Dovremmo riflettere sulla curiosa circostanza che tutti i maestri di psicanalisi abbiano finora elaborato dottrine più o meno interessanti, più o meno adeguate alla realtà psichica (forse meno a quella effettuale), più o meno plausibili da un punto di vista di buon senso, ma tra loro inconfrontabili e soprattutto inconfutabili nella realtà clinica. Ognuna dice le cose come stanno; purtroppo le cose sono più delle dottrine. C’è una cura per questo stato di cose?
Se le dottrine psicanalitiche sono inconfrontabili vuol dire che non riguardano lo stesso oggetto; nel caso migliore rappresentano ordinamenti diversi dello stesso insieme. Il pessimista direbbe: non riguardano la psicanalisi; l’ottimista direbbe: riguardano versanti diversi della psicanalisi. All’ottimista chiedo di dimostrarlo. Ma chi se la sente di assumere l’onere della prova? A cosa si riferiscono gli archetipi di Jung o i significanti di Lacan? (l’accostamento non è casuale). La pulsione di morte di Freud o l’inferiorità d’organo di Adler? La posizione schizoparanoide della Klein o gli orgoni di Reich? (faccio volutamente accostamenti estremi). Gli autori citati, un’esigua ma rappresentativa minoranza, sembrano votati all’ignoranza: tutto va bene fuorché pensare. L’esempio sommo: Freud si rifiutava di pensare in termini di probabilità.
Se le dottrine psicanalitiche sono inconfutabili, vuol dire che non sono scientifiche. Il criterio della falsificabilità è un criterio negativo, necessario ma non sufficiente alla scienza. Se la falsificabilità è presente, non significa che siamo necessariamente in campo scientifico, come presumeva Popper. Anche in campo giuridico si usa la confutazione per affermare che un fatto non sussiste. La confutabilità si basa su un principio di logica classica, noto agli scolastici come modus tollendo tollens: se A implica B e se non B, allora non A. Come dire: “Se piove esco con l’ombrello, ma esco senza ombrello, allora vuol dire che non piove”. Se la falsificabilità è assente, significa che siamo fuori dal discorso scientifico. Dove? Difficile dirlo con precisione; direi che siamo in un campo tanto vasto quanto eterogeneo, dove è possibile affermare tutto e il contrario di tutto, esteso dalla metafisica all’omeopatia, passando per l’alchimia, compresa l’alchimia politica e, naturalmente, la psicoterapia.
L’inconfutabilità può essere una necessità vitale, per alcuni: per i paranoici necessaria a confermare i loro deliri, per i maestri a sostenere il loro insegnamento. I maestri di psicanalisi hanno bisogno dell’inconfutabilità, per fondare le loro scuole sul principio d’autorità, l’ipse dixit, che garantisce loro di sopravvivere alle contestazioni esterne e interne, le seconde più temibili delle prime. Allora chi vuole confutare certi principi è espulso dalla scuola come eretico. Ai tempi i domenicani – domini canes – lo mettevano al rogo. È una strategia conveniente l’inconfutabilità? Sì e no. Forse conviene sul breve periodo, quando la dottrina debole e indifesa deve svilupparsi, ma non sul lungo. Sul breve periodo l’inconfutabilità difende la dottrina dagli attacchi esterni, ma sul lungo la dottrina invecchia e muore da sola, se non ha un proprio entusiasmo, innervato da un minimo gusto per la contestazione innovativa.
Ma la psicanalisi che bisogno ha dell’inconfutabilità? È evidente che le diverse psicanalisi presenti sul mercato della psicoterapia languono proprio perché sono inconfutabili; mancano di innovazioni che le rendano vitali e al passo con i tempi. Sono sclerotizzate in tanti manuali di psicoterapia, cartacei o virtuali, ognuna indifferente ai successi e agli insuccessi terapeutici dell’altra, ognuna narcisisticamente chiusa in sé stessa.
