C'est des hommes et d'eux seulement qu'il faut avoir peur, toujours.
L.F. Celinè , Viaggio al termine della notte
Il Natale 2009 della nebbiosa provincia Modenese venne scosso da un evento riportato anche dalle cronache nazionali: un sacerdote, molto conosciuto in paese e titolare di diverse parrocchie, uccise nottetempo il padrone della casa nella quale era ospite con un oggetto contundente, avventandosi poi sulla consorte della vittima con la medesima furia. La donna venne salvata dall’intervento del figlio il quale, svegliato dalla colluttazione, fermò fisicamente il sacerdote colpendolo e riuscendo a chiamare le forze dell’ordine dopo averlo atterrato. L’incredulità e lo sgomento che hanno attraversato i paesi del circondario sono stati pari alla veemenza con la quale i gangli vitali del tessuto sociale sino a quel momento dormienti ( i media, i cittadini, le associazioni, gli amici di sempre ) si sono attivati alla ricerca di una qualsivoglia patologia mentale che potesse giustificare l’assassinio, tentando così di attribuirlo ad un momento di sospensione della capacità di intendere e di volere del reo. Sui giornali sono stati da più parti usati termini quali ‘semi-infermità mentale’,‘stato dissociativo temporaneo’, invocati quasi come entità trascendenti e rassicuranti. Non c’era mercatino, bar o stazione nella quale non si dissertasse sulle evidenti turbe mentali del parroco, da tutti frequentato nelle diverse occasioni rituali del paese, e sul quale chiunque pareva aver scorto, col senno di poi, i segnali inequivocabili della follia sfociata in omicidio. ‘Io lo avevo capito che non stava bene..’ , ‘quando veniva a benedire, era strano’ , ‘ e quella sera che camminava da solo sul ponte…?’. Questi erano i refrain che risuonavano nelle improvvisate discussioni cliniche alle quali tutti prendevano parte. Si è auspicato che gli esperti incaricati dal tribunale accertassero un passaggio all’atto di origine psicotica, vale a dire un'azione violenta e subitanea, indirizzata ad un presunto persecutore identificato, in un atmosfera paranoica, in base a flebili indizi i quali, in uno stato delirante, fanno segno inequivocabile di persecuzione. Ma la competente perizia portata a termine da fior di clinici, ha dato alla città la risposta più indigesta: il sacerdote è stato ritenuto capace di intendere e di volere. Nessuna turba mentale a giustificazione del suo gesto. Le entità diagnostiche tanto invocate non si sono materializzate.
Giovedì 2 febbraio 1933, nella città di Le Mans, la polizia municipale forza la porta del signor Lancelin. Al primo piano giacciono la moglie e la figlia, assassinate. Al secondo piano vi sono le due domestiche modello, Christine e Lea Papin, le quali ammettono di aver commesso il delitto, senza difficoltà. Il tutto a causa di un banale incidente: un guasto al ferro da stiro. Infieriscono sui corpi con coltelli e cavano gli occhi dalle orbite delle vittime. Christine, anni dopo, divisa dalla sorella, cadrà preda di crisi violentissime e forti allucinazioni, cercando a sua volta di strapparsi gli occhi.
Subitaneità, assenza apparente di un motivo, ferocia, rigore, delirio. Ecco quegli elementi di follia richiesti a gran voce dai concittadini, che la perizia ha loro negato.
