sui quali incide il lavoro di riproduzione sociale è la specifica combinazione fra ‘carattere etnico’ e ‘inconscio etnico’ (Devereux) assunta dagli individui di una determinata cultura in un determinato momento storico; vale a dire l’insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti previsti e introiettati da una parte, e l’insieme di quelli non tollerati e rimossi dall’altra.
5. Ora una delle caratteristiche specifiche del nostro presente è nel passaggio dal regno di Edipo a quello di Narciso. Cioè da una società in cui prevalevano profili di personalità di tipo anancastico ad una in cui prevalgono profili di tipo anaclitico. Ciò implica sul piano della definizione del carattere etnico il passaggio dall’etica del lavoro all’estetica consumista; dal prevalere di elementi superegoici al primato dell’idealità; da processi di adultizzazione avvenuti dopo aspre lotte contro imago genitoriali forti all’assenza – come abbiamo cercato di evidenziare sopra – di sacerdoti del passaggio cui parametrarsi. E sul piano dell’inconscio etnico: dalla rimozione ieri di ogni istanza pulsionale che non fosse stata trasformata e asservita a quel particolare principio di realtà tipico della novecentesca società dei produttori che Marcuse aveva definito principio di prestazione, alla vera e propria eruzione, oggi, di ogni pulsione parziale che, lungi dall’essere rimossa o resa funzionale alla produzione, viene incentivata e funzionalizzata al consumo, in modo che l’unico elemento in grado oggi di dare spessore all’essere è paradossalmente l’avere.
6. In questo modo ad un vecchio ‘lavoro di incivilimento’ se ne sostituisce un altro: ad una vecchia modalità di alienazione una nuova, evitando ogni giudizio morale sull’uno e sull’altro modello. Rimane da inquadrare il tema dell’identità di genere, che oggi si tende a vedere in termini esasperati, per motivi che spesso hanno poco a che vedere con il più generale tema dell’identità, all’interno del quale invece a mio avviso va inquadrato. Evitando in ogni caso di confrontare il presunto nuovo concetto di identità di genere con l’altrettanto presunto vecchio concetto di identità sessuale, poiché ciò equivale a confrontare come si dice le mele con le pere. Infatti quando oggi si dice che l’identità di genere non va cercata negli organi sessuali biologici, ma nel cervello si afferma l’importanza che anche su questo piano ha il lavoro di incivilimento, cioè il lavoro di spostamento delle pulsioni parziali dalla meta originaria in direzione o della sublimazione, o della formazione del carattere. In modo che l’insieme delle pulsioni parziali si distribuisca o su vari piani in base alle specifiche esigenze della cultura cui gli individui appartengono in un determinato periodo storico.
7. Per cui anche ieri quella che oggi si chiama ‘identità di genere’ non avveniva -per capirci- così come appare sulla carta d’identità, cioè in base all’organo sessuale biologico di appartenenza, ma a partire ‘dal cervello’, cioè in base al lavoro di incivilimento tipico della nostra cultura di ieri, cioè di quella che incubava Edipo, ed era denominato “identità sessuale” e non di genere. Solo che ieri all’interno della camicia di forza del principio di prestazione le possibilità di espressione delle pulsioni parziali nella messa in atto erano fortemente inibite e massivamente considerate socio-distoniche. Mentre oggi nel regno di Narciso le nuove esigenze funzionali tendono non più solo a comprimere e spostare la pluralità delle pulsioni parziali, e non più a stigmatizzare chi le pratica.
8. Solo se noi facciamo attenzione agli odierni processi di incivilimento delle pulsioni distruttive, così come ancor più a quelli di ieri, riusciamo a mettere a fuoco come sia stata infinitamente più facile per l’uomo (etero, omo, etc. che sia) la loro mortifera messa in atto nella vita familiare e sociale. E’ su questo piano che che finora è sostanzialmente fallita l’opera di trasformazione della distruttività, e della distruttività maschile in particolare, in qualcosa che sia più socialmente accettabile. Eppure è ciò che viene da noi abbozzato ogni volta che riusciamo a trasformare le nostre pulsioni aggressive in istanze di controllo fuse con Eros (ad esempio evitando, maschi o femmine che siamo, di fare errori mentre scriviamo).