Nelle scuole fondate dai maestri di psicanalisi si continua a macinare sempre lo stesso grano; gli allievi si estenuano in gruppi di studio, seminari e congressi a trovare conferme alle dottrine in cui sono stati indottrinati. Non si rendono conto che dall’insegnamento ricevuto e adottato non nascono innovazioni, ma si ripete sempre lo stesso evento “traumatico”. L’edipo in Freud, gli archetipi in Jung, i significanti in Lacan sono i traumi cui gli allievi di Freud, di Jung e di Lacan sono affezionati. Certo, per passare dall’alchimia alla chimica c’è voluto qualche secolo. La psicanalisi non è ancora così vecchia.
Cosa sto cercando di dire?
Una cosa che non fa piacere alla maggior parte di noi, per lo più vaccinati contro la scienza da varie ideologie di stampo fenomenologico, in nome di una diffusa volontà di ignoranza, che privilegia l’essere sul sapere, la vita e l’esistenza sulla teoria, la clinica empirica, magari con un tocco sistemico, sulla scienza astratta. “Astratta” è una parolaccia. Sto dicendo che la psicanalisi sta morendo perché non è scientifica. Il vitalismo evidentemente non promuove la sua vita. Si dimentica l’ammonimento di Nietzsche: la vita non è un argomento. Diventerebbe scientifica, quindi più vitale, la psicanalisi se ammettesse la confutabilità? L’ho già detto: non necessariamente. Comunque sarebbe meglio se optasse per la confutabilità. Come? I modi sarebbero molti. Qui ne segnalo uno, quello che pratico io, che a mio parere vale per il freudismo, depurato della componente metapsicologica, libidica e pulsionale.
Chiaramente una psicanalisi scientifica deve ospitare l’ipotesi che esista l’inconscio.
È confutabile tale ipotesi?
Dal punto di vista freudiano sì. Per Freud percezione e coscienza sono equivalenti (prima topica, ma ancora prima sono regolati dagli stessi neuroni omeganel Progetto di una psicologia del 1895). Si è coscienti di ciò che si percepisce e si memorizza. Ma c’è un’eccezione fatale. Ciò non vale necessariamente per le percezioni sessuali, che non sono originariamente percepite come sessuali, quindi non diventano coscienti come sessuali, dato il ritardo della pubertà nell’uomo. Negare l’inconscio significa allora negare l’inizio in due tempi della realtà sessuale dell’uomo. “Ho sempre avuto quelle sensazioni, ma non sapevo che riguardassero il sesso”. Così il soggetto in analisi riconosce la multiforme realtà sessuale dell’inconscio: lo sapeva, ma non sapeva di saperlo.
L’ipotesi dell’inconscio si rinforza con l’ipotesi della rimozione originaria, che è ancora più facilmente falsificabile. Cosa si intende? Si intende che esistano rappresentazioni che come tali non vengono rimosse dalla coscienza, come le sessuali, perché alla coscienza non hanno mai avuto accesso. Il punto è scabroso e dallo stesso Freud poco insistito. Dal punto di vista della matematica moderna è un teorema: ogni sistema logico, almeno tanto potente quanto l’aritmetica, se è coerente, è incompleto, cioè possiede enunciati indecidibili, che non può né accettare (dimostrare) né rifiutare (confutare). Detto altrimenti: vuoi essere completo? vuoi poter dire la verità su tutto, come fa l’uomo di fede? Allora devi accettare di essere incoerente di tanto in tanto.
La terza condizione indispensabile per la scientificità della psicanalisi è la tardività: si viene a sapere in un secondo tempo quel che si sapeva senza saperlo. In realtà questo è un corollario della natura sessuale del sapere inconscio e come tale non sarebbe difficile da accettare, partendo dall’inizio in due tempi della sessualità umana. La tardività riassume tutto l’accadere psichico, descritto da Freud in termini pulsionali, ultimamente vitalisti. Lì il principio di piacere – primario – e il principio di realtà – secondario – si integrano con qualche difficoltà che si chiamano nevrosi.
