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Disabilità e Diritti Umani: “Nothing about us, without us”.

16 Dic 16

A cura di Emilio.robotti

Per gli interessati, nel decimo anno dalla Convenzione dei Diritti delle Persone Disabili, pubblico la prima parte della mia relazione al  convegno dell'Unione forense Tutela Diritti Umani  “Il ruolo dell’Avvocato per la tutela dei Diritti Umani” –  a Genova 13 dicembre 2016.

Cenni storici
 

Corpi bianchi, neri, maschili, femminili, giovani vecchi, belli, brutti, rotti, giusti o sbagliati. I nostri corpi prefigurano il nostro futuro e spiegano il nostro passato, scrivono le nostre storie. Più correttamente si può dire che è la società in cui viviamo a costruire il nostro concetto di corpo, e tale concetto modella la nostra storia ed il nostro futuro.

Per secoli le differenze tra i corpi hanno determinato le strutture sociali attraverso la definizione di certi modelli di corpo come la norma, il giusto corpo, definendo al contempo laddove si usciva da tale norma per ricadere nell’Altro: una alterità definita a seconda del grado di variazione dalla norma. Essere al di fuori della norma, essere parte dell’alterità significava – e significa purtroppo ancora oggi – la possibilità di subire isolamento ed abusi.

Le persone disabili sono state marginalizzate persino da coloro che, a loro volta, erano marginalizzati dalla società.

L’Occidente ha sviluppato diversi modelli di disabilità fondati sulla non inclusione, ed anzi sulla reclusione, dalle prigioni vere e proprie (si pensi a ciò che scrive Foucault in “Storia della follia) agli ospedali (e si pensi ai manicomi, a cosa ne scrivevano un medico – Franco Basaglia – o una paziente reclusa, Alda Merini) cancellando i rari modelli storici di inclusione sociale della disabilità quale quello dei Maori, dove la disabilità era accettata come normale. In particolare, la società e la cultura occidentale hanno sviluppato nel tempo il modello religioso della disabilità, il modello medicale/ genetico, ed infine il modello della disabilità fondato sui diritti. (per approfondimenti “The History of disability: A history of Otherness" – by J. Clapton and J. Fitzgerald da cui è liberamente tratto questo incipit).

 

Dal modello medico al modello sociale.Il percorso verso la Convenzione.

Dopo la seconda guerra mondiale inizia un periodo di grande sviluppo della scienza medica e ciò ha un grande impatto sul gran numero di civili e soldati che durante la guerra risultarono feriti conseguendo gravi disabilità. In particolare, si sviluppa un modello di welfare  e riabilitazione di tipo industriale, fondato su personale medico, infermieristico, sui terapisti e sugli operatori sociali: si sviluppa, insomma il modello medico della disabilità. E’ un modello che guarda al recupero del corpo, ma non all’inclusione sociale, fondato sulla cura, ma non sui diritti. Un modello ancora presente, in cui il disabile è un paziente, prima di essere una persona.

Le cose iniziano a cambiare negli anni sessanta, in particolare con riferimento agli USA: sono gli anni della guerra del Vietnam, dei reduci, molti dei quali disabili anche gravi, che vengono presi in carico dal modello medico, industriale della disabilità a cui abbiamo accennato. Ma sono anche gli anni in cui, sempre negli USA, nasce il movimento dei diritti civili, ed al suo interno anche i disabili si organizzano come parte di tale movimento. 

Ciò che accade negli USA ha una grande eco a livello internazionale negli anni successivi. Le persone disabili iniziano ad identificarsi, a riconoscersi in una identità collettiva, a convincersi che se riusciranno ad unirsi, a riconoscersi e a farsi riconoscere come una identità collettiva, potranno portare aventi le loro istanze ed anche indirizzare le leggi perché riconoscano i loro bisogni ed i loro diritti. Il Civil Rights Act statunitense non riconosce la specificità delle persone disabili, ma il Congresso riconosce l’esistenza di bisogni ancora più grandi verso i quali devono compiersi altre azioni: quelli delle persone con disabilità. Si adottano quindi nel 1973 il Rehabilitation Act e successivamente negli anni novanta l’Americans with Disabilities Act. L’influenza di ciò a livello internazionale è notevole. Negli Usa, come a livello internazionale, si passa dal modello di soft law centrato sui bisogni sanitari, sul modello medico di disabilità, scivolando lentamente sempre più verso un modello di hard law focalizzato via via sempre più sui diritti umani delle persone con disabilità, sulla loro dignità: da un modello che comprendeva la persona disabile come oggetto del sistema di protezione sociale e soprattutto sanitaria, ad un modello in cui la persona disabile è un soggetto di diritto. Da un modello dove la prospettiva è la disabilità, la menomazione, ad un modello della disabilità inerente i diritti umani, fino al momento presente, in cui la disabilità è vista anche come istanza dei diritti umani, protetti da una specifica convenzione.

