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DIALOGO SULLA PSICOANALISI E IL METODO SCIENTIFICO

31 Gen 20

A cura di Sarantis Thanopulos

Giovanni De Plato[1]/ Sarantis Thanopulos
 
Giovanni De Plato: “In questi ultimi mesi sono stati pubblicati alcuni libri, saggi e articoli sul rapporto in psicoanalisi tra cognizione e inconscio che hanno riacceso un dibattito tra i sostenitori del metodo scientifico e sostenitori dell’interpretazione filosofica, ermeneutica del metodo psicoanalitico. Queste recenti pubblicazioni da una parte illustrano i risultati delle ultime ricerche scientifiche e  parlano di “inconscio cognitivo”. Dall'altra,  danno voce a chi critica lo “scientismo tecnologico” e mette l'enfasi sull'inconscio freudiano.
Nel dibattito si distinguono, per il tono polemico usato, gli psicoanalisti/filosofi Massimo Recalcati e Umberto Galimberti che accusano di servilismo e di normalizzazione chi fa, secondo il loro punto di vista, della clinica una techne e della cura un protocollo. Il primo, di formazione lacaniana, usa concetti banalizzanti come quello della “Clinica dell’uno per uno” e ribadisce l’ovvia contrarietà a “ogni forma di standardizzazione”. Il secondo, di formazione junghiana,  si scaglia con grande veemenza verbale contro la psicoterapia cognitiva-comportamentista, accusandola di ogni misfatto.
Alcuni psicoanalisti, o psicoterapeuti di formazione psicoanalitica, sembrano degli ultras, usano una  terminologia quasi da stadio contro il supposto scientismo della Psicologia e della Psichiatria. Il loro è un tentativo di stroncare l'affermarsi nella ricerca del cognitivismo e nella clinica della psicoterapia cognitivo-comportamentale. Del posizionamento puramente ideologico, estremista di Recalcati e Galimberti nel confronto tra psicoanalisi e neuroscienze, tu, da psicoanalista, cosa pensi?”
Sarantis Thanopulos: “Massimo Recalcati e Umberto Galimberti hanno investito nella prospettiva mediatica. Questo comporta inevitabilmente un processo di “fidelizzazione” dei propri lettori, ascoltatori, spettatori, detto in una sola parola, seguaci. Le strategie di fidelizzazione, innescano degli schemi comportamentali, impersonali e un’adesione acritica, fondata su un riflesso automatico e non sul pensare vero. Inevitabilmente i fidelizzatori finiscono per fidelizzarsi al pensiero  schematico che essi promuovono. Ironicamente, Recalcati e Galimberti sono rimasti prigionieri negli schemi del comportamentismo che criticano.
Non tutte le cose che Galimberti è Recalcati dicono, sono, di per sé, sbagliate. Essi hanno tuttavia smarrito la prospettiva dell’analisi critica delle pratiche attuali di cura. Presi nelle logiche di mercato non si accorgono del fatto che tra l’interpretazione puramente ermeneutica, affidata a formule e aforismi teorici, del nostro rapporto con la realtà e il suo condizionamento comportamentista non c’è una reale differenza: ambedue sottopongono la viva esperienza dell’esistere al potere di uno schema mentale predefinito.
Riguardo gli aspetti più tecnici della cura e l’uso dei protocolli, essi fanno parte dei suoi dispositivi logistici. Tuttavia è giusto un atteggiamento critico nei confronti della tendenza attuale a sottomettere la cura al suo supporto logistico che, nelle sue forme estreme, può essere paragonata a un tentativo di conformare la vita di una famiglia (dei desideri, affetti, pensieri che vi circolano) alle caratteristiche strutturali e tecniche della casa in cui vive. 
Avversare  il discorso scientifico è insensato, ma è corretto prendere le distanze da una sua esaltazione acritica che gli nuoce molto. In primo luogo è importante distinguere tra tecnica, supportata dal calcolo, e scoperta scientifica, che ha come suo oggetto le trasformazioni della nostra visuale sul mondo e del nostro rapporto con esso. Le due dimensioni sono indissociabili, ma è la seconda che dovrebbe avere l’egemonia. Assistiamo invece, e la psichiatria ne risente, a una tendenza di inversione dell’egemonia a favore della prima.
Mentre il calcolo ama la prevedibilità e nelle sue forme probabilistiche la predeterminazione della realtà (comprimendone la conoscenza), la scoperta scientifica cerca l’imprevedibilità, la sorpresa e la meraviglia (espande i processi conoscitivi). Se il “servo” diventa “padrone”, la scienza esce dal campo etico: la parità dei soggetti desideranti nelle relazioni di scambio. Il calcolo rispetta in modo rigoroso il principio logico della non contraddizione, quindi il “canone” scientifico, ma può servire i “mostri”: gli esperimenti su “cavie umane” nei campi di concentramento (e non solo in essi); la bomba atomica; la manipolazione e la predeterminazione dei gusti e del voto; gli algoritmi di controllo dei cittadini in fase di costruzione in Cina.”