Cosa voleva dunque l’opinione pubblica? La richiesta insistente della ‘garanzia di follia’ è mossa dalle angosce dell'uomo contemporaneo, cresciuto nel mito dell'eterna giovinezza garantita dall'avvento della chimica, in un mercato che spaccia la morte, le malattie e la vecchiaia come eventi procrastinabili sine die. Ciò che può uccidere, oggi, è controllabile. Con le analisi del colesterolo, con la mappatura genetica, con gli screening di massa. Lo sono le polveri sottili, gli uragani, le onde elettromagnetiche, ma non la mano dell’uomo. Si è chiesto vanamente alla psicologia e alla psichiatria di convalidare il tranquillizzante senso comune che vuole il kakon (la violenza, l’omicidio ) quasi sempre delocalizzato nell’altro (il diverso che in quel momento si trova ad occupare la transitoria posizione del 'barbaro' inteso alla greca). Ma se la violenza omicida proviene da un nostro simile, deve per forza essere viziata da una ‘patologia’ che ha reso folle un uomo sino a quel momento ‘normale’, facendola così rientrare nell’alveo delle variabili sulle quali è possibile esercitare un controllo, umano o chimico. Uccidere senza un ‘vizio’ di mente non può appartenere al senso comune senza spaventare. Si deve individuare una torsione dell'animo, una turba della psiche. Insomma, qualcosa che ci permetta di non scorgere nell’omicida quella normalità che fa parte di noi. L’esito del collegio peritale ha inferto un colpo mortale a questo tentativo, costringendo la comunità a fare i conti con un’inaccettabile ed inelaborabile realtà: ci si uccide tra simili, in modo abbastanza naturale e non prevedibile. Per denaro, per invidia. L’inquadramento ‘normale-anormale’ è una strada piuttosto sdrucciolevole e lunga, sulla quale ci avventuriamo nel tentativo di porre dei paletti che ci possano rassicurare. Mancando i quali, accade quello che J. Little ha mirabilmente descritto ne ‘Le Benevole’: ‘ non c’è altra ragione plausibile che non sia la volontà di ammazzare’. Dunque, nulla tiene. Siamo tutti esposti, tutti vulnerabili. Tutti possiamo uscire di casa e non ritornare perché la natura beluina del nostro simile ci ha teso un agguato sulla via del ritorno.
Pochi mesi dopo, in una cittadina della provincia di Modena, Novi, HB, 54 anni, aveva promesso N. (20 anni, all’epoca dei fatti) come sposa a un suo connazionale. SB, la moglie, ha pagato con la vita l’aver difeso la scelta della figlia che si opponeva a questo matrimonio.
S. B. è stata uccisa con sei colpi di mattone dal marito nell’orto di casa, mentre N. è sopravvissuta alle sprangate inflitte dal fratello di 19 anni . Gli abitanti del luogo sono rimasti alquanto scossi da quell’evento accaduto a pochi metri dalle loro case, ma nessuno si è levato in piedi a chiedere la semi infermità mentale di padre e figlio. Erano descritti, nei medesimi tribunali improvvisati che peroravano la causa della ‘momentanea follia’ del parroco, come assassini, lucidi e consapevoli. Colpevoli soprattutto di abitare piccoli universi blindati e non integrati, nuclei irriducibili coperti da serrature a doppia mandata. Locali e migranti, mondi confinanti ma invisibili l’uno all’altro, all’interno della stessa polis. Per loro, nessuna pietà o giustificazione clinica. Criminale la loro religione, bestiali i loro usi e costumi, killers senza alcuna tara mentale. La ferocia mostrata da H.B non è dissimile da quella messa in atto dal curato concittadino. Ma nessun luogo comune di follia o sospensione momentanea della capacità di intendere e di volere è stato frequentato questa volta. Nessuno degli ‘esperti’ o dei vari opinionisti ha voluto prendere in considerazione l’ipotesi psicopatologica citando, ad esempio, le parole degli operatori del centro Dévereux, in Francia: ‘ i soggetti piú a rischio di patologie psichiche, di scoppi di violenza, ma anche di derive integraliste o fondamentaliste, sono soprattutto coloro che hanno perso il controllo dei propri attachements: persone su cui la migrazione, o forse una qualche altra esperienza anteriore, ha costituito un trauma che non ha permesso loro di mantenere attivo qualche aspetto della propria identità. Spesso isolati, rimasti soli, tagliati via dai loro legami culturali, chiedono di essere ricomposti e sfociano nella patologia’.
Nel caso di HB l’identità era legata ad un’immagine da mantenere non riferita alla comunità di Novi, bensì alla famiglia di origine, quindi un laccio ben più solido e complesso, come testimoniato dalla deposizioni che indicano in una sorta di ‘direttiva’ familiare, proveniente dal Pakistan, il comando ultimativo a uccidere. Un’immagine di uomo padrone che non poteva essere scalfita agli occhi del mondo originario. Una circostanza simile la troviamo ne ‘Il Padrino’ quando Frank Pentangeli con la sua testimonianza sta per accusare la famiglia dei Corleone nel processo che lo vede coimputato. La presenza di un parente siciliano in aula, appositamente fatto venire dall’Italia, si dimostra così forte dal farlo recedere dai suoi intenti accusatori, preferendo la via del suicidio a quella del ‘disonore’ rispetto ai familiari d’oltreoceano. Dunque l’Altro in nome del quale è stato commesso quest’ omicidio è quello natio. Una sottomissione totale, acritica, incondizionata, consapevole delle conseguenze umane e penali della cieca furia omicida.
Dunque, scelta lucida o scompenso? La città non ha avuto dubbi nel scegliere la prima opzione.
