Ci hanno invitato ad aprire una rubrica, da tenere a quattro mani. Ci siamo detti: perché no? Ci è sembrato che questa nuova esperienza potesse riuscire stimolante, utile a praticare un sodalizio collaudato fra una psichiatra/psicoanalista ed un criminologo/giurista, accomunati da una passione metodologica affine. Infatti, ciascuno dei due, nella sfera di sua pertinenza, ha sviluppato specialmente percorsi di ricerca storica, indispensabili in una società senza ricordo, e quanto mai utili ad illuminare il presente, nella consapevolezza che “la memoria rende liberi”.
Abbiamo immaginato di affrontare nel blog argomenti come l’interpretazione del rapporto fra psicopatologie e crimine, il trattamento dei sofferenti psichici autori di reato in questa fase di superamento degli OPG, anche in relazione alle alla comparsa di differenti attori sociali – i migranti in primo luogo – dove disagio mentale, marginalità, devianza alimentano nuove immagini di paure collettive. Ma pure la riflessione su categorie come responsabilità/imputabilità, sempre più spesso messe in discussione dall’affermarsi di suggestioni neo-deterministe, come quelle dei neuroriduzionisti, o dall’ambigua categoria della cultural defense.
Il titolo del blog: perché “innocenza del diavolo”? Da sempre gli uomini hanno cercato di separare da se stessi il “male”, in particolare alcune sue manifestazioni avvertite come supremamente minacciose e temibili: il delitto, in primo luogo, che peraltro “non è il male, ma è un male”, uno dei tanti modi in cui lo si realizza (1). Di volta in volta, di tempo in tempo, se ne è collocata l’origine nell’azione diabolica, nella degenerazione biologica, nella ricomparsa di una ancestrale natura ferina, nelle pulsioni di un inconscio amorale. E ancora, nella pressione socio-ambientale e nei condizionamenti di un’appartenenza sottoculturale. O nella presenza di un’anomalia cromosomica, di una “sindrome frontale”, di particolari varianti genetiche. In definitiva fattori percepiti come estranei, anche quando agiscono dal profondo, “demoni” incombenti ma – paradossalmente – “innocenti” per la loro stessa ineluttabilità.
Queste dinamiche si ripropongono.
In un certo senso si può affermare che ogni epoca ed ogni cultura tendono a costruire una propria “criminologia”, un sistema basato su criteri “scientifici”.
Tra la fine del Medio Evo e l’inizio dell’Età Moderna, in singolare sincronia con l’affermarsi del Rinascimento, il dilagare del panico sociale legato alla stregoneria portò all’affermazione di una sorta di sofisticato pensiero criminologico tendente a spiegare il delitto come il risultato dell’influenza demoniaca su individui empi e corrotti. La sua massima espressione fu Il Malleus Maleficarum, (Il “martello delle streghe”), il trattato demonologico edito nel 1487 e destinato a rimanere insuperato e popolare sia tra i cattolici che tra i protestanti, nonostante i numerosi testi affini stampati nei due secoli successivi. Qualcuno lo ha definito un vero “protomanuale di psicopatologia sessuale” ed è interessante precisare che – contrariamente a quanto si ritiene dai più – il Malleus non fu in alcun modo “commissionato” dalla Chiesa, né ricevette mai l’approvazione ufficiale da parte dei pontefici: il suo uso nelle pratiche inquisitorie fu semmai ufficiosamente tollerato. Gli autori, gli inquisitori tedeschi Jacob Sprenger ed Heinrich Institor Kramer, lo scrissero di loro iniziativa, nella tradizione di una manualistica operativa che aveva già più di un precedente (2); come domenicani, non va dimenticato, appartenevano alle elìte culturali del tempo. Nelle tre parti del trattato – efficacemente articolato in quaestiones secondo il modello tomistico – non solo viene sviluppata una ampia classificazione patografica dei quadri comportamentali stregoneschi e diabolici, ma se ne individuano le cause ed i rimedi, attraverso veri e propri “protocolli” operativi. Del resto il testo è ricco di citazioni non solo di autori sacri, ma anche di filosofi, inclusi i filosofi naturali (gli scienziati empirici dell’epoca), la cui autorità viene invocata per rafforzare le tesi sostenute.
Ma con la scomparsa delle streghe nuovi saperi hanno proposto differenti trattati “demonologici”, dagli atlanti criminali lombrosiani alla Psychopatia sexualis di Kraft-Ebing. Ed è significativo come il tratto demonologico si disveli dove meno lo si aspetta, ad esempio nella conferenza tardo positivista (Tema: “la monogenesi del delitto”) che il fisiologo Mariano Patrizi, chiamato a ricoprire la cattedra di Antropologia Criminale nell’Ateneo Torinese dopo la morte di Lombroso, tiene a Milano nel 1912. Eccone un passaggio illuminante:
“D’altronde il credere che tutti, sventuratamente, chiudiamo dentro noi il peccato originale, come aveva indovinato la pia leggenda; che ognuno di noi ha nelle latebre dell’anima, ospite infausto, il bruto spiante ogni occasione per venire al sommo e ridiventare dominatore; che il delinquente non discende da una razza maledetta, d’altro sangue che la nostra; che invece l’uomo retto è il fratel suo, il quale è riuscito a comprimere l’interno nemico; tutto questo deve logicamente inclinare alla carità verso gli sconfitti del demone organico [il corsivo è nel testo], verso i percossi dal male minacciante l’universa famiglia; a quella carità che la scienza moderna non ritiene incompatibile colla più energica difesa sociale” (3).
Ma d’altra parte come non riconoscere la schietta natura demonologica post-moderna dei manuali dell’Unità di Scienze Comportamentali dell’ F.B.I. e della letteratura criminalistica derivata, con la puntigliosa teratologia che incasella i profili degli omicidi seriali: dallo spree serial killer, al mass murder, dal ritual al bomber? I tecnici rinascimentali ispezionavano il corpo degli inquisiti alla ricerca del “marchio” diabolico, gli esperti neuroscientifici contemporanei scandagliano dentro il corpo dei periziati, per individuare il marchio. Bloccanti selettivi della captazione della serotonina. Lesioni temporali. Alleli.
Forse si troverà una sponda oggettiva alla vis classificatoria del supermanuale dei nostri tempi, il DSM 5.
Forse l’innocenza del diavolo sarà infine confermata.
NOTE
(1) PONTI G., FORNARI U. (1995). Il fascino del male, Milano, Cortina.
(2) Ad esempio il Directorium inquisitorum, redatto nel 1376 dal celebre Nicolas Eymerich.
(3) PATRIZI L. (1916). Dopo Lombroso. Nuove correnti nello studio della genialità e del delitto, Roma-Milano-Napoli. Società Editrice Libraria, p. 91.
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