Giovanni De Plato: “A questa possibile deriva del “calcolo” si contrappone il confronto in atto tra Psicoanalisi, Psicologia, Psichiatria e Neuroscienze, come processo virtuoso che si sviluppa come metodo rigoroso ed etico. La multi-disciplinarietà fa avanzare le conoscenze scientifiche,  le sperimentazioni e le pratiche cliniche, generando salute e benessere. Tanto che oggi si può affermare che in psichiatria, dopo le mostruosità del manicomio, di cui anche alcuni psicoanalisti e psicoterapeuti sono stati corresponsabili, il disturbo mentale è trattabile e che la persona in cura può continuare ad avere una vita normale. Chi si sottrae a questo approccio scientifico si condanna a un ecclettismo, per alcuni aspetti pericoloso. Quello che più colpisce è la difesa di un Freud  antiscientifico, ignorando che proprio Freud parla di una “estensione sempre più ampia” dell'inconscio. Non si può non sapere che il concetto d'inconscio si è evoluto e completato nei decenni di pratica clinica fino ad arrivare all’ “inconscio cognitivo”.  Il vero Freud non è quello imbalsamato, ridotto a icona da idolatrare, ma lo scienziato che ha rivoluzionato lo studio e la conoscenza della struttura e della dinamica psichica del soggetto.
SarantisThanopulos: “Ciò che si definisce “inconscio cognitivo” corrisponde  all’inconsapevolezza di fondo dei nostri processi cognitivi, degli schemi di funzionamento mentale che determinano il nostro agire nel mondo, a partire dal linguaggio. L’essere umano può essere solo  indirettamente e parzialmente consapevole delle strutture del suo pensiero. La logica formale, ad esempio, riflette proprietà del nostro funzionamento mentale, ma non le spiega, non le conosce nella loro intima essenza. Essa è uno strumento di conoscenza della realtà che non può impadronirsi delle strutture della sua produzione. Tutto questo è una condizione della nostra esistenza, non il risultato di un aspetto patologico dell’apprendimento.
Non possiamo padroneggiare fin in fondo la “logica” delle condizioni oggettive della nostra esistenza. L’inconscio non ha a che fare con questo: non è ciò che l’essere umano non potrà mai sapere del mondo e di se stesso. L’“inconscio cognitivo” come pure l’“inconscio strutturato come linguaggio”, teorizzato da Lacan, rischiano, entrambi, di sottoporre il gesto, il sogno, il pensiero e la comunicazione di tipo analogico (l’uso dei simboli “naturali”), cioè la significazione soggettiva della realtà, al potere strutturante di schemi mentali oggettivanti.  
L’inconscio freudiano, invece, è ciò di cui non sappiamo della nostra esperienza soggettiva (da non confondere con le proprietà oggettive della nostra mente, che a sua volta non va confusa con il sistema nervoso centrale). È il modo originario di rappresentare la realtà, a partire dalla nostra soggettività, che non rispetta il principio logico della non contraddizione ed è rimosso nel corso del nostro sviluppo. Esso è di per sé inconoscibile, non può essere reificato in un oggetto conoscitivo. Fa parte della costituzione binaria, antinomica del nostro pensiero: un modo di pensare che ignora la logica e le restrizioni da essa imposte e un altro che vi aderisce. I due modi si compenetrano e tra di loro c’è uno scambio permanente. Non c’è nessuna trasformazione vera del nostro modo cosciente di essere senza che accada una trasformazione analoga del modo inconscio. La rappresentazione logica della realtà non è mai del tutto definita e satura, il suo accordare la nostra soggettività alle condizioni oggettive della sua esistenza usufruisce di un ampliamento della sua presa sulla realtà che sfugge largamente alla coscienza.
Il contributo più specifico di Freud è stata l’individuazione di quelle zone di conflitto tra il desiderio del soggetto e le condizioni esterne della sua soddisfazione, che producendo un eccesso di rimozione, contrae, deforma e impoverisce il rapporto conscio con la realtà in questa o quell’altra area di esperienza.”        
Giovanni De Plato: “Non esiste un inconscio statico e invariabile. E' Freud che parla di evoluzione della struttura psichica e di mutamento antropologico del soggetto. Già negli anni '30, a partire da  Melanie Klein, si iniziò  modificare il concetto freudiano d'inconscio e da allora tanti contributi di ulteriore sua qualificazione e messa a punto si sono susseguiti, arricchendo la nostra conoscenza e perfezionando il trattamento psicoterapico, di cui la psicoterapia cognitivo-comportamentale è un valido approdo di documentata efficacia. E' stato Freud ad affermare: “tutte le nostre esposizioni peccano all'inizio di unilateralità e semplificazione, e attendono di essere integrate, ristrutturate e perciò corrette”. L'invito a non semplificare è ignorato  da chi adotta un atteggiamento pregiudiziale, come appunto Recalcati e Galimberti. La critica esasperata di quest’ultimo  al dominio della tecnologia che, a suo dire, distrugge l'umano, lo porta a dimenticare il fatto che essa è anche portatrice di progresso e libertà.
La critica dei due filosofi allo scientismo della Psicologia e della Psichiatria, fa sospettare un disperato tentativo di recupero dell'egemonia di una psicoanalisi dogmatica, ortodossa. La psicoanalisi, invece, è chiamata a qualificarsi su basi sempre più scientifiche. Aprirsi al contributo interdisciplinare, senza chiamarsi fuori dalla clinica basata sulle evidenze. Fornire le prove scientifiche delle sue categorie analitiche e delle sue pratiche terapeutiche.

