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Dance macabre di Baudelaire: realismo, ironia e sentimento della Bellezza per fronteggiare l’angoscia della morte.

27 Feb 21

A cura di Sabino Nanni

Pubblico qui anticipatamente il mio commento a "Dance macabre" che comparirà nella seconda parte del libro "Baudelaire per il clinico"

97 – Dance macabre – Pag. 176, 178, 180
 
Fière, autant qu’un vivant, de sa noble stature,
Avec son gros bouquet, son mouchoir et ses gants,
Elle a la nonchalance et la désinvolture
D’une coquette maigre aux airs extravagants.
 
Vit-on jamais au bal une taille plus mince ?
Sa robe exagérée, en sa royale ampleur,
S’écroule abondamment sur un pied sec qui pince
Un soulier pomponné, joli comme une fleur.
 
La ruche qui se joue au bord des clavicules,
Comme un ruisseau lascif qui se frotte au rocher,
Défend pudiquement des lazzi ridicules
Les funèbres appas qu’elle tient à cacher.
 
Ses yeux profonds son faits de vide et de ténèbres,
Et son crâne, de fleurs artistement coiffé,
Oscille mollement sur ses frêles vertèbres.  
O charme d’un néant follement attifé !
 
Aucuns t’appelleront une caricature,
Qui ne comprennent pas, amants ivres de chair,
L’élégance sans nom de l’humaine armature.
Tu répons, grand squelette, à mon goût le plus cher !
 
Viens-tu troubler, avec ta puissante grimace,
La fête de la Vie ? ou quelque vieux désir
Eperonnant encor ta vivante carcasse,
Te pousse-t-il, crédule, au sabbat du Plaisir ?
 
Au chant des violons, aux flammes des bougies,
Espères-tu chasser ton cauchemar moqueur,
Et viens-tu demander au torrent des orgies
De rafraîchir l’enfer allumé dans ton cœur ?
 
Inépuisable puits de sottise et de fautes !
De l’antique douleur éternel alambic !
A travers le treillis recourbé de tes côtes
Je vois, errant encor, l’insatiable aspic.
 
Pour dire vrai, je crains que ta coquetterie
Ne trouve pas un prix digne de tes efforts ;
Qui, de ces cœurs mortels, entend la raillerie ?
Les charmes de l’horreur n’enivrent que les forts !
 
Le gouffre de tes yeux, plein d’horribles pensées,
Exhale le vertige, et les danseurs prudents
Ne contempleront pas sans d’amères nausées
Le sourire éternel de tes trente-deux dents.
 
Pourtant, qui n’a serré dans ses bras un squelette,
Et qui ne s’est nourri des choses du tombeau ?
Qu’importe le parfum, l’habit ou la toilette ?
Qui fait le dégoûté montre qu’il se croit beau.
 
Bayadère sans nez, irrésistible gouge,
Dis donc à ces danseurs qui font les offusqués :
« Fiers mignons, malgré l’art des poudres et du rouge,
Vous sentez tous la mort ! O squelettes musqués,
 
Antinoüs flétris, dandys à face glabre,
Cadavres vernissés, lovelaces chenus,
Le branle universel de la danse macabre
Vous entraîne en des lieux qui ne sont pas connus !
 
Des quais froids de la Seine aux bords brûlant du Gange,
Le troupeau mortel saute et se pâme, sans voir
Dans un trou du plafond la trompette de l’Ange
Sinistrement béante ainsi qu’un tromblon noir.
 
En tout climat, sous tout soleil, la Mort t’admire
En tes contorsions, risible Humanité,
Et souvent, comme toi, se parfumant de myrrhe,
Mêle son ironie à ton insanité ! »
 