Nel dicembre 2011 Gianluca Casseri uccide brutalmente due uomini nativi del Senegal, poi si toglie la vita braccato dalle forze dell’Ordine. Un amico delle vittime uccise nel centro di Firenze grida alle telecamere: “Non era matto! Se no, avrebbe sparato anche ai bianchi”. “Ha ucciso e ferito solo senegalesi – hanno dichiarato due giovani fiorentini al locale quotidiano – doveva essere malato”. In questa tragedia la prima frase assume un particolare valore clinico. L’obiettivo di quell’uomo erano i ‘neri’, oggetto di odio, il Migrante come entità, un Altro da annientare falcidiando alcuni dei suoi appartenenti. Le reazioni favorevoli all’omicidio apparse sul sito estremista ‘Stormfront’, non sono dissimili dalle quelle riportate sui siti internet della galassia dei vari gruppi xenofobi ed estremisti che popolano la rete. Piccoli mondi costituiti su base paranoica, fondati sull’aggressività, la chiusura, l’autoreclusione dentro a mura dalle quali lanciare invettive, colpire, attaccare il bersaglio eletto a causa dei pericoli percepiti come da lui provenienti. La vita di soggetti e gruppi di tal fatta è dedicata ad alimentare una solitaria guerra verso un ‘nemico’, a detrimento delle normali attività della vita quotidiana.
Ha ragione Saverio Ferrari quando dice “attenzione perché è pericolosissimo derubricare il gesto di Casseri a follia (…) se passa ancora in giudicato l’idea del gesto folle rischiamo di far cadere gli ultimi anticorpi alla deriva della destra xenofoba”? Oppure abbiamo a che fare con una psicosi paranoica, acutizzata nel tempo e testimoniata dall’involuzione e dal progressivo ripiegamento della vita di Casseri, giunta ad un punto nel quale le convinzioni deliranti diventano verità uniche e non confutabili, col nemico che si tramuta in un pericolo materiale da eliminare come ha fatto Breivik nell’isola di Utoya? Anche in questo caso vale la pena prendere in considerazione l’obbedienza ad un ordine di appartenenza emanato da un’entità alla quale il killer si sentiva indissolubilmente legato. Casseri si è fatto volontà dell’Altro, annullandosi in nome di un Assoluto, al quale si era totalmente dato e offerto come oggetto. Un’obbedienza in nome della quale, insegna Lacan, il perverso si tramuta in mero esecutore di ordini privo di capacità critica e senso di colpa, una normale macchina dell’orrore. ‘Propriamente parlando (la perversione) è un effetto inverso del fantasma. E’ il soggetto che si determina esso stesso come oggetto, nel suo incontro con la divisione della soggettività(…) E in quanto il soggetto si fa oggetto di una m volontà altra che non solo si chiude, ma si costituisce la posizione sadomasochista’. Casseri serviva non a caso la causa della ‘razza bianca’, in nome della quale ha agito in maniera studiata, precisa, volendo infliggere un colpo alla comunità migrante, (‘ ora tocca a voi, negri!’) , cercando di angosciarne gli appartenenti con la sua minaccia immanente. Nel Seminario X ‘l’Angoscia’ Lacan scrive che ‘Il sadico vuole suscitare l’angoscia nell’altro’, infatti non viene cercata tanto la sua sofferenza, quanto la sua angoscia(…). L’Angoscia dell’Altro, la sua esistenza essenziale in quanto soggetto in rapporto a tale angoscia, ecco ciò che il desiderio sadico sa far vibrare’. Può dare un contributo alla discussione un momento clinicamente significativo del film ‘La caduta‘. L’atmosfera paranoica nel quale Hitler vive i suoi ultimi giorni ormai totalmente distaccato dalla realtà, intento a muovere sulla carta geografica truppe inesistenti, è squarciata dall’annuncio di un suo attendente: ‘Il Fuhrer è morto’. A questa notizia alcuni uomini appartenenti alle SS si uccidono con un colpo alla tempia, asserendo che non potevano sopravvivere alla sua morte. Portano alle estreme conseguenze il loro giuramento di fedeltà assoluta al capo in nome del quale avevano annullato la loro volontà e il loro giudizio, e senza il quale la loro esistenza perdeva di senso. Si chiamano fuori come invece non scelgono di fare i tanti personaggi grigi e per sempre erranti dei romanzi di Kakfa, descritti da Gunther Anders come "esecutori di ordini che portano avanti la loro indefessa opera quando chi li impartisce è ormai morto".