Sarantis Thanopulos: “Il confronto tra psicoanalisi, psichiatria, psicologia e neuroscienze è necessario. Il problema maggiore viene dalla pretesa di fondare lo statuto di queste discipline sullo “zoccolo duro” del discorso neuroscientifico. Ciò annulla, di fatto, il discorso multidisciplinare. Tra lo studio dei circuiti nervosi e lo studio della materia delle emozioni, dei sentimenti, degli affetti e dei contenuti del pensiero cosciente, che può includere l’analisi di una tela di Kandinsky o delle poesie omeriche, c’è uno iato non colmabile (se non da un ipotetico e irraggiungibile “sguardo di Dio”). La psicoanalisi si colloca in questo iato senza cancellarlo, studia il lavoro di rappresentazione affettiva e mentale delle spinte pulsionali che originano da processi di eccitazione somatica, e della loro gestione per entrare in rapporto con il mondo. Essa mette la cura al centro delle relazioni umane e deve tenere conto del fatto che una parte significativa di queste relazioni non può essere vissuta e rappresentata seguendo i principi logici. Il paradosso di Zenone mostra che ci sono più cose nella realtà di quelle che possono essere racchiuse in una sua configurazione puramente logica. Il lavoro conoscitivo della psicoanalisi ha la sua messa a fuoco nell’area di compenetrazione tra la rappresentazione logica e quella non logica della realtà. È una scienza eccentrica a se stessa che interroga l’intero campo scientifico e di cui ogni discorso epistemologico deve tener conto.
Il concetto di “evidenza” è usato a volte in modo intimidatorio. Si dimentica che l’evidenza dei dati sperimentali o statistici è funzionale alla scoperta scientifica solo se crea legami con ciò che non è evidente. Alla psicoanalisi, inoltre, non si può intimare di fornire le prove della sua validità allo stesso modo delle scienze naturali. Queste ultime hanno come loro obiettivo la configurazione di leggi universali. La psicoanalisi, invece, ha come suo oggetto la cura della soggettività: l’incontro tra il particolare e l’universale.
Dire che ogni persona che soffre di un “disturbo mentale” sia oggi trattabile e possa  avere una vita piuttosto normale, è vero fino a un certo punto. Bisognerebbe in ogni caso stabilire cos’è una vita “normale”. I comportamentisti associano la normalità alla stabilità e la stabilità all’adattamento sociale. Seppure non si possa prescindere dal bisogno di stabilità, la protezione dalla precarietà, l’obiettivo specifico della psicoanalisi è la possibilità che il soggetto di cui prende cura (nell’ambito di una reciprocità) arrivi a vivere esperienze di trasformazione, destabilizzanti per la sua autoreferenzialità, e trarne piacere.
I processi cognitivi sono importanti, ma la loro alterazione nel malessere psichico è legata a destrutturazioni affettive. Spesso, inoltre, un funzionamento cognitivo efficiente, impeccabile coesiste con un funzionamento psichico arido, perverso e perfino psicotico (in particolare in modo asintomatico, la cosa più insidiosa). La salute “cognitiva” non è un’indice di sanità psichica, per cui è cosa buona nella cura dei “disturbi mentali” privilegiare sempre la connessione tra desiderio, affetto e pensiero.
In conclusione Recalcati e Galimberti sono un segno dei nostri tempi. Il dialogo tra psicoanalisi e discorso scientifico si sviluppa altrove, ma senza escludere la filosofia che con la sua critica costruttiva all’uso della tecnologia e con l’affermazione della cura come progetto dell’esistenza, può dare un contributo irrinunciabile, prezioso.”
Giovanni De Plato “Sull'altrove e sul non escludere siamo d'accordo.”                                          



[1] Professore Associato di Psichiatria dell’Università degli Studi di Bologna fino al 2014. Già: Primario di Psichiatria, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL Bologna Nord, Direttore del Programma d’integrazione dei Dipartimenti di Salute Mentale e di Neuroscienze dell’AUSL di Cesena e ‘Consultant’ dell’OMS – OPS.
 

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  1. admin

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