Eppure anche gli psicotici hanno diritto alla rabbia, giacché è la sua assenza, ovvero l’assenza del diritto all’espressione della rabbia, che crea sia l’impossibilità di reclamare i propri diritti in un sistema che anche in Italia sta diventando nuovamente manicomio-centrico e privatizzato, sia quella sequenza di reazioni conflittuali paradossali che creano, anche nella propria famiglia, il cosiddetto clima manicomiale, con oppressioni e doppi legami inestricabili e violenti ai suoi danni.
La rabbia, come tutte le emozioni, produce nell’altro che osservi un sofferente psichico, una reazione fortissima ma non precisa, dovuta all’empatia o ai neuroni a specchio, a seconda del modello con il quale preferite lavorare. Questa reazione è di angoscia o di rabbia, percepite come proprie, cui consegue una serie di comportamenti che oscillano dalla paura estrema, al rifiuto, dall’aggressività, al rigetto della comunicazione, dall’espulsività, alla sudditanza, a seconda del comportamento di base dell’osservatore e delle circostanze.
La rabbia, come elemento pervasivo, continuo, non correlato alla realtà esterna, non sostituibile e non evitabile è proprio un sintomo di psicosi, a seconda del grado, o di disturbo di personalità scompensato, anche in assenza di deliri.
La rabbia però è anche un elemento sano nella relazione umana quando si risponde a stimoli negativi reali, che per un sofferente psichico possono essere le controreazioni alla propria patologia, oppure il comportamento alterato di qualche altro familiare, anch’esso in qualche modo sofferente psichico, o la reazione al rifiuto sociale causato dalla malafede o dallo stigma, o la reazione alla controreazione sociale alla propria patologia, nonostante in quel momento non sia in atto alcun elemento patologico, o la cattiveria umana, o i dispetti banali in famiglia, e via dicendo.
Una specie di trappola, insomma.
Se la rabbia è l’elemento pervasivo della psicosi, quando la terapia diventa efficace, il paziente rimane condannato all’impossibilità di esprimere la rabbia naturale, condanna ovviamente impossibile da espletare, perché le emozioni naturali non si possono reprimere, ma soprattutto perché la realtà intorno ad un sofferente psichico è spesso ostile o frustrante, appunto, come conseguenza della rabbia psicotica o degli altri elementi deliranti che hanno devastato fino a quel momento le relazioni interpersonali, ma soprattutto perché ogni sistema produrrà prima o poi un conflitto che necessiti l’espressione della rabbia naturale per la sua evoluzione naturale.
Non abbiamo, purtroppo, due parole per esprimere queste due diverse emozioni, ma dovremmo inventarle, come gli Inuit hanno undici parole per indicare le sfumature di bianco. D’altra parte la psichiatria crea da sempre confusione tra le parole, chiamando ossessivo quello che per la gente comune è il maniacale, maniacale quello che per la gente comune non ha un nome gradevole, isteriche le donne che soffrono d’ansia, omosessuali chi ama normalmente, alienato chi è profondamente umano, disturbo le personalità che sono comunque il nostro modo di essere umani nel linguaggio comune, dicendo depressione quello che in società oscilla dalla tristezza alla psicosi, o creando suddivisioni della materia anacronistiche ma tutte con il prefisso psich- per facilitare lotte intestine politiche ai danni degli utenti.
La rabbia dello psichiatra infatti è anch’esso un elemento potentissimo, forse come controreazione alla frequentazione di tanti sofferenti psichici tanto diversi gli uni dagli altri, ma secondo me anche per la frustrazione elevatissima del ruolo di psichiatra in generale e per le gelosie professionali in particolare.
Se lo psichiatra può, come i familiari, esprimere rabbia anche in modo incongruo senza conseguenze reattive possibili difensive da parte del paziente è allora sempre il sofferente psichico a patirne le conseguenze. Forse anche questo elemento ha prodotto le osservazioni anti-psichiatriche più notorie e la sensibilità ad una legislazione più cauta verso i pazienti, ma questa non risolve quello che è il problema di base.
Come distinguere in ambito di conflitto una rabbia naturale da una rabbia psicotica, a chi attribuire quale in un ambito relazionale complesso e come evitare che i giochi di potere manicomiali (Basaglia e Foucault ci insegnano) dentro il nucleo familiare, nella società e nella relazione medico-paziente prevarichino l’uno ai danni dell’altro in modo innaturale, paradossale o violento?
Come permettere la rivendicazione autonoma dei propri diritti a chi per farlo deve necessariamente usare una reazione emotiva tabù, senza che questo trascini quello ed il sistema circostante in un corto-circuito conflittuale manicomiale o psicotico?
Riconoscere il diritto alla rabbia, temporanea e relazionata alla realtà, ed insegnare la modalità zen o meditativa a parenti e professionisti della salute a reagire con serenità e moderazione alla rabbia naturale (ma anche a quella psicotica, in vero) è un obiettivo possibile, ma che non viene affatto preso in considerazione né dai corsi universitari né dalle Asl italiane, con la conseguenza di aumentare la frustrazione, la violenza e la repressione poliziesca a tutti i livelli.
D'altra parte non va dimenticato ed anzi va sottolineato come l'assenza del diritto alla rabbia abbia prodotto nei secoli le violenze psichiatriche a persone sane di mente, quando la società per pregiudizio, come oggi sta avvenendo ancora per i pedofili, colpevoli di reato e non malati da curare, ed in passato per isterici, mancini, epilettici, oppositori politici, omosessuali, barboni e via dicendo, ha usato la psichiatria come arma.
Il Diritto alla Rabbia è lo strumento sofisticato e complesso che garantisce il diritto delle persone sane di mente a non subire la violenza manicomiale o farmacologica, mentre l'assenza di questo diritto è lo strumento più feroce che ha trasformato in sadici collusi con il potere gli psichiatri in tutto il mondo.
Questo aspetto deve fare riflettere perché la linea sottile tra rabbia naturale e rabbia psicotica deve essere tracciata per garantire il diritto alla rabbia e per curare efficacemente solo gli psicotici e solo quando ne abbiano bisogno, avendo anche loro, in ogni caso, diritto alla rabbia!
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