(Fiera, come un essere vivente, della sua nobile statura, / con il suo grande mazzo di fiori, il suo fazzoletto e i suoi guanti, / ella ha la noncuranza e la disinvoltura / di una magra civetta dall’aria stravagante. // Si vide mai al ballo una vita più sottile? / La sua veste esagerata, nella sua ampiezza regale, / cade abbondantemente su di un piede secco, stretto / da uno scarpino infiocchettato, grazioso come un fiore. // La ruche che si snoda al bordo delle clavicole, / come un ruscello lascivo che si strofina sulla roccia, / difende pudicamente dai lazzi beffardi / le formosità che essa tiene a nascondere. // I suoi occhi profondi son fatti di vuoto e di tenebre, / e il suo cranio, artisticamente coperto di fiori, / oscilla mollemente sulle sue esili vertebre. / O incanto d’un nulla follemente agghindato! // Ti dirà una caricatura qualcuno / che, ebbro di carne, non comprende / l’eleganza senza nome dell’umana armatura. / Tu rispondi, grande scheletro, ai miei gusti più cari! // Vieni forse a turbare, con la tua possente smorfia, / la festa della vita? O qualche antico desiderio, / speronando ancora la tua vivente carcassa, / ti spinge, credulo, al sabba del Piacere? // Al canto dei violini, alla fiamma delle candele, / speri tu di cacciare il tuo incubo beffardo, / e vieni a chiedere al torrente delle orge / di rinfrescare l’inferno acceso nel tuo cuore? // O inesauribile pozzo di dissennatezza e di colpe! / Eterno alambicco dell’antico dolore! / attraverso il traliccio ricurvo delle tue costole / vedo, ancora errante, l’insaziabile aspide. // A dire il vero, temo che la tua civetteria / non trovi un compenso degno dei tuoi sforzi; / chi, fra questi cuori mortali, capisce lo scherzo? / Le grazie dell’orrore non inebriano che i forti! // L’abisso dei tuoi occhi, pieno d’orribili pensieri, / esala la vertigine, ed i ballerini prudenti / non contempleranno senza nausee amare / il perenne sorriso dei tuoi trentadue denti. // Tuttavia, chi non ha stretta tra le sue braccia uno scheletro, / e chi non s’è nutrito con le cose della tomba? / Che cosa contano il profumo, l’abito, la toeletta? / Chi fa il disgustato, mostra di credersi bello. // Baiadera senza naso, sgorbio irresistibile, / di’ dunque a questi ballerini che fanno gli offesi: / “Tesorucci fieri, malgrado l’arte della cipria e del belletto, / puzzate tutti di morte! O scheletri profumati, // Antinoi sfioriti, dandy dal viso glabro, / cadaveri verniciati, donnaioli canuti, / l’impulso universale della danza macabra / vi trascina verso luoghi che nessuno conosce! // Dai freddi lungo-Senna ai bordi roventi del Gange, / il gregge dei mortali salta e s’inebria, senza vedere / in un buco del soffitto la tromba dell’Angelo / sinistramente spalancata come la tromba di un nero schioppo. // In ogni clima, sotto qualsiasi sole, la Morte ti contempla / nelle tue contorsioni, risibile Umanità, / e sovente, come fai tu, profumandosi di mirra, / mescola la sua ironia alla tua dissennatezza!”)

 

[Anche se gli esseri umani cercano di solito di renderla invisibile, la morte è onnipresente nell’esistenza di chiunque. La sua comparsa nel corso dell’esistenza (il momento in cui ci si accorge del suo carattere ineludibile) turba la “festa della vita”; una festa, in realtà, animata da un’allegria priva di fondamento. Chi, ebbro di piaceri carnali, non vuole essere distolto dalla sua “festa”, cercherà di soffocare il proprio turbamento prendendosi beffe della morte, trasformando la sua immagine perturbante in caricatura. Oppure, spinto dall’antico desiderio di non rinunciare mai, nonostante il suo carattere mortale, all’antico oggetto d’amore, ritornerà attraverso la negazione della consapevolezza adulta, all’ingenuità ed alla credulità infantili, e pretenderà di spingere questo “cadavere vivente” nel “torrente delle orge”, per lenire, attraverso l’ebbrezza del piacere, l’incubo infernale dell’annientamento. (È qui descritto, in termini poetici, il fondamento profondo della necrofilia: lo sforzo disperato di raggiungere l’oggetto d’amore anche al di là del confine con l’impossibile, superando la barriera invalicabile della morte). Il Poeta non vuole cedere a tali tentazioni: egli vuole preservare il sentimento della Bellezza ed il buon gusto che scaturirono dal rapporto d’amore più antico. Pur condividendo con il necrofilo “l’antico desiderio” di non arrendersi neppure di fronte alla morte, egli ne riconosce realisticamente la fonte: l’avidità (la “insaziabile aspide”) che si risvegliò di fronte a ciò che si opponeva alla vita, ma che finì per avvelenarla. Sa vedere, in tale brama, un pozzo colmo di colpe, di scelleratezze e di sofferenze inestinguibili. Sa riconoscere la sciocca ingenuità infantile di coloro che s’illudono di sfuggire alla morte (alla precarietà di tutte le cose) con la superficialità, la frivolezza e la vanità e che, pur profumati e imbellettati, “odorano di morte”. Esprime queste considerazioni per voce di una figura materna identificata con la morte (ossia pienamente consapevole di essa) che osserva, con un sorriso bonario ed ironico, le inutili “contorsioni” dei suoi figli che credono di godere pienamente della vita e che indietreggiano, disgustati e urtati, di fronte a ciò che è implicito nella vita stessa, ossia il suo essere destinata a deteriorarsi ed a finire. Solo pochi spiriti superiori, identificati con tale figura materna e resi forti grazie al suo realismo, al senso dell’ironia ed al sentimento della Bellezza, possono accostarsi alla morte senza reticenze, e coglierne il fascino.]  

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