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DON GALLO, ELOGIO DI UN ROMPISCATOLE di Pier Aldo Rovatti.

12 Giu 13

A cura di FRANCESCO BOLLORINO

“Sono un rompiscatole”, aveva detto di sé don Gallo, il “prete di strada” più amato d’Italia, una vita intera dedicata concretamente ai deboli e ai diversi, ai tossicodipendenti, alle prostitute e a tutti quelli che stanno ai bordi della società o ne vengono rifiutati.

E chissà quante volte questa espressione è stata pensata e usata nei suoi confronti anche dall’istituzione cui apparteneva, ovvero la Chiesa, che di fatto lo ha emarginato e ignorato.
Non è l’unico, né si tratta solo di preti battaglieri: il “rompiscatole” è una figura emblematica del mondo in cui viviamo, uno che sa rompere gli equilibri e non si presta mai a essere disciplinato, perciò diventa un corpo estraneo, temuto sia da chi ha il compito di governare e raffreddare le istituzioni, sia dalla massa opaca di coloro che credono di poter barattare la propria servitù volontaria con il mantenimento di privilegi acquisiti e pallide promesse di carriera.

Quando un grande e produttivo rompiscatole muore, l’istituzione tira finalmente un sospiro di sollievo che maschera a fatica con onoranze postume e perfino riti di beatificazione. Quando, invece, sono i tanti piccoli rompiscatole a lasciare il terreno, il cinismo ovunque trionfante non ha neppure bisogno di cerimonie riparatrici e fa calare in fretta un pesante sipario di silenzio. L’etica minima, in questi casi, è surclassata da una convinta e completa assenza di moralità civile.

Avrei voluto esserci, sabato scorso, dentro la chiesa del Carmine a Genova, durante le esequie di don Gallo, in mezzo a quel popolo che ringraziava, insieme dolente e battagliero. Si era mosso perfino, a officiarle, il cardinal Bagnasco, il capo dei vescovi; e poiché l’encomio riparatore da lui pronunciato aveva evitato qualunque accenno di autocritica, allora qualcuno ha cominciato a tossire e in breve la tosse pur sommessa ha prodotto una cascata assordante e la cerimonia si è bloccata diventando un caloroso e irrituale omaggio. Il funerale si è così trasformato in un inno alla vita.

Si parla tanto dello spirito critico di cui avvertiamo distintamente la mancanza. Ognuno di noi vorrebbe averne un poco o magari di più, ma poi quasi sempre ci si arresta ai buoni propositi, ci si appaga di parole e discorsi gratificanti. Questi ultimi, sì, non mancano e in essi circola soprattutto la lamentazione.
Ci lamentiamo di continuo delle storture e delle ingiustizie, stigmatizziamo i comportamenti dei potenti, i cattivi modelli dei politici, e abbiamo un’imponente materia per farlo. Ma non basta. Infatti, bisognerebbe superare la linea e osare rischiare qualcosa. Lo spirito critico avvista innumerevoli “scatole” che imprigionano i comportamenti individuali e sociali, inanella denunce su denunce, ma finché non tenta di “rompere” questi involucri ingabbianti, non comincia davvero a farlo, resta solo la voce di un’anima bella, intellettualistica e inerte. Ciascuno, là dove vive, nell’ambiente che gli è proprio, in quel pezzo di sociale che frequenta, può scendere giù tra la gente. Uno spirito critico che rinuncia a “questa” politica è un falso spirito critico, addormentato, già cadaverizzato.

L’esempio dei grandi rompiscatole – cui dedico questo modestissimo elogio – ci insegna che ciascuno di noi può incrinare, dovunque e in qualsiasi momento, la pellicola delle convenienze che continuiamo ad accettare per quieto vivere o per qualche astuta viltà.

Il rompiscatole è il contrario del furbo, cioè di quello che sembra essere ormai diventato il nostro abituale stile di vita. Il furbo calcola cosa è più profittevole per lui, misura vantaggi e svantaggi personali di ogni suo minimo atto. Il rompiscatole se si limitasse a calcolare, non esisterebbe neppure. Così, ciascuno di noi, se non fosse anche un po’ rompiscatole (nei confronti degli altri ma anche di se stesso), non agirebbe mai.

I grandi rompiscatole (come don Gallo) sono molto rari, forse inimitabili. Noi, normalmente, siamo un misto in cui la furbizia conserva la sua parte e dove, però, il rischio di rompere le uova nel paniere del “così fan tutti” potrebbe avere – sempre – uno spazio proprio.
Quello che possiamo fare, quotidianamente, è cercare di comprimere al massimo la parte dell’egoismo individuale e di dare una dimensione sempre più ampia alla parte di noi che si avventura a infastidire l’accettazione acritica di ogni scatola sociale, dai luoghi di educazione dei bambini alle case di riposo, dal mercato del lavoro alle forme del welfare, per non parlare di tutti gli scomparti in cui viene rinchiusa normalmente ogni diversità.

articolo tratto da forum salute mentale

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