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Didattica e supervisione psicoterapeutica, sulla situazione attuale della supervisione in Italia

29 Ott 19

A cura di dinange

In ricordo di Elena Schiller

a. Didattica e supervisione
 
1. Gli psicoterapeuti che riflettono sui significati e sui metodi della supervisione usualmente partono dalla propria esperienza di supervisori o dalle esperienze consolidate nella propria scuola di appartenenza[1].
In questo modo i loro richiami alla formazione appaiono come delle giustificazioni ex post, in base alle quali la scienza della formazione e gli aspetti psicosociali del percorso formativo sembrano connessi con la supervisione solo a partire – diciamo così – dalle libere associazioni che sull’argomento fanno gli studiosi della supervisione.
 
2. Ciò che mi propongo con questo post ovviamente non è un discorso organico che miri al ribaltamento di questa prospettiva, ma solo un tentativo volto a mostrare come partire dalla formazione possa contribuire a cogliere meglio sia gli elementi di similitudine sia quelli di distinzione esistenti fra le “figure della formazione” (Angelini, 1998) e quelle della supervisione. E su queste basi rivedere gli elementi specifici della didattica della supervisione, la specificità delle “figure” della supervisione, e soprattutto ciò che su questo piano sta accadendo oggi in Italia all’interno delle scuole di psicoterapia.
 
3. Già da un punto di vista etimologico entrambe le parole “docente” e “discente” provengono dalla radice “dek”, che significa “ricevere mentalmente” (Devoto); che in entrambi i casi evidenzia l’importanza della ricettività e dello scambio.
E alludendo alla materialità insita nella posizione ricettiva da parte del discente la Dolto afferma che nel momento in cui egli si dispone ad apprendere “dice” al proprio docente: “fammi qualcosa sul mio corpo”.
 
4. Riprendendo questa immagine della grande psicoanalista francese, e incrociandola con ciò che proviene dall’etimo, potremmo forse dire che anche il docente che non si limiti a fare da passacarte, ma che effettivamente si disponga a “ricevere mentalmente” ciò che proviene dai propri discenti, “dice” ad essi la stessa identica cosa.
Ed anzi, mentre questi ultimi possono sottrarsi immuni qualora rifiutino di assumere qualsiasi posizione di ricezione, i primi non possono esimersi di sentire nel profondo la ferita che tale rifiuto comporta.
 
5. E già su questo piano, come sostengono unanimemente tutti i didatti della supervisione  non mi pare che ci siano grandi differenze ‘in sé’ fra la scena formativa e quella della supervisione, poiché entrambe sono contrassegnate da uno scambio ineguale[2] tutto incentrato su transfert e controtransfert.
Differenze che invece ritroviamo nelle due scene  ‘per sé’, poiché mentre i docenti non hanno a monte un lavoro sistematico su se stessi e sulle ragioni del proprio sentire (e tantomeno i loro discenti), sia i didatti della supervisione che i loro allievi ce l’hanno, e ne fanno il motivo principale del loro sentire.
 
6. E di conseguenza, mentre i docenti debbono farlo spesso in solitudine[3], il dare e ricevere mentalmente presso supervisori e allievi,  sia pure limitatamente al loro sentire sul caso portato in supervisione, è l’aspetto principale del loro dialogo, che contribuisce a definire nel tempo un’area intermedia condivisa, che aiuta entrambi  sia a cogliere ciò che viene dalla teoria, sia a procedere lungo il proprio percorso di individuazione.
Area condivisa che dovrebbe andare avanti lungo tutto l’arco della vita professionale e che dovrebbe riproporsi alternativamente o in contemporanea lungo tutta una teoria di supervisioni individuali o gruppali, con diversi supervisori, o anche in intervisione.
 
7. Segnare di sé e ricevere mentalmente – che come abbiamo già inteso vanno viste nella loro circolarità – aprono ulteriori campi di sovrapposizione fra le due scene che stiamo cercando di attraversare in senso opposto a quello che solitamente si fa partendo dalla supervisione.
Abbiamo visto finora il quadro delle identificazioni crociate che fanno da motorino di avviamento sia della scena della supervisione che della formazione, ma se ci avviciniamo ancora di più al campo che stiamo osservando ecco che le due scene cessano di apparirci come in un idillio.
 