Un percorso che vede a livello internazionale le Nazioni Unite approvare nel 1975 uno strumento di soft law, non vincolante quindi, la dichiarazione dei diritti delle persone disabili a protezione dei loro diritti civili e politici. Seppure la dichiarazione dei diritti delle persone disabili a protezione dei loro diritti civili e politici sia  uno strumento per sé non vincolante, nel senso che ribadisce quanto già previsto per tutti nei trattati internazionali, la sua utilità consiste però nell’iniziare a prevedere la possibilità che gli Stati possano adottare una legislazione inerente la disabilità all’interno di una cornice definita a livello internazionale e nell’iniziare a definire a livello internazionale cosa sia, giuridicamente, la disabilità. Successivamente le Nazioni Unite adottano altre iniziative, tra cui nel 1982 il Programma Mondiale di azioni per le persone disabili, la nomina nel 1984 di uno Special  Rapporteur  per i Diritti Umani e la Disabilità; nel 1992 il Decennio internazionale per le le persone disabili. Ed altre successive iniziative di soft law, quindi non vincolanti per gli Stati, fino a che, a livello internazionale, si giunge alla piena consapevolezza che tutto ciò non è sufficiente ed occorre l’adozione di una vera e propria Convenzione specifica. Con la convenzione si abbandona insomma il modello esclusivamente medicale e sanitario della disabilità, per superare l’istituzionalizzazione delle persone disabili ed entrare pienamente nel terreno dei Diritti Umani e di una Convenzione apposita, vincolante per gli Stati. Si prende atto insomma che le persone disabili, nel loro complesso, rappresentano la più grande minoranza sul pianeta: almeno 650 milioni di persone, spesso istituzionalizzate, segregate, discriminate, talvolta ancor più perché soggetti fragili che spesso sommano in sé ulteriori fragilità riconosciute anch’esse e tutelate dagli strumenti di diritto internazionale: i disabili sono persone, quindi sono anche minori, sono donne, hanno un determinato orientamento sessuale, appartengono ad un determinato gruppo etnico, religioso e via dicendo.

 

La Convenzione per i diritti delle persone disabili (CRPD)

 

La Convenzione per i Diritti delle Persone Disabili viene adottata nel 2006 ed entra in forza nel 2008. Attualmente ne sono parte 168 stati, compresa l’Italia, che aveva però già  adottato una propria legislazione specifica nel 1992 e sul tema ha sempre avuto a livello internazionale una apprezzabile iniziativa ed attenzione. Altri 19 stati l’hanno sottoscritta e solo 11 stati non hanno compiuto alcuna azione in merito. Dei Protocolli Opzionali sono parte 91 stati compresa l’Italia ed altri 28 li hanno sottoscritti.

A prescindere dall’amplissima partecipazione degli Stati, è notevole il processo di partecipazione e l’inclusione che hanno portato alla nascita della Convenzione. La CRPD è in assoluto lo strumento convenzionale più partecipato nella storia: il percorso per la sua adozione ha visto infatti una partecipazione senza precedenti, rispetto ad ogni altra convezione in materia di Diritti Umani che l’ha preceduta, delle rappresentanze della società civile, delle persone disabili tramite le loro organizzazioni rappresentative. Lo slogan utilizzato per la Convenzione è “Nothing about us, without us”, “Nulla per noi, senza di noi”.

La Convenzione innanzitutto, all’art. 1 enuncia il diritto ad un pieno godimento dei diritti umani  e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e il dovere degli Stati di promuovere tali diritti ed il rispetto della inerente (innata, intrinseca) dignità delle persone disabili. Parliamo dei diritti economici, sociali, culturali tanto quanto dei Diritti Civili e Politici delle persone con disabilità. E’ la prima volta che tali diritti sono combinati tutti insieme, in un unico strumento internazionale delle Nazioni Unite, e che sono combinati con i diritti riconosciuti già a tutte le persone da altri strumenti: insomma il diritto di essere riconosciuto di fronte alla Legge e la proibizione di essere sottoposto a tortura,sfruttamento, violenze ed abusi, il diritto all vita, alla libertà, alla sicurezza, alla libertà di movimento e di espressione, al rispetto della privacy.

Il concetto di disabilità nella Convenzione non è esplicitamente ed univocamente definito; piuttosto, sono presenti degli indicatori per determinare se una persona possa essere considerata disabile. Non c’è una definizione chiusa e limitata, ma una definizione aperta a nuove eventuali future forme di disabilità attualmente inesistenti o non considerate, considerando quindi la disabilità un concetto possibile di future evoluzioni, senza bisogno di mettere mano al testo della Convenzione.

Se la disabilità non è esplicitamente definita nella CRPD, ciò non vuol dire affatto che  che essa si traduca in un concetto astratto. L’art. 1 infatti afferma che le persone con disabilità “includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.

La Convenzione enuncia i principi generali all’art. 3:

“(a) Il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone;

(b) La non-discriminazione;

(c) La piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società; 

(d) Il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità

come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; 

(e) La parità di opportunità;

(f) L’accessibilità;

(g) La parità tra uomini e donne;

(h) Il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei bambini con disabilità e il

rispetto per il diritto dei bambini con disabilità a preservare la propria identità.”