Giovedì 2 febbraio 1933, nella città di Le Mans, la polizia municipale forza la porta del signor Lancelin. Al primo piano giacciono la moglie e la figlia, assassinate. Al secondo piano vi sono le due domestiche modello, Christine e Lea Papin, le quali ammettono di aver commesso il delitto, senza difficoltà. Il tutto a causa di un banale incidente: un guasto al ferro da stiro. Infieriscono sui corpi con coltelli e cavano gli occhi dalle orbite delle vittime. Christine, anni dopo, divisa dalla sorella, cadrà preda di crisi violentissime e forti allucinazioni, cercando a sua volta di strapparsi gli occhi.
Subitaneità, assenza apparente di un motivo, ferocia, rigore, delirio. Ecco quegli elementi di follia richiesti a gran voce dai concittadini, che la perizia ha loro negato.
Cosa voleva dunque l’opinione pubblica? La richiesta insistente della ‘garanzia di follia’ è mossa dalle angosce dell'uomo contemporaneo, cresciuto nel mito dell'eterna giovinezza garantita dall'avvento della chimica, in un mercato che spaccia la morte, le malattie e la vecchiaia come eventi procrastinabili sine die. Ciò che può uccidere, oggi, è controllabile. Con le analisi del colesterolo, con la mappatura genetica, con gli screening di massa. Lo sono le polveri sottili, gli uragani, le onde elettromagnetiche, ma non la mano dell’uomo. Si è chiesto vanamente alla psicologia e alla psichiatria di convalidare il tranquillizzante senso comune che vuole il kakon (la violenza, l’omicidio ) quasi sempre delocalizzato nell’altro (il diverso che in quel momento si trova ad occupare la transitoria posizione del 'barbaro' inteso alla greca). Ma se la violenza omicida proviene da un nostro simile, deve per forza essere viziata da una ‘patologia’ che ha reso folle un uomo sino a quel momento ‘normale’, facendola così rientrare nell’alveo delle variabili sulle quali è possibile esercitare un controllo, umano o chimico. Uccidere senza un ‘vizio’ di mente non può appartenere al senso comune senza spaventare. Si deve individuare una torsione dell'animo, una turba della psiche. Insomma, qualcosa che ci permetta di non scorgere nell’omicida quella normalità che fa parte di noi. L’esito del collegio peritale ha inferto un colpo mortale a questo tentativo, costringendo la comunità a fare i conti con un’inaccettabile ed inelaborabile realtà: ci si uccide tra simili, in modo abbastanza naturale e non prevedibile. Per denaro, per invidia. L’inquadramento ‘normale-anormale’ è una strada piuttosto sdrucciolevole e lunga, sulla quale ci avventuriamo nel tentativo di porre dei paletti che ci possano rassicurare. Mancando i quali, accade quello che J. Little ha mirabilmente descritto ne ‘Le Benevole’: ‘ non c’è altra ragione plausibile che non sia la volontà di ammazzare’. Dunque, nulla tiene. Siamo tutti esposti, tutti vulnerabili. Tutti possiamo uscire di casa e non ritornare perché la natura beluina del nostro simile ci ha teso un agguato sulla via del ritorno.
Pochi mesi dopo, in una cittadina della provincia di Modena, Novi, HB, 54 anni, aveva promesso N. (20 anni, all’epoca dei fatti) come sposa a un suo connazionale. SB, la moglie, ha pagato con la vita l’aver difeso la scelta della figlia che si opponeva a questo matrimonio.
S. B. è stata uccisa con sei colpi di mattone dal marito nell’orto di casa, mentre N. è sopravvissuta alle sprangate inflitte dal fratello di 19 anni . Gli abitanti del luogo sono rimasti alquanto scossi da quell’evento accaduto a pochi metri dalle loro case, ma nessuno si è levato in piedi a chiedere la semi infermità mentale di padre e figlio. Erano descritti, nei medesimi tribunali improvvisati che peroravano la causa della ‘momentanea follia’ del parroco, come assassini, lucidi e consapevoli. Colpevoli soprattutto di abitare piccoli universi blindati e non integrati, nuclei irriducibili coperti da serrature a doppia mandata. Locali e migranti, mondi confinanti ma invisibili l’uno all’altro, all’interno della stessa polis. Per loro, nessuna pietà o giustificazione clinica. Criminale la loro religione, bestiali i loro usi e costumi, killers senza alcuna tara mentale. La ferocia mostrata da H.B non è dissimile da quella messa in atto dal curato concittadino. Ma nessun luogo comune di follia o sospensione momentanea della capacità di intendere e di volere è stato frequentato questa volta. Nessuno degli ‘esperti’ o dei vari opinionisti ha voluto prendere in considerazione l’ipotesi psicopatologica citando, ad esempio, le parole degli operatori del centro Dévereux, in Francia: ‘ i soggetti piú a rischio di patologie psichiche, di scoppi di violenza, ma anche di derive integraliste o fondamentaliste, sono soprattutto coloro che hanno perso il controllo dei propri attachements: persone su cui la migrazione, o forse una qualche altra esperienza anteriore, ha costituito un trauma che non ha permesso loro di mantenere attivo qualche aspetto della propria identità. Spesso isolati, rimasti soli, tagliati via dai loro legami culturali, chiedono di essere ricomposti e sfociano nella patologia’.