8. Infatti a quel punto lo scenario si squarcia e comincia ad emergere un quadro ben più realistico abitato dai personaggi interni che rappresentano: – le nostre grandi passioni di vita e di morte; – le nostre specifiche costellazioni edipiche; – l’invidia e la gratitudine; – le tendenze alla motivazione a formare e quelle opposte alla immotivazione ed alla eclissi delle ricettività (Angelini, Bertani, 2010), con il conseguente accomodarci in quello che Fürstenau definiva come ‘rituale pedagogico’; – le nostre attitudini all’ascolto ed alla messa in parola del nostro sentire; – ed infine il grumo di emozioni che si dispiegano sul piano della stima e dell’autostima sia nella scena formativa che in quella della formazione degli psicoterapeuti[4].
 
9. A differenza di ciò che avviene nella scuola però, e così come avviene sul piano del tutoring[5] o nella bottega artigiana, lo scenario della supervisione esclude la lezione. Il che da un punto di vista didattico porta in piena luce ciò che da essa tende ad essere occultato, e cioè le altre due colonne della didattica: l’esempio e il precettorato.
L’esempio inteso come rallentamento ad arte dell’operato del supervisore in modo che tutti i passaggi, anche quelli più complicati e sottili, possano essere colti dal discente. Ed il precettorato come affinamento delle capacità di cogliere prima (prae-capere) i vari nodi critici presenti nel caso di cui qui e ora stiamo discutendo. Non escludendo mai la possibilità degli involontari stimoli e delle inconsapevoli supervisioni (Rizzi, Stenico) che possono venire dagli allievi, in base sempre a quello scambio ineguale cui accennavamo prima.
 
10. E’ attraverso questi strumenti didattici che nella bottega artigiana della supervisione possono essere appresi nel tempo i ferri del mestiere, anche di fronte al ‘maestro’ meno disponibile al passaggio, e più geloso dei segreti sui quali è fondata propria ‘tekne’[6].
E sottolineo “appresi nel tempo” per due ordini di ragioni fra loro interconnesse: – perché per rendere sempre meno ineguale lo scambio e favorire l’amalgama fra l’acquisizione dei fondamenti teorici della scuola scelta dal discente e il suo processo di individuazione, c’è bisogno di tempo, di applicazione e di un forte desiderio di formare (Kaës) da parte del supervisore; – e prima ancora poiché per formare l’attuale supervisore è stato necessario mettere in campo lo stesso tempo, la stessa dedizione, la stessa competenza, lo stesso investimento affettivo.
 


 
b. Una nota sulle peripezie della supervisione oggi in Italia
 
11. Consultando i dati del Miur, cui spetta il riconoscimento delle scuole di specializzazione in psicoterapia, constatiamo che alla fine del 2018 ci si trovava in presenza di 344 scuole di specializzazione legalmente riconosciute.
Il trend che porterà negli ultimi decenni alla esplosione della scuole di specializzazione è iniziato in sordina all’inizio degli anni 80, quando hanno terminato il percorso di specializzazione i primi psicologi usciti dalle facoltà di Padova e Roma.
In quel periodo le scuole di specializzazione erano ancora poche decine. E ancora nel 1994 – cioè nel momento in cui si insedia la speciale commissione presso il Miur, erano 38.
 
12. Poi all’improvviso il numero delle scuole di specializzazione esplode: si va dalle 197 del 2004, alle 295 del 2014, per giungere infine allo stratosferico numero di 344 solo 4 anni dopo, il 20.12.2018.
Se poi si considera che ogni scuola si suddivide, a volte nel momento stesso del riconoscimento, in molte sedi decentrate, e che per ogni scuola va considerato un numero di  almeno una quindicina ‘maestri’ (fra docenti e supervisori), è plausibile ipotizzare la presenza oggi di oltre 5.000 ‘maestri’, quando nel 1994 essi erano verosimilmente poco più di un decimo di quelli attuali .
E poiché è ipotizzabile anche che le scuole di specializzazione più serie non si siano prestate a questa disseminazione ipertrofica di docenti e di supervisori, questo non fa altro che rendere ancora più traboccanti i dati delle scuole che si sono prestate a questa disseminazione.
 
13. Ciò vuol dire a mio avviso che, a parte le eccezioni di cui sopra, non ci troviamo più di fronte a botteghe artigiane fondate su un legame forte fra docenti e allievi.
L’esempio che in questi casi viene dal versante della docenza e della supervisione è un invito ad entrare in una specie di catena di Sant’Antonio di tipo piramidale dove chi è arrivato prima sta su, e cerca di promuovere solo chi si adatta a a vivere sulla predazione di chi sta giù, raccogliendo le briciole del maltolto.
E il precettorato è solo sulla individuazione di metodi più lucrosi per i gradi alti di questa catena.
 
