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DEL CORPO E DELLE LACRIME…

23 Mag 21

A cura di Redazione Psychiatry On Line Italia

Roberto Goisis è uno psicoanalista milanese, membro della Società Psicoanalitica Italiana.
Ha scritto un libro molto bello: “Nella stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti” (Enrico Damiani Editore).
Il libro è agile, si legge con piacere nonostante la complessità dei temi e la presenza del dolore che trova accoglienza discreta e garbata nelle sue pagine. Il lettore gode dell’intensità della scrittura e delle emozioni che essa riesce a mettere in scena, sentendole risuonare nel suo mondo interno familiari, riconoscibili, autentiche. È la storia di un analista intrecciata con le storie dei suoi pazienti. Ma chi legge trova qualcosa della propria storia personale e dei propri cari. Delle persone con cui ha intrattenuto relazioni di scambio, delle persone che ha amato, delle persone incontrate che l’hanno incuriosito, lasciando una traccia permanente nella sua anima, anche quando le ha perso di vista o le ha del tutto dimenticate. Il libro ci mostra quell’aspetto della verità analitica che più le dà consistenza esperienziale, allontanandola dalla dimensione della pura interpretazione dotta: il suo essere insieme verità tragica e verità letteraria. La prima è il prodotto del lutto, dell’elaborazione di una perdita importante sul piano delle nostre relazioni con gli altri che rimette in gioco il desiderio, attraverso il sentimento di mancanza, riaprendo il nostro assetto psicocorporeo alla vita. La seconda fa balenare, nell’attimo fugace in cui un raggio di luce nella penombra dischiude una prospettiva, un’idea mai avuta prima che cambia il nostro modo di sentire e di pensare. Non è l’idea che conta, se la interroghi troppo non ti dirà nulla, disse Dürrenmatt, il pieno di luce non le si addice. Conta la dislocazione dello sguardo, del sentimento, del pensiero.


 

Valeria, una delle pazienti che prestano la loro voce all’autore del libro, scrive: “Per molti anni ho sofferto di enuresi -bagnavo il letto mentre dormivo-e anche se cercavo di nasconderlo, se facevo in modo di alzarmi da sola, di accatastare in un angolo le lenzuola, continuando a dormire con il pigiamino inzuppato sperando che si asciugasse prima di mattina, mia madre si accorgeva lo stesso. Un giorno avrei capito che quella pipì notturna era l’unico modo con cui mi permettevo di piangere. Ciò che di giorno non riuscivo a esprimere, non potevo mostrare, soprattutto con le lacrime, di notte trovava una sua libertà di comunicazione.”

Nella teoria psicoanalitica l’enuresi notturna denota una dimensione autoerotica, androgina: la difficoltà di abitare lo spazio delle differenze, a partire da quella fondamentale dei sessi, la necessità di spegnere da sé il fuoco del desiderio. Freud ha colto bene l’assetto difensivo di una soggettività non legittimata, riconosciuta come materia desiderante e obbligata a rifugiarsi nell’autarchia. È nell’esperienza analitica, tuttavia, che da sotto la pattina protettiva del ritiro dalla relazione, può emergere un significato diverso, il senso dato al sintomo dalla sofferenza del desiderio che lo mantiene vivo. L’eros è il matrimonio tra una tensione piacevole complessa e il lasciarsi andare, la capacità di perdersi nell’esperienza vissuta per poi ritrovarsi uguali e diversi rispetto a come si era prima. Se l’eros è ferito il corpo si contrae, diventa “incontinente” e cerca lo sfogo. Ma sotto lo sfogo ci sono le lacrime. Il pianto è erotico: scioglie il corpo, è la comunicazione, trasmissione di emozioni che pur soffrendo continuano a vivere, fluire. Il corpo dell’enuresi lacrima a dirotto.

Il libro si chiude con l’omaggio a un amico caro perduto, al lutto e alla rabbia che tiene in gioco l’amore: “Ti ho toccato delicatamente il naso. Era freddissimo, non certo per l’inverno. E allora ho sentito, insopportabile, definitiva, la rabbia del dolore. Brutto stronzo”.

 

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