Nel caso di HB l’identità era legata ad un’immagine da mantenere non riferita alla comunità di Novi, bensì alla famiglia di origine, quindi un laccio ben più solido e complesso, come testimoniato dalla deposizioni che indicano in una sorta di ‘direttiva’ familiare, proveniente dal Pakistan, il comando ultimativo a uccidere. Un’immagine di uomo padrone che non poteva essere scalfita agli occhi del mondo originario. Una circostanza simile la troviamo ne ‘Il Padrino’ quando Frank Pentangeli con la sua testimonianza sta per accusare la famiglia dei Corleone nel processo che lo vede coimputato. La presenza di un parente siciliano in aula, appositamente fatto venire dall’Italia, si dimostra così forte dal farlo recedere dai suoi intenti accusatori, preferendo la via del suicidio a quella del ‘disonore’ rispetto ai familiari d’oltreoceano. Dunque l’Altro in nome del quale è stato commesso quest’ omicidio è quello natio. Una sottomissione totale, acritica, incondizionata, consapevole delle conseguenze umane e penali della cieca furia omicida.
Dunque, scelta lucida o scompenso? La città non ha avuto dubbi nel scegliere la prima opzione.
Nel dicembre 2011 Gianluca Casseri uccide brutalmente due uomini nativi del Senegal, poi si toglie la vita braccato dalle forze dell’Ordine. Un amico delle vittime uccise nel centro di Firenze grida alle telecamere: “Non era matto! Se no, avrebbe sparato anche ai bianchi”. “Ha ucciso e ferito solo senegalesi – hanno dichiarato due giovani fiorentini al locale quotidiano – doveva essere malato”. In questa tragedia la prima frase assume un particolare valore clinico. L’obiettivo di quell’uomo erano i ‘neri’, oggetto di odio, il Migrante come entità, un Altro da annientare falcidiando alcuni dei suoi appartenenti. Le reazioni favorevoli all’omicidio apparse sul sito estremista ‘Stormfront’, non sono dissimili dalle quelle riportate sui siti internet della galassia dei vari gruppi xenofobi ed estremisti che popolano la rete. Piccoli mondi costituiti su base paranoica, fondati sull’aggressività, la chiusura, l’autoreclusione dentro a mura dalle quali lanciare invettive, colpire, attaccare il bersaglio eletto a causa dei pericoli percepiti come da lui provenienti. La vita di soggetti e gruppi di tal fatta è dedicata ad alimentare una solitaria guerra verso un ‘nemico’, a detrimento delle normali attività della vita quotidiana.