Le ragioni del persistere anche nei maschi appartenenti alla nostra cultura di una propensione alla prevaricazione ed alla distruttività defusa sono nel fatto che essi, guardando ai propri modelli, assistono o alla riproposizione della prevaricazione della distruttività, o alla transigenza più corriva di fronte ad esse.
Bibliografia
– Angelini L., “La società e la famiglia di Narciso”, in: Angelini L., “La scuola di Narciso. Analisi, note, progetti”, Amazon, 2020
– Devereux G., Saggi di etnopsichiatria generale, Armando, Roma, 1978
– Freud S., La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno”, 1908; ed. it. 1972
– Laffi S., Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed., Napoli, 1999
– Le Breton D., Signes d'identité: Tatouages, piercings et autres marques corporelles, Métailié, Paris, 2002
– Weinstein F. e Platt G., Sociologia, storia, psicoanalisi. Rosenberg e Sellier, Torino, 1983
2. Certo è che a oltre vent’anni di distanza dalle analisi di Le Breton oggi, a fronte del persistere di questo duplice misconoscimento, assistiamo da una parte al diffondersi di riti paralleli ormai non più intimi, ma non per questo riconducibili ad una ‘moda’; dall’altra al diffondersi del precariato che implica il prolungamento sine die dello stato di margine tipico dell’adolescenza e la conseguente assenza di cerimonie di aggregazione all’età adulta, che costringe un numero crescente di giovani in una zona d’ombra che si dilata sempre più nel tempo[2].
3. Queste le modalità attuali in base alle quali l’ex-infante si appresta lentamente e confusamente a entrare – prima o, più probabilmente, ‘’poi” – nel mondo adulto (Laffi). Ed è con questo sguardo centrato su questa fase già avanzata del processo maturativo che noi guardiamo agli adolescenti ed ai giovani adulti di oggi, stupendoci di scorgere in loro tutta una serie di elementi che alludono più o meno apertamente al concrezionarsi dentro di loro di una identità nella quale facciamo fatica a ritrovarci. Ebbene la prima risposta che dobbiamo darci allorché constatiamo con stupore e a volte con paura queste diversità è che esse sono il frutto di una nostra opacità e di una nostra rinuncia. Quella di non aver colto esaurientemente e per tempo l’esigenza di istituire cerimonie di passaggio in grado di permettere agli adulti di domani di essere condotti dagli adulti d’oggi verso l’età adulta, senza che gli uni e gli altri cedano alle ansie ed alle angosce legate al passaggio.
4. Tenendo presente che, come spiegano Weinstein e Platt, tutto il lavoro di riproduzione sociale – all’interno del quale si collocano a pieno titolo le cerimonie di passaggio – richiede un supplemento di impegno allorché si esplica all’interno di culture dinamiche come la nostra in cui ciò che passa da una generazione all’altra, lungi dall’essere la fotocopia del passato, si ridefinisce in base alle esigenze del presente ed alle attese nei confronti del futuro. E tenendo presente altresì che uno degli elementi di fondo sui quali incide il lavoro di riproduzione sociale è la specifica combinazione fra ‘carattere etnico’ e ‘inconscio etnico’ (Devereux) assunta dagli individui di una determinata cultura in un determinato momento storico; vale a dire l’insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti previsti e introiettati da una parte, e l’insieme di quelli non tollerati e rimossi dall’altra.
5. Ora una delle caratteristiche specifiche del nostro presente è nel passaggio dal regno di Edipo a quello di Narciso. Cioè da una società in cui prevalevano profili di personalità di tipo anancastico ad una in cui prevalgono profili di tipo anaclitico. Ciò implica sul piano della definizione del carattere etnico il passaggio dall’etica del lavoro all’estetica consumista; dal prevalere di elementi superegoici al primato dell’idealità; da processi di adultizzazione avvenuti dopo aspre lotte contro imago genitoriali forti all’assenza – come abbiamo cercato di evidenziare sopra – di sacerdoti del passaggio cui parametrarsi. E sul piano dell’inconscio etnico: dalla rimozione ieri di ogni istanza pulsionale che non fosse stata trasformata e asservita a quel particolare principio di realtà tipico della novecentesca società dei produttori che Marcuse aveva definito principio di prestazione, alla vera e propria eruzione, oggi, di ogni pulsione parziale che, lungi dall’essere rimossa o resa funzionale alla produzione, viene incentivata e funzionalizzata al consumo, in modo che l’unico elemento in grado oggi di dare spessore all’essere è paradossalmente l’avere.
