Nel'immagine il doodle di Google dedicato ad Anna Freud
DALL’OBLIO AI VIDEOGAMES, DUECENTO ANNI FA MORIVA IL MARCHESE DE SADE
di Redazione, adnkronos.com, 1 dicembre 2014
Libertino per sua stessa ammissione, Sade lo è più nei suoi scritti che nella vita reale, se nel febbraio del 1791 scrive alla moglie: “Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino”.
L’autore di ‘Justine’ e de ‘Le 120 giornate di Sodoma’, maledetto dai suoi contemporanei, dalla vita avventurosa trascorsa tra il castello di Lacoste, oggi di proprietà di Pierre Cardin, i viaggi in giro per l’Europa, i manicomi e le carceri, diventa oggetto di studio del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, riferimento culturale per il surrealismo e icona estrema del relativismo. “Il più forte trova sempre giustissimo ciò che il più debole trova ingiusto, cambiando l’uno e l’altro di posto, ambedue cambiavano parimenti modo di pensare”, scrive ne ‘Le 120 giornate di Sodoma’, il cui manoscritto, un rotolo di carta lungo 12 metri e largo 11,5 cm, è tornato recentemente a Parigi, acquistato per 7 milioni di euro da Gerard Lheritier, presidente della società Aristophil e fondatore del Museo delle lettere e dei manoscritti di Parigi, dove è esposto al pubblico.
Nonostante, come scriveva Georges Bataille, l’essenza delle opere di Sade fosse “la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena…, ma anche dell’autore e della sua stessa opera”, il Divin Marchese sopravvive dopo duecento anni, con una vitalità che ha del sorprendente. Dai fumetti, al cinema: per Luis Bunuel è uno dei fondatori del surrealismo. Il regista spagnolo gira nel 1930, in collaborazione con Salvador Dalì, ‘L’age d’Or’ su soggetto tratto da Sade. Anche se la più celebre trasposizione cinematografica di un’opera del marchese resta ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’, ultimo film di Pier Paolo Pasolini, uscito nelle sale dopo la morte dello scrittore e regista.
Anche Facebook celebra l’aristocratico francese, rampollo di una delle famiglie più importanti di Francia che fra gli antenati vanta perfino Laura de Noves, moglie del marchese Ugo de Sade: lui trisavolo dello scrittore, lei la celebre Laura amata da Petrarca. Diverse pagine sul social network sono dedicate a Sade e raccolgono complessivamente alcune centinaia di migliaia di followers.
Da metà novembre, infine, il Divin Marchese è addirittura tra i protagonisti del videogame ‘Assassin’s Creed: Unity’, un titolo multipiattaforma prodotto da Ubisoft e ambientato nella Parigi della Rivoluzione Francese.
http://www.adnkronos.com/intrattenimento/cultura/2014/12/01/dall-oblio-videogames-duecento-anni-moriva-marchese-sade_Ieij1Rke1qeaWpHTrhXWsI.html
ANNA FREUD, IL GOOGLE DOODLE PER CELEBRARE LA FIGLIA DI SIGMUND. Nata il 3 dicembre di 119 anni fa, è passata alla storia per aver studiato e sviluppato i meccanismi di difesa dell’Io e la mente dei bambini
di Maurizio Di Fazio, ilfattoqutidiano.com, 3 dicembre 2014
Quando Anna venne al mondo, suo padre aveva appena dato alle stampe le sue formidabili intuizioni sul significato dei sogni e le misteriose dinamiche dell’inconscio. Era l’ultima di sei figli. La madre non la allattò e Sigmund avrebbe voluto un figlio. Ma divenne presto la sua preferita. Fu verso il crepuscolo della Grande Guerra che Anna cominciò ad accusare disturbi nevrotici: così nel 1918, mentre gli ultimi baluardi fisici e spirituali dell’impero austro-ungarico crollavano, entrò in terapia col padre. Sei sere la settimana per quattro anni.