14. Il taglio dei tempi della crescita infine incide pesantemente sulla formazione degli allievi, li illude di “essere Sigmund Freud, quando invece sono solo Willy il Coyote”[7], come diceva un bel volumetto uscito tempo fa; e di fatto li costringe all’interno di una illusione gruppale perversa in cui l’unica possibilità offerta è quella di farsi complici nella definizione di una falsa crescita, così com’è stato per chi, altrettanto complice,  li ha preceduti.
 
 
Bibliografia:
 
– Angelini L., “Affabulazione e formazione. Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi”, Unicopli, Milano, 1998
– Angelini L., Bertani D., Fantasmi formativi sulla scena della psicoterapia, in: Rizzi F. (a cura di), Inter-Nos. Sul come si trattano gli psicologi, Clinamen, Firenze, 2010
– Angelini L, Bertani D., Gli spazi per la riflessione: il lavoro d’équipe e la supervisione, in: Angelini L., Bertani D.(a cura di), Free Student Box – Counselling psicologico per studenti, genitori e docenti, Psiconline, 2009
– Angelini, Bertani, Cantini (a cura di),  Tirocinanti e tutor. Il tirocinio come cerimonia di aggregazione del giovane nell’età adulta, del neo-professionista nella professione, Coop Nord Est, Reggio Emilia, 2002
– Franza A.M., Giovani satiri e vecchi sileni. Frammenti di un discorso pedagogico, Unicopli, Milano 2002
– Fürstenau P., Contributo alla psicoanalisi della scuola in quanto istituzione, in: AA.VV., Educazione o condizionamento?, Savelli, Roma 1975
– Grinberg L., La supervisione psicoanalitica. Teoria e pratica, R. Cortina, Milano, 1989
– Kaës R., Quattro studi sulla fantasmatica della formazione e sul desiderio di formare, in: AA.VV., Desiderio e fantasma in psicoanalisi ed in pedagogia, Armando, Roma 1981
– Massa R., La clinica della formazione: un’esperienza di ricerca, Franco Angeli, Milano, 1992
– Mendel G., La sublimazione artistica, in: AA.VV., Saggi sulla creatività”, Il pensiero scientifico, Roma, 1977, pp. 122 -181
– Mottana P., Formazione ed affetti, Armando, Roma, 1993
– Proxima A., Sognavo di essere Freud (mi sono svegliata Willy il Coyote). Diario tragicomico di una psicologa nell'era del precariato, Psiconline, Francavilla al Mare, 2007
– Rizzi F. e Stenico V., Il tirocinante psicologo: involontario stimolo, inconsapevole supervisore, in: Angelini, Bertani, Cantini (a cura di),  Tirocinanti e tutor, op. cit., pp. 233 – 241
– Romano Toscani R., Conversazione a due voci. Nota sulla supervisione, F. Angeli, Mi, 2017
– Tricoli M. L., Il processo della supervisione psicoanalitica, Fioriti Ed., Roma, 2019
 
 
Sitografia:
 
Elenco degli Istituti di psicoterapia abilitati alla data del 20 dicembre 2018 e relativi decreti (dati del Miur (20.12.18)

 

 

[1] Interessanti i recenti lavori di R. Romano Toscani, e di M. L. Tricoli
[2] In: Angelini L, 1998, vedi il cap.: Docenti e discenti: un esempio di scambio ineguale, pp. 59 – 69.
[3] Anche se ormai da tempo in Italia esiste una “clinica della formazione” che pone questo tipo di problemi in primo piano. Cfr.: i lavori di Mottana, Franza e Massa
[4] Vedi, sempre in “Affabulazione e formazione”, i cinque capitoli sulle “figure della formazione”, e cioè quelli su: identificazione, motivazione, ispirazione, elaborazione, stima e autostima.
[5] Vedi: ‘Tirocinanti e tutor’, Angelini, Bertani, Cantini (a cura di)
[6] Esiste un bellissimo lavoro di Mendel in cui si cerca di analizzare i significati che il ‘derubare’ il maestro può assumere in ambito pedagogico. Cfr: Mendel G., La sublimazione artistica, in: AA.VV., Saggi sulla creatività”, Il pensiero scientifico, Roma, 1977, pp. 122 -181
[7] Aicha Proxima, Sognavo di essere Freud (mi sono svegliata Willy il coyote). Diario tragicomico di una psicologa nell'era del precariato, Psiconline, Francavilla al Mare, 2007
 

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