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“Devi deciderti!”. Sull’obbligo della libera scelta.

14 Nov 13

A cura di mzfabio

Entrando in una qualsiasi libreria di città, come è avvenuto a me tempo fa a Catania, e dirigendosi verso il reparto di “psicologia” (spesso confinante con quello di “filosofia”) non si può non pensare che questa è un’epoca Kierkegaardiana. Il successo osceno della sua opera è dimostrato dal numero di libri di auto-aiuto che occupano i suddetti scaffali e che vertono tutti, anche se implicitamente, sulla categoria di possibilità: la realtà del singolo non può essere spiegata attraverso i concetti della filosofia sistematica, men che meno da quelli della metafisica, la realtà deve essere scelta! “Il singolo è la categoria attraverso al quale devono passare […]il tempo, la storia, il genere umano[1], afferma Kierkegaard. Ogni individuo diviene singolo attraverso la prassi della scelta, intesa come decisione presa davanti ad alternative inconciliabili. La categoria della possibilità implica per ogni individuo la costruzione della propria esistenza attraverso le scelte prese in divenire, nel corso della vita. Ogni decisione, secondo il pensatore danese, è irreversibile, visto che il tempo del singolo è lineare e finito secondo la lezione agostiniana; il soggetto decide non soltanto le singole contingenze ma anche quella che sarà la sua particolare forma d’esistenza, scolpita -come fa uno scultore con il proprio blocco di marmo-, dalle singole scelte.
 
La posizione sviluppata da Kierkegaard è la stessa che anima i tanti libri di auto-aiuto che affollano gli scaffali delle librerie; tutti sono scritti nella implicita convinzione che il singolo possa modellare la propria esistenza solo se in possesso delle informazioni necessarie, dell’algoritmo appropriato alla situazione. Ogni decisione si presenta come una presa di posizione irreversibile tra scelte inconciliabili che si escludono tra di loro: non sbagliare è l’imperativo che deve animare ogni individuo se non vuole scolpire per se stesso l’esistenza sbagliata. Non sono ammessi errori, ogni decisione esclude l’alternativa e, di fatto, la consegna all’oblio: Aut-aut. E’ indispensabile per il soggetto avere tutte le informazioni necessarie per scegliere bene, per non sbagliare, per valutare razionalmente la decisione da prendere. Si apre così un’autostrada per la produzione di manuali e libri che promettono di offrire le indicazioni ideali per tenere la casa in ordine, per dimagrire, per soddisfare il partner sessualmente, per cucinare in 10 minuti prima del Tg un salvacena, per raggiungere l’equilibrio interiore, per superare i lutti, per evitare periodi di disforia, per cambiare pensiero, per migliorare la propria immagine, per raggiungere una produttività invidiabile sul lavoro…l’elenco potrebbe essere quasi infinito. Tutti questi manuali promettono al lettore interessato -tendenzialmente l’individuo qualunque della società della scelta– la ricetta appropriata per ogni situazione, il codice per non sbagliare, l’algoritmo per costruire la vita perfetta e raggiungere la felicità.
Sarà chiaro a tutti che la promessa celata da ognuno di questi volumi, dal loro acquisto, è proprio la felicità. Quella promessa, ad esempio, da uno psicologo, Jonathan Haidt, in “Felicità: un’ipotesi. Verità moderne e saggezza antica[2] . Nel volume Haidt, facendo riferimento agli studi delle scienze cognitive, al buddismo, all’intelligenza emotiva di Goleman e alla sapienza di Confucio e Platone, presenta una ricetta della felicità attraverso una serie di istruzioni che, se adeguatamente osservate, garantirebbero il benessere, quindi, la soddisfazione della vita perfetta.