Nel 1923 Anna prese a trattare in maniera scientifica di psicoanalisi infantile e nel 1927 uscì il suo libro “Introduzione alla tecnica della psicoanalisi infantile”. Nel 1936 arrivò la pubblicazione dell’altro suo caposaldo, “L’Io e i meccanismi di difesa”: il nostro Io adotta una serie di escamotage inconsci per fare da scudo all’angoscia. Lo teorizzò già Sigmund, ma sua figlia implementò la gamma dei meccanismi difensivi, parlando tra l’altro di identificazione con l’aggressore, altruismo, ascetismo, intellettualizzazione. Insieme all’amica Dorothy Burlington si prese cura di un asilo per i bambini poveri di Vienna. Ma nel 1938 arrivarono i nazisti e la famiglia Freud, ebraica, si rifugiò a Londra. L’anno dopo Sigmund morì. Successivamente Anna si dedicò ai ritardi dell’età evolutiva e alla violenza domestica sui minori. Per lei vari tour di conferenze negli States, altri libri di successo e riconoscimenti per il suo lavoro. Morì nel 1982, a 86 anni, sulle sponde del Tamigi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/03/google-doodle-per-anna-freud-gli-studi-sulle-psiche-infantile-figlia-sigmund/1247819
CHI È ANNA FREUD, FONDATRICE DELLA PSICOANALISI INFANTILE. Figlia di Sigmund Freud, lavorò soprattutto a Londra, dove si dedicò a bambini orfani e svantaggiati. Oggi avrebbe 119 anni, e a lei è dedicato un doodle
di Gianluca Dotti, wired.it, 3 dicembre 2014
Anna Freud, figlia di Sigmund Freud e celebre psicanalista, nacque a Vienna il 3 dicembre 1895. Oggi sarebbe il suo 119esimo compleanno, e Google ha scelto di celebrarla con un doodle dedicato alla psicologia infantile, di cui la Freud fu una grande studiosa.
Sesta e ultima figlia di Sigmund e della moglie Martha, Anna Freud cominciò già a 13 anni a interessarsi al lavoro del padre, iniziando a partecipare alle sue discussioni settimanali sulle analisi psicoanalitiche. Dopo aver intrapreso da giovanissima una carriera da insegnante, la abbandonò ben presto per problemi di salute legati a una nevrosi e poi, negli anni subito dopo la prima guerra mondiale, iniziò a seguire seriamente le orme del padre (al contrario dei fratelli) e nel 1922 divenne direttrice dell’istituto viennese che si occupava di formazione psicoanalitica.
Dopo che la famiglia Freud fu costretta a fuggire dall’Austria di fronte alla crescente persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, Anna si stabilì a Londra e continuò il suo lavoro mentre si occupava del padre, gravemente malato di cancro alla mascella.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Anna Freud aprì la Hampstead War Nursery per i bambini che avevano perso la casa e spesso erano anche rimasti orfani a causa del conflitto. A lei è attribuita l’idea di allungare la durata delle visite ai giovani pazienti, oltre che l’utilizzo di schermi e telecamere nella aule dei tribunali per rendere l’ambiente più accomodante per i bambini chiamati a intervenire in un processo. Le sue ricerche sull’impatto dello stress e della separazione dei bambini dai propri genitori furono pubblicate, anche sulla base dell’esperienza della nursery, insieme alla collega e amica Dorothy Burlingham.
Il doodle scelto da Google, in particolare, è un’interpretazione giocosa dell’eredità psicoanalitica di Freud, in cui le forme multicolori concentrate nella testa di un bambino vogliono probabilmente rappresentare la complessità del lavoro della Freud sui meccanismi mentali che condizionano la psiche dei giovani pazienti, e di conseguenza anche la loro crescita psicologica e fisica. Già durante i suoi studi iniziali, la Freud capì come i primi anni di vita del bambino siano fondamentali per il successivo sviluppo mentale, e iniziò a sostenere l’idea pionieristica che i bambini debbano essere osservati con attenzione dagli adulti e compresi nel loro punto di vista già durante l’infanzia.
Dopo la chiusura della nursery, nel 1952 la Freud fondò l’istituito Hampstead Child Therapy Course. Negli stessi anni continuò la sua attività di scrittura, pubblicando nel 1965 uno scritto su normalità e patologia infantile, che doveva servire come modello per il lavoro che la impegnò per tutta l’ultima parte della sua vita. Nel 1970 Anna Freud sviluppò un interesse per l’analisi dei bambini svantaggiati emotivamente e privati degli affetti, mettendo in relazione la loro condizione disagiata con i ritardi nello sviluppo. Contemporaneamente continuò a lavorare come direttore del proprio istituto fino alla morte, avvenuta a Londra nel mese di ottobre del 1982 all’età di 86 anni. Subito dopo la sua scomparsa, l’Hampstead Child Therapy Course fu ribattezzato in suo onore come Anna Freud Centre.
http://www.wired.it/scienza/medicina/2014/12/03/anna-freud-psicoanalisi-infantile/
ANNA FREUD, PSICANALISTA DELL’INFANZIA. Studiò soprattutto i meccanismi di difesa dell’Io: nacque a Vienna 119 anni fa, era la figlia di Sigmund Freud
di Redazione, ilpost.it, 3 dicembre 2014
Anna Freud e il padre
Anna Freud nacque nel 1895, nel momento in cui il padre rendeva pubbliche le sue interpretazioni sul significato dei sogni e sulle dinamiche dell’inconscio. Era l’ultima di sei figli, la terza femmina, e disse più tardi – come riporta Silvia Vegetti Finzi nel suo libro “Psicoanalisi al femminile” – che non sarebbe venuta al mondo se i suoi genitori avessero avuto a disposizione un valido strumento di contraccezione. La madre si rifiutò di allattarla e il padre si aspettava la nascita di un maschio: aveva infatti già scelto il nome di Wilhelm (per ricordare un suo celebre interlocutore epistolare, Wilhelm Fliess). Nel corso degli anni però, Anna divenne la figlia preferita e in diverse lettere Sigmund Freud confessò di avere da lei una specie di dipendenza fisica, “come dai suoi sigari”.
