Ovvero I Quattro Cavalieri di Arrival
Il tempo al cinema ha un suo peso specifico. C’è quello reale della pellicola, che dura almeno 90 minuti, ma anche quello della narrazione, che ha ormai tradito l’Unità di Luogo, di Spazio e di Tempo della tradizione teatrale, permettendosi il flashback e il flashforward. Questo ha a che fare con il film Arrival. Il tempo ne rappresenta la traccia estetica, non quella etica, ed è uno dei quattro cavalieri del mio titolo.
Il Flash è una scena più o meno breve, che generalmente è spudoratamente diversa anche nella ripresa cinematografica visiva, in modo da segnalarsi, spesso come soggettiva, come ricordo, insomma, appunto nel flashback, che è verso il passato (back, indietro).
Il Flashforward è invece una scena riferita al futuro, generalmente messa all’inizio di un film per segnare un confine emotivo di inevitabilità rispetto a tutti gli elementi di tensione presenti nella successiva narrazione, che appunto precedono nel tempo quella scena (forward, avanti).
Nulla di nuovo quindi in Arrival, perché la voce narrante è onesta nel dire che “pensava” che tutto fosse cominciato in quel modo, mentre appunto il film finisce prima che quelle scene siano possibili nel tempo della narrazione.
L’unico elemento è quello della striscia infinita di Escher applicato al nastro ormai virtuale della pellicola cinematografica. Il film diventa un doppio anello in cui le scene iniziali potrebbero essere quelle precedenti, invece sono quelle che avverranno dopo il finale.
Questa striscia infinita si intreccia a sua volta con una spirale e un cerchio vero e proprio. Eppure tutto questo non è alla base del fascino del film.
La spirale è quella del tempo che viene modificato in una relazione futuro/passato/presente paradossale in cui i tre elementi sono contemporanei. Una scena del futuro modifica nel passato quello che nel tempo della narrazione è il presente.
Il cerchio vero e proprio è quello della narrazione grafica degli alieni. Questo cerchio confonde, perché simultaneamente alla striscia infinita di Escher ed alla spirale della scena madre, produce un effetto alienante.
E’ proprio l’alienità ad essere però alla base del fascino e l’inizio della traccia etica del film. L’incontro con un altro che non può essere più altro di così. Eppure comunque è solo il secondo cavaliere.
L’alieno classico al cinema, spesso perfino antropomorfo, è sempre omologabile a metafore sociologiche o politiche del mondo contemporaneo al tempo di produzione del film. L’alieno di Arrival è invece completamente Altro.
La tecnica usata in molti altri film, di alienare un personaggio considerato “omologato”, come in quelli di Chuck Palaniuk, qui si inverte. Il personaggio alienato deve essere “omologato”. L’incontro con l’Altro produce però delle modifiche nel Sé, lo espone e lo rende fruibile in tutti e due i sensi, anzi in tutti i tempi possibili.
L’altro in questo caso viola tutte le leggi della fisica, come la gravità o il tempo, ma nel processo di comunicazione diventa a sua volta “diverso” da sé e sensibile all’altro.
La base è quella nota a tutti i cervelli multilingue e ai traduttori, così come a molti algoritmi per traduzioni online. La semantica del pensiero è omologata, giacché il supporto è sempre uguale a sé stesso ovunque nasca l’essere umano. In questo caso però gli autori hanno inventato una semantica aliena, cui ci si deve adattare, la cui potenza costringe le strutture del cervello di chi la studia a modificarsi. Solo l’omologazione del supporto hardware (il cervello, la mente) permette una traduzione.
Siccome lo stesso avviene nel percorso opposto, da parte degli alieni, questi diventano lineari, e smettono di essere per alcuni istanti perfettamente circolari, rischiando la morte, senza sapere prima che potrebbe avvenire o come dovrebbe essere previsto dal loro sapere circolare.
Ecco il terzo elemento cruciale.
L'idea totemica della morte è un'idea ancestrale, la stessa degli uomini della pietra.
La morte in questo mondo diventa tabù, superstizione o idolatria. Le religioni speculano ampiamente su questo sentimento primordiale. Perfino l'angoscia esistenziale filosofica o psicoanalitica si costruiscono su questo fatto che non c'è nulla dopo la morte individuale tranne il senso che i vivi danno artificialmente alla morte stessa.
Tecnicamente anche la vita non ha senso, ma sappiamo per esperienza, o pretendiamo come illuministi, che produrre un senso autocentrato sulla vita, piuttosto che sul sentimento di angoscia ancestrale per la morte, abbia effetti migliori per tutti.
Dal punto di vista della vita, quindi cronologico, la morte segue la vita, ma nel film essa appare circolare (compresente nel tempo), in una striscia di Escher (sia prima che dopo la narrazione lineare del film), in una spirale (utile a modificare il passato dal futuro, agito nel presente della narrazione).
Lo stesso effetto lo ottiene solamente la Satira e l’Ironia, ma Aristotele, che forse lo aveva già capito, non ha nulla a che fare con questo film.
La satira è più diretta di una spiegazione didattica e dice molto di più della demagogia del lutto, utilizzata spesso anche in politica. E questa è la quarta frontiera, il quarto cavaliere del film.
Le problematiche esistenziali individuali della protagonista, quelle relazionali con l’Altro e quelle della gestione del tempo della narrazione, come in una nota lezione di Foucault, non possono non emergere in un contesto politico, ampiamente influenzato dai mass media.
Le angosce esistenziali diventano isteria di massa e queste si trasformano in speculazione politica che poi diventa, chiudendo un’altra spirale o un cerchio, se preferite, l’agito di pochi o di una sola persona, incapace di critica autonoma.
La disciplina e il rispetto della legge o della vita vengono violate in nome di principi astratti legati sempre all’angoscia della morte o esistenziale, prodotta dai paradossi temporali e dal rapporto con l’Altro.
Perfino il manifesto del Film è diventato un paradosso politico, cone le immagini di Shangai ed Hong Kong mischiate, dicono, per errore tecnico.
Nel film questo attraverso un sistema di comunicazione paradossale, ma nella realtà noi psichiatri e parenti di sofferenti psichici proviamo esattamente tutte queste difficoltà e questi paradossi. I quattro cavalieri (il tempo, l’incontro con l’altro, la morte e la politica) modificano enormemente le nostre possibilità di elaborazione e il nostro lavoro.
Tutto questo è il mondo contemporaneo, non solamente la possibilità di un film bellissimo che non si vergogna di sentimenti profondi come l’insicurezza, la fiducia, il lutto o la speranza.
Queste emozioni sono sempre in gioco nell’incontro con il vero alieno possibile, il Sofferente Psichico, che tuttavia soffre le stesse difficoltà esperite dagli alieni. La politica e la demagogia rappresentano l’ostacolo materiale più grande, ma questi emerge dal rapporto della società con le problematiche poste dalla morte, dall’incontro con l’altro e appunto col valore del tempo e il suo uso narrativo, psicologico o psicoterapeutico e riabilitativo.
Il Diritto ad un Tempo Lineare che esca da questi paradossi, sia con l’uso di terapie antipsicotiche adeguate, sia per l’uso di politiche di reinserimento sociale e lavorativo, sia con l’uso di terapie dinamiche familiari, permetterebbero all’Alienato di essere Omologato, nella misura in cui anche la società, la famiglia, gli operatori della Salute Mentale verrebbero Omologati alla comunicazione Aliena attraverso i quattro cavalieri cui dedichiamo comunque la nostra esistenza. Il Tempo, La Morte, l’Altro e la Società.
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