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DIRITTO alle PAROLE

19 Nov 16

A cura di Manlio Converti

Anche a Napoli si è tenuto un incontro sulle 'Parole in Psichiatria' voluta dall'Ordine dei Giornalisti e dalla Unamsi e tenuta magistralmente dal professor Maj e dai suoi collaboratori, tra cui la professoressa Galderisi.

Nella loro trattazione la terapia principe è solo quella farmacologica, mentre psicoterapia e riabilitazione sono risultate ancelle secondarie.

E’ necessario sapere che grazie agli psicofarmaci di nuova generazione l’indice di curabilità attuale è elevatissimo, spesso superiore alle cure per diabete o cardiopatie, ma non basta. Dobbiamo anche ricordare che non esiste solo la psichiatria farmacologica misurabile ovvero biologista, e la questione del rapporto tra mass media e mondo psy pertanto è molto più complicato.

Sicuramente l’assenza dei grandi leader del passato riduce l’impatto delle altre forme di psichiatria, ma oltre al paradigma biologista, esemplificando molto, esistono almeno anche quello psicoterapico/psicoanalitico, quello fenomenologico/antropologico e quello sociale/riabilitativo.

Le differenze sono notevoli, ma siamo esseri umani e quindi sono tutti importanti.

Provo a fornire tre parametri esemplificativi.

Il primo è il concetto già di per sé ambivalente di libertà.
La libertà per le neuroscienze dipende dalla complessa struttura di reti di neurolettici da cui finisce per essere determinato. Rispetto alla terapia, ad esempio, il paziente è libero di scegliere o di aderire alla terapia farmacologica, altrimenti in certi casi possono essere obbligati col TSO e buonanotte alla libertà. Il modello del burka… Sei libero di metterlo ma non di toglierlo…
Per il modello psicoterapico invece la libertà è una proprietà della coscienza, finché non interviene l'inconscio, che la sovradetermina. La terapia psicologica nel merito funzionerà se il paziente obbliga sé stesso a farla e buonanotte alla libertà un'altra volta.
Per il modello fenomenologico è invece solo una questione di libertà che si scontra con il contesto antropologico da cui derivano l'interpretazione del concetto di libertà o malattia mentale ma anche i limiti sociali, storici e culturali, che li producono o li coartano, cancellando la libertà individuale.
Infine la visione sociale interpreta la libertà come concetto storicizzato rispetto ai bisogni,  quali la casa, il lavoro,  lo studio o la possibilità di vivere in gruppo o in famiglia. La libertà dipende anche dalle possibilità effettive sul territorio di reperire informazioni, competenze, strutture, operatori formati alle varie tipologie di intervento suddette.

Passiamo all'idea di pericolosità sociale.
Qui si aggiunge il gruppo dei periti, dei medici e psichiatri forensi,  che hanno un'ottica deformata dalla legge, oggi messa in discussione, della 'non imputabilità dei sofferenti psichici '.
La discussione per le neuroscienze è di correlazione tra uso corretto della terapia farmacologica e riduzione della pericolosità, da cui è sempre escluso il significato o la possibilità di valutazione quantitativa.
In effetti i numeri si alternano sulla marginalità, ma il vissuto familiare e sociale a causa dello stigma, cioè del pregiudizio, resta pessimo.
Per l'ambito psicoanalitico il rischio è quello di giustificare ogni azione illegale come un prodotto dell'inconscio.
La questione antropologica analizzerà il significato di reato rispetto al contesto socio-culturale, mentre la questione sociale riabilitativa dirà che è l'oppressione della società o della struttura familiare a produrre l'energia della ribellione violenta.

Passo alla questione omosessuale.
Cicero pro domo sua.
La psichiatria sui mass media ne parla ancora solo come una malattia mentale da curare. Questo gruppo è l'unico che viene rappresentato.
Praticamente tutti gli altri psichiatri semplicemente non ne parlano mai in modo ufficiale, perché non ne sanno niente, perché provano imbarazzo, perché è un tabù, perché non pensano si debba curare ma non sanno dire comunque altro.
Dal punto di vista delle neuroscienze esistono studi di isometrica funzionale tra maschi e femmine in cui si inscrive anche l'omosessualità.  Tuttavia quantitativamente le persone omosessuali soffrono più della media di depressione, ansia, abuso di sostanze o suicidio.
Il gruppo degli psicoterapeuti è profondamente diviso in quello che vuole curare l'omosessualità e quello molto minore che sostiene attivamente l'autostima delle persone omosessuali in difficoltà.
Il problema dal punto di vista fenomenologico è complicato e se esistono prove della diffusione mondiale e storica di comportamenti omologhi essi sono spesso interpretati come eventi unici e storicizzati, mentre l'eterosessualità resta una costante antropologica…
Ovviamente gli stessi dati possono essere usati proprio per dimostrare la costanza storica di omofobia e omosessualità, l'una contro l'altra armata nel difficile compito di lasciare tracce storiche.
Infine la teoria sociale si confonde con il dato strutturalista e politico della rivendicazione dei diritti, in questo caso sanitari.

Insomma il concetto è semplice.
Negare le parole di questi altri linguaggi non è corretto e non è utile a nessuno. Ovviamente l'effetto è quello di rendere complicatissimo il compito dei mass media nel rappresentare tutto ciò correttamente per evitare ad esempio di confondere per verità assoluta una interpretazione soggettiva psicanalitica, oppure le lotte sindacali con i bisogni di base dei sofferenti psichici, o ancora i fenomeni profondamenti umani anche dei sofferenti psichici con le loro patologie.
Provateci voi a scrivere un titolo…

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