Anna Freud prese il diploma magistrale al Cottage Lyceum di Vienna nel 1912 e nel 1914 decise di andare in Inghilterra per migliorare il suo inglese. Mentre si trovava lì, scoppiò la prima guerra mondiale e dovette tornare a Vienna dove iniziò a insegnare. Fu in quegli anni che il legame con il padre si rafforzò. Non aveva ancora vent’anni e manifestava un forte interesse per la psicoanalisi, e soffriva di vari disturbi nevrotici (depressione, insonni, idee ossessive). Dal 1918, iniziò quindi la terapia con il padre, sei sere la settimana per circa quattro anni.
Tuttavia, dopo qualche anno dalla fine della cura, lei stessa confessò in una lettera a Lou Andreas-Salomé (allieva del padre), che i suoi problemi non erano stati risolti. Non ci sono documenti che raccontino direttamente l’analisi di Anna Freud, ma qualche notizia la si può ricavare dai primi scritti della donna: in particolare, in “Fantasie di percosse e sogni ad occhi aperti” del 1922 dove uno dei sei bambini di cui parla è lei stessa. Anna Freud racconta del desiderio d’amore di questi bambini per il padre e di come i sensi di colpa trasformino i desideri in fantasie masochistiche.
La psicoanalisi infantile e la “scoperta” del’Io
Nel 1923 (il periodo in cui a Sigmund Freud venne diagnosticato un cancro alla mascella), Anna Freud cominciò ad occuparsi in modo sistematico di psicoanalisi infantile e due anni dopo tenne un seminario all’Istituto di Formazione Psicoanalitica di Vienna sulle tecniche psicoanalitiche da applicare ai bambini. Nel 1927 pubblicò il libro “Introduzione alla tecnica della psicoanalisi infantile” e fino al 1934 fu Segretario Generale della Società Psicoanalitica Internazionale.
Nel 1935 divenne direttore dell’Istituto di Formazione Psicoanalitica di Vienna e l’anno dopo pubblicò “L’Io ed i meccanismi di difesa”, una delle sue opere più celebri dedicate a tutte quelle operazioni (soprattutto inconsce) con le quali l’Io si protegge dall’angoscia. Ai meccanismi di difesa già individuati da Sigmund Freud (rimozione, regressione, isolamento, identificazione e proiezione, tra gli altri), Anna aggiunse l’identificazione con l’aggressore (processo attraverso il quale si allontana una paura assumendo le caratteristiche dell’oggetto temuto), l’altruismo (combinazione di proiezione e identificazione che consiste, semplificando, nel vivere attraverso un’altra persona), l’ascetismo e l’intellettualizzazione (difese tipiche dello stadio di sviluppo dell’adolescenza che consistono nell’allontanamento dalla sessualità e nella pratica di attività intellettuali come rifugio per esercitare un controllo sulle proprie pulsioni e affetti).
Anna Freud ebbe anche il merito di mettere in evidenza l’importanza dell’Io, che era stato fino a quel momento piuttosto trascurato a favore dell’inconscio. Per Anna Freud la psicoanalisi deve occuparsi dell’individuo e del modo in cui l’individuo si relaziona con la realtà del mondo esterno da una parte e con i conflitti che si scatenano tra le spinte pulsionali e aggressive dell’Es e le forze di controllo del Super-io dall’altra. Lo studio dell’Es, secondo Anna Freud, è solo un mezzo per raggiungere un fine e il fine è quello, appunto, di eliminare i disturbi dell’Io.
Anna Freud e Melanie Klein
Negli anni Trenta Anna Freud e la sua amica Dorothy Burlington (circolavano molti pettegolezzi su una loro presunta relazione omosessuale) decisero di occuparsi di un asilo per i bambini poveri di Vienna e fu per loro un luogo privilegiato da cui osservare il comportamento infantile. Dopo poco però, nel 1938, a Vienna arrivarono i nazisti e la famiglia Freud si trasferì a Londra. Nel settembre del 1939 scoppiò la Seconda guerra mondiale e, dopo poche settimane, Sigmund Freud morì. In quegli anni Anna Freud scrisse tre libri: “Bambini al tempo della guerra” (1942), “Bambini senza famiglia” (1943) e “Guerra e Bambini” (1943). E fondò un asilo per bambini che poi trasformò in un istituto di diagnosi, ricovero e cura infantile con corsi di formazione per operatori e psicoanalisti dell’età infantile: la Hampstead Child Therapy Course of Clinic.