La teoria della scelta razionale pretende che ogni individuo, prima di prendere una decisione, valuti adeguatamente le possibilità alla luce del criterio di massimizzazione dei benefici e della riduzione dei costi. In ogni circostanza il soggetto è chiamato ad esprimere la decisione più razionale ed economicamente vantaggiosa. Eppure, la teoria della scelta razionale si rivolge ad un soggetto padrone di se stesso, in grado di agire sempre nel modo migliore in vista del proprio interesse, orientato da quel principio di piacere che dovrebbe renderlo felice. Un soggetto tale, in grado di agire in vista del proprio interesse, non è il soggetto dell’inconscio, non è quello che “non è mai dove crede di essere”; è, invece, una finzione euristica utile alla perpetuazione della particolare forma di capitalismo nel quale siamo immersi: quello del godimento. E’ un soggetto privato del proprio inconscio che si immagina “padrone del proprio destino”, per il quale “il passato non conta e il futuro attende solo di essere creato[3].

Questo soggetto presunto libero è il prodotto ideologico per eccellenza, quello del quale è stato obnubilato il carattere anti-economico di tante decisioni ordinariamente prese non sulla base del proprio miglior interesse. Un soggetto che non è il frutto dell’annodamento singolare del proprio sinthome (come riteneva Lacan[4]), ma l’abitante di “un mondo ideale, in cui la scelta abbonda[5] e  ogni elemento è plasmabile a piacere. Questo soggetto, ipostatizzato da un’ideologia che meglio di altre si sottrae al senso comune e a tante analitiche sulla contemporaneità, è inspiegabilmente un individuo che soffre. La responsabilità percepita per le decisioni giuste da prendere caricano il singolo di un peso che sempre più spesso assume la forma di attacchi di panico, incapacità d’agire, immobilismo, derive ossessive; anche se in possesso dell’algoritmo perfetto che dovrebbe garantire l’immunità da errori e inciampi, questo individuo non sa scegliere, non sa raggiungere l’obiettivo. Come mostrato dalle frequentatrici del sito di FLYlady.com (“finalmente amare te stessa”), uno spazio web in cui si forniscono indicazioni, consigli e ricette per gestire nel migliore dei modi possibili la propria vita affettiva, il proprio corpo, il proprio benessere: le utenti hanno testimoniato ad alcuni psicoanalisti la frustrazione, lo stress e tutta l’inadeguatezza per non essere in grado di osservare le prescrizioni per la vita perfetta loro prospettata, attacchi di panico conseguenti il mancato raggiungimento degli obiettivi. Il paradosso di questa situazione è la sofferenza mentale derivante dall’impossibilità di agire per il proprio bene. Paradossale e inspiegabile per il soggetto privato dell’inconscio. Un soggetto che sempre più spesso consuma se stesso non riuscendo a raggiungere il traguardo della vita perfetta per lui prospettata. Il sostrato ideologico obliato è quello che descrive l’individuo della contemporaneità come un ente in grado di spingere sempre più in là il proprio livello di piacere, un soggetto in grado di raggiungere l’esistenza perfetta rincorrendo e soddisfacendo i propri desideri, in un percorso potenzialmente senza fine di chiara matrice compulsiva.

Scegliere la propria vita” è l’imperativo ideologico di questa forma di capitalismo che, mentre promette il paradiso dell’esistenza perfetta, prova a perpetuare il proprio modello. Il tutto in nome di una logica bizzarra e perversa nella sua coerenza, “alla quale obbediamo senza pensarci[6] in nome del nostro presunto benessere: “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni…”.



[1] Cfr. S.Kierkegaard, Diario, a cura di C.Fabro, Rizzoli, Milano 1988,p.243.
[2] Cfr. J.Haidt, Felicità:un’ipotesi.Verità moderne e saggezza antica, trad.it. di P.Bonini, Codice ed., Torino 2007.
[3] Cfr. R.Salecl, La tirannia della scelta, trad. it. di F.Orsi, Laterza, Roma-Bari 2011, p.13.
[4] Cfr. fr. M.Fiumanò, L’inconscio è il sociale. Desiderio e godimento nella contemporaneità, Bruno Mondadori, Milano 2010, p.13.
[5] Cfr. R.Salecl, La tirannia della scelta…cit., p.10.
[6] Ivi, p.11.

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