In pratica, con quale logica si possono fare interagire questi ingredienti teorici? Nell’essere umano i sessi sono due: maschio e femmina, (in certi funghi o lieviti sono molti di più, arrivando a centinaia di sessi), quindi potrebbe bastare una logica a due valori: vero o falso, perché o è vero che sei maschio ed è falso che sei femmina o è vero che sei femmina ed è falso che sei maschio. Invece no; non funziona così, come dimostrano l’omosessualità e la transessualità. La sessualità umana non funziona in modo così schematico. Occorre una logica dove non valga il principio del terzo escluso; occorre una logica dove non sia sempre vero che un enunciato o è vero o è falso, senza sapere prima o se uno è vero o se l’altro è falso.
Questa logica, potenzialmente epistemica, esiste, ma è più debole di quella aristotelica, attualmente ontologica (è vero ciò che è, è falso ciò che non è): i suoi teoremi sono veri nella logica classica ma non vale il viceversa; il principio del terzo escluso o della doppia negazione valgono in logica classica ma non qui. Tale logica non classica – il primo esempio di logica non classica – fu escogitata agli inizi del secolo scorso da Brouwer e formalizzata dal suo allievo Heyting con un algebra non binaria (non booleana). Gödel dimostrò che tale logica richiede una semantica con modelli a infinite componenti, come dire che i valori di verità non sono due ma infinitamente di più. Perciò non vale automaticamente il principio del terzo escluso, perché la terzità è infinita. Tarski e Kripke hanno costruito semantiche infinitarie per la logica di Brouwer, detta intuizionismo (ma sarebbe meglio dire costruttivismo). La semantica di Tarski è topologica, quella di Kripke insiemistica. Grothendieck ha costruito una semantica categoriale – i topoi –che generalizza la nozione di insieme, prescindendo dalla nozione ontologica di appartenenza, l’estì di Peano.
Il punto è interessante. La strada sembra buona. Per rendere scientifica la psicanalisi bisogna convocare l’infinito. Quindi la logica intuizionista potrebbe andar bene alla psicanalisi. Naturalmente a
nche questa condizione è necessaria ma non sufficiente. Anche le religioni convocano l’infinito ma non sono scientifiche. Tuttavia con l’infinito si può combinare molto di buono a saperlo trattare “scientificamente”, come dimostrano la fisica, la chimica e la biologia moderne, le scienze hard più di quelle soft. (Odo familiari mormorii di disapprovazione dalle spiagge fenomenologiche, le ultime spiagge antiscientifiche.)
Lacan ci ha provato in un modo soft, Matte Blanco in modo meno soft. Lacan ha confinato l’infinito dalla parte del femminile. Non lo chiamava infinito (la parola stessa suscita un atavico orrore) ma “non tutto”, nel senso che è troppo esteso per essere unificato in “un” concetto. (Doveva chiamarlo “non uno”, secondo me, o “classe propria”, secondo la matematica). Non è l’unico modo possibile di trattare l’infinito, ma dovrebbe confortare l’idea che sia possibile anche in psicanalisi percorrere una strada di avvicinamento all’infinito, quindi alla scienza.
Da decenni batto la strada della scientificità della psicanalisi con qualche risultato, di cui ho dato testimonianza anche in questa rubrica, suscitando qualche flebile eco. So bene che questa strada è impopolare, giudicata dai più intellettualistica, ma non mi demoralizzo. Alla scienza si resiste. Dal 1633, ormai a roghi spenti, si combatte la scienza equiparandola allo scientismo, cioè alla scienza sterilizzata come inconfutabile. Si preferisce la religione, quella senza dio compresa, anche a rischio di qualche incoerenza. Non voglio polemizzare, perché il mio impianto culturale non è contro nessuno ma pro qualcosa. La pratica della psicanalisi scientifica è difficile, ma la teoria è dalla mia parte: solo la scienza può curare la psicanalisi dal grave deperimento organico in cui è caduta. È la rivincita della terapia, che pure secondo Freud già ai suoi tempi minacciava di uccidere la scienza.
Si rilegga a questo proposito la Questione dell’analisi laica. Laica vuol dire scientifica. Rimando al sito www.analisilaica.itper ulteriori sviluppi e approfondimenti, in particolare per leggere la nuova traduzione di Davide Radice su Formulazioni sui due principi dell’accadere psichico di Freud (
https://www.analisilaica.it/2019/03/03/freud-sui-due-principi-dell-accadere-psichico/
).
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