A Londra c’era un’altra psicoanalista che si occupava di analisi infantile, Melanie Klein, con la quale Anna Freud ebbe molte divergenze teoriche, cliniche e tecniche: Anna Freud sosteneva che si potesse lavorare con il bambino nel momento in cui aveva acquisito il linguaggio, Melanie Klein riteneva invece che la terapia potesse cominciare anche prima attraverso la tecnica del gioco. Non solo: Klein si confrontò con le più gravi patologie psicotiche, mentre Freud si dedicò soprattutto ai “bambini normali” e alle linee del loro sviluppo e della loro crescita. All’interno della Società psicoanalitica britannica il problema fu risolto creando corsi di formazione paralleli, secondo le due diverse teorie.
A partire dagli anni Cinquanta viaggiò molto negli Stati Uniti dove insegnò e tenne conferenze. Negli anni successivi studiò i ritardi dell’età evolutiva e la violenza domestica sui minori. Nel 1973 pubblicò il libro “Problemi di tecnica e terapia psicoanalitica”. Non era laureata, ma ricevette molti riconoscimenti honoris causa l’ultimo dei quali nel 1980 ad Harvard. Nel 1973 divenne anche presidente onorario della Società Psicoanalitica Internazionale. Anna Freud morì a 86 anni, nel 1982: era da tempo inferma e costretta su una sedia a rotelle.
Per vedere le immagini di Anna Freud:
http://www.ilpost.it/2014/12/03/anna-freud/
INTERNET: DOODLE PER ANNA FREUD, MADRE DELLA ‘PSICOLOGIA DELL’IO’
di Redazione, agi.it, 3 dicembre 2014
Nel 1927 pubblicò il libro ‘Introduzione alla tecnica della psicoanalisi infantile’ e fino al 1934 fu segretario generale della Società Psicoanalitica Internazionale. Quindi divenne direttore dell’Istituto di Formazione Psicoanalitica di Vienna e nel 1936 pubblicò ‘L’Io e i meccanismi di difesa’, una delle sue opere più celebri dedicate a tutte quelle operazioni con le quali l’Io si protegge dall’angoscia. Suo fu il merito di mettere in evidenza l’importanza dell’Io, fino a quel momento piuttosto trascurato a favore dell’inconscio. A partire dagli anni Cinquanta viaggiò molto negli Stati Uniti dove insegnò e tenne conferenze. Negli anni successivi studiò i ritardi dell’età evolutiva e la violenza domestica sui minori. Anna Freud morì a 86 anni, nel 1982.
http://www.agi.it/research-e-sviluppo/notizie/internet_doodle_per_anna_freud_madre_della_psicologia_dell_io-201412031051-eco-rt10041
CHI È ANNA FREUD? Anne Freud, l’ultima figlia di Sigmund Freud, seguì le orme paterne e gettò le basi della psicoanalisi infantile. Oggi Google ne celebra il 119 anniversario della nascita (era nata a Vienna proprio il 3 dicembre 1895).
Annina, come era soprannominata, era l’ultima e indesiderata figlia di Sigmund. Era bruttina (lo racconta lei stessa), non molto alta, con le spalle curve e “consapevole di non essere sufficientemente femminile o attraente come donna”, riteneva di essere stata trascurata dai genitori: le era stato dato un nome insignificante e banale, era stata allattata artificialmente, lasciata a casa durante le ferie, le si preferivano le sorelle.
Dopo aver insegnato alle elementari per qualche anno decise di seguire le orme paterne e di dedicarsi alla psicoanalisi. Nel 1922 venne accettata nella Società psicoanalitica di Vienna e nel 1923 cominciò a lavorare con i bambini.
LA MADRE DELLA PSICANALISI INFANTILE. L’importanza di Anna Freud è legata soprattutto ai suoi studi sulla psicanalisi infantile, iniziati fin dal 1927 con un importante articolo intitolato Zur Theorie der Kinderanalyse.
In Das Ich und die Abwehrmechanismen, un lavoro del 1938, Anna Freud stabilì che i principali meccanismi di difesa dei bambini erano la repressione, la proiezione e l’identificazione. Secondo Anne Freud, la principale causa del ritardo dello sviluppo psichico e fisico dei bambini era dovuta principalmente alla mancanza di una relazione stabile tra la madre e il bambino. Esperienza che aveva vissuto anche lei stessa.
Secondo la Freud, inoltre, non si potevano applicare ai bambini le stesse classificazioni delle malattie degli adulti e pertanto fu la prima a introdurre un nuovo metodo per valutare lo sviluppo psicofisico infantile.