Ha ragione Saverio Ferrari quando dice “attenzione perché è pericolosissimo derubricare il gesto di Casseri a follia (…) se passa ancora in giudicato l’idea del gesto folle rischiamo di far cadere gli ultimi anticorpi alla deriva della destra xenofoba”? Oppure abbiamo a che fare con una psicosi paranoica, acutizzata nel tempo e testimoniata dall’involuzione e dal progressivo ripiegamento della vita di Casseri, giunta ad un punto nel quale le convinzioni deliranti diventano verità uniche e non confutabili, col nemico che si tramuta in un pericolo materiale da eliminare come ha fatto Breivik nell’isola di Utoya? Anche in questo caso vale la pena prendere in considerazione l’obbedienza ad un ordine di appartenenza emanato da un’entità alla quale il killer si sentiva indissolubilmente legato. Casseri si è fatto volontà dell’Altro, annullandosi in nome di un Assoluto, al quale si era totalmente dato e offerto come oggetto. Un’obbedienza in nome della quale, insegna Lacan, il perverso si tramuta in mero esecutore di ordini privo di capacità critica e senso di colpa, una normale macchina dell’orrore. ‘Propriamente parlando (la perversione) è un effetto inverso del fantasma. E’ il soggetto che si determina esso stesso come oggetto, nel suo incontro con la divisione della soggettività(…) E in quanto il soggetto si fa oggetto di una m volontà altra che non solo si chiude, ma si costituisce la posizione sadomasochista’. Casseri serviva non a caso la causa della ‘razza bianca’, in nome della quale ha agito in maniera studiata, precisa, volendo infliggere un colpo alla comunità migrante, (‘ ora tocca a voi, negri!’) , cercando di angosciarne gli appartenenti con la sua minaccia immanente. Nel Seminario X ‘l’Angoscia’ Lacan scrive che ‘Il sadico vuole suscitare l’angoscia nell’altro’, infatti non viene cercata tanto la sua sofferenza, quanto la sua angoscia(…). L’Angoscia dell’Altro, la sua esistenza essenziale in quanto soggetto in rapporto a tale angoscia, ecco ciò che il desiderio sadico sa far vibrare’. Può dare un contributo alla discussione un momento clinicamente significativo del film ‘La caduta‘. L’atmosfera paranoica nel quale Hitler vive i suoi ultimi giorni ormai totalmente distaccato dalla realtà, intento a muovere sulla carta geografica truppe inesistenti, è squarciata dall’annuncio di un suo attendente: ‘Il Fuhrer è morto’. A questa notizia alcuni uomini appartenenti alle SS si uccidono con un colpo alla tempia, asserendo che non potevano sopravvivere alla sua morte. Portano alle estreme conseguenze il loro giuramento di fedeltà assoluta al capo in nome del quale avevano annullato la loro volontà e il loro giudizio, e senza il quale la loro esistenza perdeva di senso. Si chiamano fuori come invece non scelgono di fare i tanti personaggi grigi e per sempre erranti dei romanzi di Kakfa, descritti da Gunther Anders come "esecutori di ordini che portano avanti la loro indefessa opera quando chi li impartisce è ormai morto".
*L'ultima parte di questo articolo è apparsa su www.liberaparola.eu, e sulla rivista on line http://haecceitasweb.com/
Caro Maurizio,
credo che uno
Caro Maurizio,
credo che uno dei motivi per cui la psichiatria italiana susciti talora perplessità’ nell’ opinione pubblica sia il balletto delle perizie psichiatriche. Da un lato, di fronte ad un reato, uno stimatissimo ed esperto collega che dimostra senza dubbio alcuno come l’ imputato sia incapace di intendere e volere. Dall’altro, un altrettanto stimatissimo ed esperto che dimostra con egual certezza come lo stesso imputato sia senz’altro responsabile del reato a lui attribuito. Ultimamente poi si tende sempre più’ ad attribuire ad ogni violenza una connotazione psicopatologica, come hai ben riassunto nel tuo articolo. Ma se così fosse dovremmo pensare ad una società’ completamente diversa: con poche piccole carceri, per i soli reati amministrativi, e a grandi, smisurati manicomi per tutti gli altri reati. Che ne pensi?
Caro Stefano.
Hai colto
Caro Stefano.
Hai colto esattamente lo spirito di questo post.
Le mie sono tracce, raccolte per innescare una discussione attorno a temi che, ritengo, vengano più subiti che discussi.
Io non sono uno psichiatra, ma con tanti di loro collaboro, e mi rendo conto di quanto sia difficile, a fronte di strumenti diagnostici sempre più fini, mettere il paletto che separi la normalità dall’anormalità, e con esso il limite della punibilità.
Per quella che è la mia esperienza, l’opinione pubblica è sempre più incline ad una deresponsabilizzazione, specie per i reati commessi dal ‘simile’. L’ondata di ‘nuove malattie’ che sta per colpire la società, grazie alla nuova edizione del DSM sembra proprio andare nella direzione che tu indichi.
Tutti più sani, più longevi, ma meno responsabili grazie a una miriade di ‘patologie’ pronto uso reperibili da chiunque.
Ne scriverò in un prossimo commento, ma ti anticipo una traccia che vi sarà contenuta: un mio collega si è trovato di fronte ad un uomo che, a seguito di una lite per questioni economiche, ha pestato il suo ex capo ufficio, procurandogli serie lesioni interne.
Uomo colpevole, o affetto dal ‘disturbo oppositivo provocatorio?
Ne discuteremo, spero anche col tuo contribuito, qua, prossimamante