All’art. 4 enuncia gli obblighi generali che discendono dalla Convenzione: “Gli Stati Parti si impegnano ad assicurare e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo basate sulla disabilità"  ed enuncia tutti gli impegni specifici degli Stati in merito all’adozione di misure legislative per realizzare i diritti riconosciuti dalla convenzione, tra i quali prendere tutte le misure appropriate “per modificare o abrogare qualsiasi legge esistente, regolamento, uso e pratica che costituisca discriminazione nei confronti di persone con disabilità”, “tener conto della protezione e della promozione dei diritti umani delle persone con disabilità in tutte le politiche e in tutti i programmi”, l’impegno ad “astenersi dall’intraprendere ogni atto o pratica che sia in contrasto con la presente Convenzione e ad assicurare che le autorità pubbliche e le istituzioni agiscano in conformità con la Convenzione”, a intraprendere tutte le misure per “eliminare la discriminazione sulla base della disabilità da parte di ogni persona, organizzazione o impresa privata”.

La modernità della Convenzione si coglie anche negli ulteriori impegni previsti per gli Stati parte  dall’art. 4:

l’impegno  “(f) Ad intraprendere o promuovere la ricerca e lo sviluppo di beni, servizi, apparecchiature e attrezzature progettati universalmente, come definito nell’articolo 2 della presente Convenzione, le quali dovrebbero richiedere il minore adattamento possibile ed il costo più basso per venire incontro alle esigenze specifiche delle persone con disabilità, e promuovere la loro disponibilità ed uso, incoraggiare la progettazione universale nell’elaborazione degli standard e delle linee guida;

(g) Ad intraprendere o promuovere ricerche e sviluppo, ed a promuovere la disponibilità e l’uso di nuove tecnologie, incluse tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ausili alla mobilità , dispositivi e tecnologie di ausilio, adatti alle persone con disabilità, dando priorità alle tecnologie dai costi più accessibili;

(h) A fornire alle persone con disabilità informazioni accessibili in merito ad ausili alla mobilità, dispositivi e tecnologie di ausilio, comprese le nuove tecnologie, così pure altre forme di assistenza, servizi di supporto e attrezzature;”.

Alcune delle previsioni della Convenzioni sono particolarmente importanti ed innovative.

Tra queste l’accessibilità come principio generale e come articolo a sé stante (art. 29 CRPD), principio presente anche specificamente come parte dell’art. 13 (accesso alla giustizia), art. 19 (diritto alla vita indipendente ed alla inclusione nella comunità), art. 21 (servizi di informazione e di comunicazione), art. 24 (diritto all’educazione), art. 25 (diritto alla salute), art. 26 (diritto alla abilitazione e riabilitazione), art. 27 (diritto al lavoro ed alla occupazione), art. 28 (diritto a standard adeguati di vita e di protezione sociale), art. 29 (diritto di partecipazione alla vita politica e pubblica) ed infine art. 30 (diritto alla partecipazione all vita culturale, alla ricreazione, al tempo libero ed allo sport).

Seppure contenuti  nel principio di accessibilità sono particolarmente significativi e certamente risultato del coinvolgimento delle persone disabili e delle loro organizzazioni rappresentative nella negoziazione internazionale che ha portato alla nascita della Convenzione il principio di partecipazione ed inclusione (che ricorrono nella Convenzione, negli art. 3, art. 4, art. 29, art. 30) ed il diritto ad una vita indipendente. Partecipazione ed inclusione infatti significa poter individuare con esattezza i bisogni delle persone disabili e  rafforzare la loro individualità, singola e di gruppo; ma il diritto ad una vita indipendente ha carattere di novità assoluta ed è forse per questo uno dei risultati più notevoli ed importanti della Convenzione, meritevole di vita propria.

Non poteva mancare infine, nella CRPD, il principio di non discriminazione, pur se presente in molte Convenzioni internazionali in tema di Diritti Umani e ampiamente trattato a livello di giurisprudenza internazionale e delle Corti nazionali. Il fatto che le persone disabili rimangano ai margini della società hanno però comunque portato ad avere con la CRPD uno strumento specifico legalmente vincolante, che assicura le persone disabili in quanto tali di non essere discriminati. La non discriminazione era già un principio importante, fondamentale nel panorama internazionale dei Diritti Umani ed infatti già protetto da altri strumenti internazionali sui Diritti Umani, essendo vietata esplicitamente tanto direttamente che indirettamente. Per le persone disabili però è particolarmente importante in materia di discriminazione il concetto di "accomodamento" ed in particolare di "ragionevole accomodamento”. La Convenzione definisce cosa sia il "ragionevole accomodamento: le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali.”  (art. 2 CRPD).

La Convenzione, tramite anche i protocolli opzionali, prevede poi sia un meccanismo di monitoraggio a livello nazionale ed internazionale,  in questo caso attraverso un apposito Committe on on the Rights of People with Disabilities, che può ricevere comunicazioni da individui o organizzazioni delle persone disabili che denunzino violazioni della Convenzione, ed altri organismi internazionali come la Conferenza degli Stati Parte.
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