PERCHÉ È IMPORTANTE NELLA STORIA DELLA PSICANALISI? Per almeno due motivi: il primo è l’aver ipotizzato teoricamente che la psiche ha una capacità di adattamento dell’Io basata su un sistema di meccanismi di difesa. Oltre a quelli già individuati dal padre Sigmund (regressione, modificazione attiva dell’io, isolamento, annullamento retroattivo, identificazione, proiezione, rivolgimento contro se stessi, trasformazione al contrario, sublimazione) ne teorizzò di nuovi.
Tra questi, l’identificazione con l’aggressore (un modo per allontanare una paura assumendo le caratteristiche dell’oggetto temuto); la rinuncia altruistica, che consiste nell’interessarsi alla soddisfazione degli istinti altrui gratificando indirettamente i propri; e due difese tipiche della fase adolescenziale, l’ascetismo e l’intellettualizzazione. La prima, è l’allontanamento dalla sessualità e dalle altre forme di appagamento temporaneo, la seconda, il rifugio in una febbrile attività intellettuale nel tentativo di dominare gli istinti.
Ad Anne si deve anche il merito di aver messo in rilievo l’importanza dell’Io (la parte cosciente e consapevole di noi stessi) e dei suoi disturbi: fino a quel momento questa sfera era stata trascurata in favore dell’inconscio e dell’Es.
La Freud è ricordata infine per aver spostato l’interesse della psicoanalisi dalla patologia alla normalità, cercando di costruire un modello multilineare dello sviluppo infantile.
Il doodle dedicato ad Anna Freud: dal cervello si dipanano delle forme colorate che compongono il logo di Google.
OMOSESSUALITÀ. I suoi studi sull’omosessualità sono ancora poco noti, ma molto interessanti. Anna Freud visse una relazione omossessuale per 54 anni con Dorothy Tiffany Burlingham, figlia del celebre gioielliere newyorkese Tiffany.
Dorothy si era trasferita a Vienna nel 1925 con i quattro figli per sottoporli a un trattamento psicoanalitico, dopo che il loro padre era stato colpito da una grave psicosi depressiva. Le due donne si conobbero, vissero in due appartamenti contigui mentre le famiglie iniziarono a frequentarsi. Tiffany Burlingham divenne anch’essa psicoanalista e divenne partner nel lavoro e nella vita di Anna, seguendola a Londra e restandole accanto fino alla morte.
Negli anni ’40 aprirono a Londra l’Hampstead War Nursery ed altri asili per orfani di guerra e bambini poveri.
Anna Freud è morta a Londra il 9 ottobre 1982.
http://www.focus.it/temi/anna-freud
CHI È ANNA FREUD? DOROTHY TIFFANY BURLINGHAM E IL RAPPORTO CON L’OMOSESSUALITÀ
di Redazione, ilsussidiario.net, 3 dicembre 2014
Eppure le voci che circolavano all’epoca sulla loro omosessualità preoccupavano la psicoanalista austriaca che, a riguardo, aveva sempre avuto una posizione molto rigida: affermò ad esempio che non sarebbe stato opportuno far accedere persone con “anormalità sessuali” alla professione di psicoanalista e chiese anche a una giornalista di non diffondere una lettera in cui il padre si mostrava “tollerante” su questo argomento. Proprio Sigmund Freud, negli anni della prima analisi della figlia, tra il 1918 e il 1919, scrisse “Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia ed omosessualità” e “Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile”.
Per continuare:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2014/12/3/Chi-e-Anna-Freud-/561132/
STOPPA: TUTTO PUÒ RIPARTIRE DALLA MICROPOLITICA
di Gabriele Giuga, messaggeroveneto.gelocal.it, 3 dicembre 2014
Per continuare:
http://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2014/12/03/news/stoppa-tutto-puo-ripartire-dalla-micropolitica-1.10431309
PSICANALISI E ARTE TEATRALE
di Angelo Schiano, italiani.net, 3 dicembre 2014
In questo volume, il fondatore della psicoanalisi indaga, per primo, sui processi psichici profondi dello spettatore e sulle psicodinamiche che, in lui, si verificano, a teatro.
Jacques Lacan utilizza l’Anfitrione di Plauto, per approfondire la sua riflessione sull’Io. Octave Mannoni evidenzia l’importanza del contesto sociale in cui si svolge la rappresentazione teatrale. André Green impiega l’Amleto di Shakespeare come mezzo per far emergere i contenuti profondi interni. Cesare Musatti illustra la prossimità dell’opera di Pirandello con il pensiero psicoanalitico.
Alla figura specifica dell’attore e al suo compito, più di un analista si è appassionato. Dal caso clinico di un impostore, descritto da Karl Abraham, emergono elementi del recitare che sono attributi plausibili, anche, di chi si esibisce sul palcoscenico. Sulla psicologia dell’attore e sulla necessità di collocarla in una dimensione storica si impegna Lev S. Vygotskij, la cui partecipazione al movimento psicoanalitico, in Russia, è poco nota nel mondo occidentale. Otto Fenichel, nella prospettiva di una psicoanalisi classica, ci offre una preziosa e approfondita riflessione sui diversi aspetti del fenomeno della recitazione.