6. In questo modo ad un vecchio ‘lavoro di incivilimento’ se ne sostituisce un altro: ad una vecchia modalità di alienazione una nuova, evitando ogni giudizio morale sull’uno e sull’altro modello. Rimane da inquadrare il tema dell’identità di genere, che oggi si tende a vedere in termini esasperati, per motivi che spesso hanno poco a che vedere con il più generale tema dell’identità, all’interno del quale invece a mio avviso va inquadrato. Evitando in ogni caso di confrontare il presunto nuovo concetto di identità di genere con l’altrettanto presunto vecchio concetto di identità sessuale, poiché ciò equivale a confrontare come si dice le mele con le pere. Infatti quando oggi si dice che l’identità di genere non va cercata negli organi sessuali biologici, ma nel cervello si afferma l’importanza che anche su questo piano ha il lavoro di incivilimento, cioè il lavoro di spostamento delle pulsioni parziali dalla meta originaria in direzione o della sublimazione, o della formazione del carattere. In modo che l’insieme delle pulsioni parziali si distribuisca o su vari piani in base alle specifiche esigenze della cultura cui gli individui appartengono in un determinato periodo storico.
7. Per cui anche ieri quella che oggi si chiama ‘identità di genere’ non avveniva -per capirci- così come appare sulla carta d’identità, cioè in base all’organo sessuale biologico di appartenenza, ma a partire ‘dal cervello’, cioè in base al lavoro di incivilimento tipico della nostra cultura di ieri, cioè di quella che incubava Edipo, ed era denominato “identità sessuale” e non di genere. Solo che ieri all’interno della camicia di forza del principio di prestazione le possibilità di espressione delle pulsioni parziali nella messa in atto erano fortemente inibite e massivamente considerate socio-distoniche. Mentre oggi nel regno di Narciso le nuove esigenze funzionali tendono non più solo a comprimere e spostare la pluralità delle pulsioni parziali, e non più a stigmatizzare chi le pratica.
8. Solo se noi facciamo attenzione agli odierni processi di incivilimento delle pulsioni distruttive, così come ancor più a quelli di ieri, riusciamo a mettere a fuoco come sia stata infinitamente più facile per l’uomo (etero, omo, etc. che sia) la loro mortifera messa in atto nella vita familiare e sociale. E’ su questo piano che che finora è sostanzialmente fallita l’opera di trasformazione della distruttività, e della distruttività maschile in particolare, in qualcosa che sia più socialmente accettabile. Eppure è ciò che viene da noi abbozzato ogni volta che riusciamo a trasformare le nostre pulsioni aggressive in istanze di controllo fuse con Eros (ad esempio evitando, maschi o femmine che siamo, di fare errori mentre scriviamo).
Le ragioni del persistere anche nei maschi appartenenti alla nostra cultura di una propensione alla prevaricazione ed alla distruttività defusa sono nel fatto che essi, guardando ai propri modelli, assistono o alla riproposizione della prevaricazione della distruttività, o alla transigenza più corriva di fronte ad esse.
Bibliografia
– Angelini L., “La società e la famiglia di Narciso”, in: Angelini L., “La scuola di Narciso. Analisi, note, progetti”, Amazon, 2020
– Devereux G., Saggi di etnopsichiatria generale, Armando, Roma, 1978
– Freud S., La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno”, 1908; ed. it. 1972
– Laffi S., Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed., Napoli, 1999
– Le Breton D., Signes d'identité: Tatouages, piercings et autres marques corporelles, Métailié, Paris, 2002
– Weinstein F. e Platt G., Sociologia, storia, psicoanalisi. Rosenberg e Sellier, Torino, 1983
0 commenti