Nel saggio introduttivo vengono illustrati i principali sviluppi contemporanei del pensiero psicoanalitico riguardo al teatro e alla recitazione. Si diversifica la condizione di chi, nel cinema, si emoziona per fantasmi interni evocati da ombre colorate sullo schermo, dalla situazione dello spettatore teatrale che entra, concretamente, in relazione con “la carne e il sangue” dell’attore, sul palcoscenico. Accade, durante la recitazione che, se il pubblico non risponde emotivamente nel modo in cui l’attore, intensamente, desidera, egli soccombe e “muore” di una morte, teatralmente, inutile. All’opposto, l’attore che riesce ad unirsi con il suo pubblico, realizza un sacrificio vittorioso: diviene vincitore e vittima, eroe e capro espiatorio.
Alcuni concetti della psicoanalisi contemporanea e, in particolare, l’identificazione proiettiva offrono nuove possibilità di riflessione su questo fenomeno.
http://www.italiani.net/index.php/scienza/268-psicanalisi-e-arte-teatrale.html
CAMPAGNER: “LETTURE. THAMAR E GIUDA, “PROVE” DI MATRIMONIO DOPO IL DIVORZIO DI ADAMO ED EVA”
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 3 dicembre 2014
Anche Thomas Mann, l’autore di questo brano, un poco s’innamorò di Thamar e non esita a elevarla al rango di Astarte, l’Afrodite ante litteram, adorata in tutta l’area semitica, la potente divinità seduttrice di Adone, nome dal quale viene Adonai, la parola antica che significa Signore. Anche lui, dicevo, ne è sedotto, come se i sipari dei secoli e di millenni che da lei lo separano non fossero che i veli con cui Thamar ebbe ragione di Giuda, scrivendo per sempre il suo nome di donna straniera nella Storia della Salvezza.
Per continuare:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2014/12/3/LETTURE-Thamar-e-Giuda-prove-di-matrimonio-dopo-il-divorzio-di-Adamo-ed-Eva/560992/
HABER-FREUD, IL VISITATO DA DIO. Diretta da Valerio Binasco la pièce di Eric-Emmanuel Schmitt è in scena al teatro Quirino di Roma fino al 7 dicembre poi prosegue la tournée. Con Alessio Boni nel ruolo di Dio
La prima osservazione, assistendo a questo testa a testa tra Freud e Dio che è Il visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, è che Alessandro Haber nel ruolo di Freud sia fuori parte. Così imbolsito, casereccio, in ciabatte e rumorosi raschiamenti di gola, è molto lontano dall’aristocratico aplomb che ci arriva da una forse convenzionale iconografia.
La seconda osservazione è che Valerio Binasco, che di questa pièce è regista e adattatore, abbia fatto benissimo a cavalcare l’im-pertinenza, con il risultato che questo Freud potrebbe essere un uomo qualunque, sofferente e invecchiato, spiato in un momento di vita privata.
E come non ci chiediamo il perché Dio abbia il corpo e la voce di Alessio Boni, perché Dio è un’idea, una possibilità che come tale si offre all’interpretazione, così anche Freud si può nascondere dietro una maschera che non lo rappresenta in modo mimetico, e dietro questa sbruffare, imprecare, o dispiegare ragionamenti affilati, parlare di fede e ateismo, coraggio e disperazione, dignità, rabbia, dolore, libertà, donne, bellezza, senso della vita.
Può persino presentarsi dicendo “sono il dottor Sigmund Freud”, come Freud non avrebbe fatto mai, senza per questo far sussultare gli eventuali adepti seduti in platea, ben consapevoli che Freud è Freud, senza mostrine e poveri titoli, ma questa è altra storia.
Sempre che accettino la convenzione che si prefigura fin dalle prime battute. In scena non c’è Freud, ma un bravo attore che fa simpatia, un corpo sgraziato che al telefono accorre in ciabatte e veste da casa, per chiedere notizie della figlia portata via dalla gestapo.
Siamo in una stanza della casa-studio di Vienna, con una poltrona da setting e pochi libri disposti su una modesta scrivania di legno. È il 22 aprile 1938 e l’Austria è da poco stata annessa al Terzo Reich. Freud, ebreo, deve firmare un documento che gli consente l’espatrio, ma durante l’irruzione di un caporale della Gestapo, la figlia si ribella e viene arrestata. Dio non è ancora arrivato ma noi non ci domandiamo già più se siamo di fronte allo psicanalista, al personaggio o all’attore. Non importa. Non importa se Freud non è austero come ce lo siamo sempre immaginato, non importa se invece di suscitarci soggezione o timore ci ispira tenerezza, empatia, persino protezione. Importa che tra lui e il suo interlocutore si possa avviare una dialettica a cui prendere parte perché ci appartiene. E questa figura di intellettuale in disarmo, ironico da sostenere che potrebbe «raccomandare la gestapo a chiunque», perché se «nel medioevo avrebbero bruciato me oggi si accontentano di bruciare i miei libri», ne rappresenta il primo elemento, la tesi che attende l’antitesi che sta per palesarsi da sotto un lenzuolo.
Quando Dio entra in campo, sotto le spoglie di un bohemienne seduttivo e provocatorio, saranno però le parole a prendere il sopravvento, dando inizio al secolare dibattito tra fede e ragione. Ma tutto condotto nel segno del dubbio, che si pone a partire dalla identità del visitatore. Chi è questo giovane pieno di fascino che irrompe inatteso per metterlo in crisi? È un matto che si crede Dio o è proprio Dio che ha “preso a prestito il corpo di un attore” che nascerà molti anni dopo di lui? Certo è che di lui conosce molte cose, e non esita a sfoderargli in pochi minuti un pittoresco resoconto della sua infanzia. Ma sono indizi, segni forti, mai prove o dimostrazioni. Uno dubita e pretende risposte. L’altro stuzzica, sfida, rinvia. Uno si adira, l’altro sogghigna. Ma la partita è aperta. E i due poli di dibattimento diventano i termini ultimi di un pensiero unico che non si accontenta.
Nemmeno alla fine, quando Freud spara un colpo di pistola contro Dio che è fuggito dalla finestra, ma poi lo manca: voleva ucciderlo o trattenerlo?
Il testo di Schmitt, ben lontano dalla trattazione filosofica, ha i suoi momenti migliori nei dialoghi serrati, nelle battute sagaci, come quando a Freud che chiede il perché non sia andato a far visita a un prete invece che a lui, Dio risponde «trovo molto noiosa la conversazione con gli ammiratori».
In scena anche Nicoletta Robello Bracciforte, nel ruolo di Anna, e Alessandro Tedeschi in quello del caporale della Gestapo. Le scene composte di arredi essenziali e spazi lasciati intuire oltre le porte, sono di Carlo De Marino, mentre i costumi di Sandra Cardini reinventano con estro umori e atmosfere. Come le musiche di Arturo Annecchino che hanno il compito di farci respirare l’aria spessa dell’occupazione nazista.
Lo spettacolo è in scena al teatro Quirino di Roma fino al 7 dicembre poi prosegue la tournée.
http://www.europaquotidiano.it/2014/12/04/haber-freud-il-visitato-da-dio/
L’ARTE DELL’INCIAMPO A SCUOLA. «L’ora della lezione. Per un’erotica dell’insegnamento» di Massimo Recalcati, pubblicato da Einaudi. Cosa accade fra i banchi una volta evaporata la figura paterna
di Fabio Pedone, ilmanifesto.info, 4 dicembre 2014
Che cosa c’è in un nome? Spesso, in nuce, c’è quasi tutto; non di rado è lui a fare da guida verso il desiderio. In un nome fermenta l’apertura, la possibilità dell’amore. Che passa a sua volta dall’atto del nominare e del sentirsi chiamati. È ricco di nomi, di ringraziamenti, di dediche non taciute l’ultimo libro di Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento (Einaudi «Super ET Opera viva», pp. 160, euro 14). Non potrebbe essere altrimenti per il libro di una vocazione. Dire chiaramente il nome, esplicitarlo, significa anche riconoscere un debito. E nasce da qui una delle linee di forza dell’opera in cui lo psicoanalista, spesso in dialogo con la filosofia dell’educazione e la pedagogia più illuminata (come quella di Riccardo Massa), prende di petto il problema della mutazione della scuola nel momento storico che vede l’evaporazione del padre e l’ascesa dell’acefalo godimento mortale.
Trascorsa l’epoca di Edipo (dominata dalla repressività della legge del Padre) e dopo il mutamento rappresentato dal post-Sessantotto, che ha invece portato sulla scena Narciso, ora siamo gettati in una nuova trasformazione a cui lo psicoanalista ha già da qualche tempo avvicinato l’immagine di Telemaco: il padre che sta svanendo si incarna in un’attesa, in un bisogno che spera di materializzare una nuova figura della Legge carente.
Si pensa subito al sarcasmo doloroso con cui il Pasolini «luterano», altro riferimento chiave per Recalcati, chiudeva la sua raccolta di interventi politici e pedagogici per via di una eloquente Postilla in versi («vogliamo la bacchetta, papà, la bacchetta!»). Non è più l’epoca della parola paterna che si impone con forza di legge di per se stessa, ma oggi ciascun insegnante deve ricreare ogni volta, dal silenzio, le condizioni di autorevolezza della propria parola: tramite l’invito al desiderio di sapere rappresentato dalla singolarità fisica della voce, pronta a farsi corpo. Perché un maestro, come lo Stoner protagonista del romanzo di John Williams, è prima di tutto un testimone del desiderio unito alla Legge. E dovrebbe presidiare un’ultima linea di resistenza capace di salvaguardare quell’atto culturale e costruttivo che in fondo è il differimento della soddisfazione della pulsione (ed ecco ancora una rifrazione dal Pasolini del trattatello pedagogico Gennariello, dove è chiaro che «è il possesso culturale del mondo che dà felicità»). Contro la frustrazione e il senso di inanità odierni, per Recalcati c’è sempre maggior bisogno di una scuola che, valorizzando il gesto di Socrate, sconfessi l’illusione di un sapere totale incarnato nella figura del maestro e anzi crei nello spazio fra insegnante e allievo quel vuoto che solo prelude alla nascita del desiderio e dell’identità, i quali a loro volta conducono all’opera che spetta a tutti: umanizzare la vita.
Recalcati non smette di insistere sulla necessità di riconoscere il debito: quello nei confronti dei maestri che non hanno inteso il sapere come una materia morta da trasmettere, o da ripetere nell’imitazione della parola dell’Altro, ma «tacendo l’amore» sono riusciti ad accompagnare gli allievi – senza la pretesa di «raddrizzare la vite storta» – per poi lasciarli andare, verso la loro futura identità. Il sapere è impossibilità, e un insegnamento che sia davvero tale dovrebbe «preservare quello che non si può trasmettere».
Di conseguenza, l’altro punto nodale del percorso è per Recalcati l’impossibilità di «farsi un nome» da se stessi, scavalcando la responsabilità dell’incontro-confronto con l’Altro che solo la scuola offre, e la necessità di riconoscere il debito con i maestri proprio nel momento in cui ci si distacca da loro trovando una propria voce personale. Come a dire che non ci si può inventare padri di se stessi.
Qui si riflette senz’altro il riattraversamento della parola di Joyce compiuto da Lacan nel Seminario XXIII; e in verità si desidererebbe leggere uno sviluppo della questione nel momento in cui Recalcati, forse con fretta eccessiva, riporta un’opera plurale e multivoca comeFinnegans Wake alla sola idea che la vede generata dal balbettio monologante e fonetico de lalangue. Ma notevole è intanto l’uso di indicare la «Scuola» con l’iniziale maiuscola, come a marcare una nostalgia di dignità e stabilità.
L’altro aspetto che cambia a fondo il volto dell’Ora di lezione è il quinto capitolo, intitolato Un incontro: qui Recalcati rinuncia al tono pacatamente saggistico tenuto fino a quel momento e porta sulla pagina la propria esperienza autobiografica, nei giorni in cui si approssima al compimento dei cinquant’anni. Sono parole urgenti per motivazione intima, scritte da uno psicoanalista che si appassiona alle cause perse perché lo è stato anche lui, per anni. Un racconto autobiografico talmente pronunciato non può non colpire: come se lo stesso Recalcati volesse farsi testimone della propria vocazione, abbandonare alle correnti della scrittura le peripezie del desiderio che ha vissuto. Perché l’incontro, trasformato in omaggio commosso, è quello con una professoressa di lettere, Giulia, che gli ha cambiato la vita da adolescente.
Questo scarto netto dal saggio alla confessione emozionata è una mossa consapevole e certo arrischiata. Ed è per Recalcati un modo di esporsi e di parlare ancora al bambino difficile che lui stesso è stato: al flaubertiano idiot de la famille, al bambino che a forza di renitenze riesce a farsi bocciare e segnare a dito.
Non c’è dubbio che in ultima analisi si corra il rischio di naufragare nei pressi dell’Attimo fuggente (ai cui deleteri effetti su più di una generazione di insegnanti e studenti Recalcati accenna in una nota a piè di pagina) e di far rientrare dalla porta quel «carisma» dell’insegnante che non a caso, probabilmente, gli sfugge di penna una volta; tornando così, tramite la metafora dell’«aprire mondi», all’idea della «passione» e della sapienza da «trasmettere», magari sull’onda delle parole dei grandi poeti. Ma quello di narrarsi è un rischio che l’autore ormai accetta in pieno, con tutte le sue conseguenze. Ripensando alle tante questioni che L’ora di lezione genera, è allora augurabile che gli insegnanti ritrovino «l’arte dell’inciampo» e la capacità di produrre ogni volta la propria autorevolezza, contro le secche in cui si è impantanata la scuola, vittima di un efficientismo vano e di un produttivismo concentrato su cifre e statistiche, nonché sulla vita intesa come una gara interminabile. Certo la buona volontà non basta, oggi più che mai: perché chissà per quanto tempo ancora rimarremo ad agitarci in mezzo al guado.
http://ilmanifesto.info/larte-dellinciampo-a-scuola/
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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