La cronaca, in tutti i sensi “nera”, delle settimane scorse ha registrato a Macerata due eventi:
- il ritrovamento del cadavere fatto a pezzi di Pamela Mastropietro, una giovane ragazza con problemi di dipendenza da sostanze psicotrope del mercato illegale che si era allontanata dalla comunità della vicina Corridonia di cui era ospite. Dell’orribile delitto avvenuto il 30 gennaio sarebbero stati protagonisti alcuni giovani maschi adulti nigeriani, legati al mercato delle droghe
- Quattro giorni dopo, il raid nel cuore della stessa città di un giovane bianco adulto italiano, emulo del norvegese Anders Breivik, che esibiva tatuaggi nazisti e fascisti e che, armato di un’arma regolarmente detenuta, ha sparato dall’auto in corsa contro giovani maschi adulti africani che vi sostavano, ferendone sette.
Le autorità locali, sindaco in testa, hanno reagito allertando i cittadini a barricarsi nelle loro case, ma, soprattutto, chiudendo la città, isolandola.
Intanto il mondo attorno non si fermava e pretendeva di entrare in città e percorrerne le strade per gridare la sua rabbia (Forza Nuova e Casa Pound contro i migranti) o per protestare contro fascismi e xenofobie e confermare la fedeltà alla Costituzione della Repubblica (ANPI, ARCI, CGIL, Libera, altri).
Ne sono seguiti un corteo di Forza Nuova, una autorizzazione prima data, poi negata, infine ridata ad un corteo antifascista animato da organizzazioni di “base” di ANPI e ARCI, tenutosi il 10 febbraio, fuori dal centro storico. In occasione di quest’ultimo corteo, il sindaco ha bloccato la circolazione degli autobus urbani, fatto chiudere le scuole, invitato i commercianti ad abbassare le serrande. Qualche giorno dopo il Questore, arrivato a Macerata solo tre mesi prima, veniva rimosso e sostituito, pagando per tutte le autorità che avevano gestito nel modo descritto i drammatici avvenimenti.
Questi in breve i fatti come riferiti dai media nazionali.
Gli interrogativi e le considerazioni che seguono nascono dal turbamento che tali eventi, per come sono stati riportati, mi hanno provocato e prescindono da una mia conoscenza personale, diretta, empirica della città e del funzionamento delle sue istituzioni perché non sono mai stato a Macerata e non ho relazioni con suoi abitanti. Gli errori di valutazione in cui posso incorrere nascono per questo dalla mia carenza di informazioni dirette, sul campo. Ciò doverosamente premesso, mi sono chiesto quali potevano essere state le ragioni delle scelte adottate dalle autorità locali successivamente alle orribili vicende; quali le ragioni di una gestione per me così arroccata, angosciata, angosciante, confusa.
- Credo, questo almeno è il mio parere, che si debba partire dalla considerazione che Macerata è una piccola città della grande provincia italiana nella quale vi è un forte controllo sociale e “tutti si conoscono”: si sa dove stazionano giovani maschi africani più o meno “regolari”, si sa dove si può comprare, e da chi, droga del mercato illegale; si sa che è il piccolo spaccio ad essere nelle mani di pusher come quei giovani nigeriani di Macerata, mentre il traffico delle droghe del mercato è nelle mani della grande criminalità italiana organizzata, n’drangheta in testa; si sa come la si pensa “politicamente”, chi è di destra e chi è di sinistra, chi moderato e chi estremista. Questo non vuol dire che in una società così fortemente “aggregata” non ci siano tensioni, odi,paure; vuol dire solo che gesti, comportamenti e parole delle persone che la abitano sono ritenuti da quasi tutti largamente prevedibili.
- Il ritrovamento del corpo a pezzi di Pamela e l’identificazione dei giovani nigeriani che sarebbero stati responsabili dello scempio hanno portato alla superficie un sommerso diffuso di stanchezza, pregiudizi, diffidenza, xenofobia: fra tutti mi ha colpito l’attribuzione dello squartamento a un rituale voodoo. Pur non potendo escludere nulla, mi pare utile ricordare, per onore di cronaca, come sia già accaduto anche di recente di corpi di donne fatti a pezzi, messi in valigie e portati in discariche da parte di nostri concittadini italiani di pelle bianca. Così come, a proposito dei vari modi possibili di far sparire cadaveri, proprio in quei giorni di febbraio si ricordavano le foibe; per non parlare dei corpi di persone disciolte nell’acido o “macinati” nel cemento ad opera della mafia.
- Un giovane maceratese “palestrato”, estremista di destra ha interpretato a suo modo l’orrore diffuso sparando contro persone inermi per strada perché di pelle nera” per poi lasciarsi catturare dai Carabinieri avvolto in una bandiera tricolore a esibire la sua orgogliosa “italianità”. Subito molti si sono messi a dire che era un matto perché a nessun cittadino maceratese “normale” avrebbe potuto venire in mente di percorrere il centro città sparando ad altezza d’uomo (magari i terroristi jihadisti sì, perché lo hanno fatto in altre città di mezzo mondo, ma quelli sono fanatici islamisti). Salvo poi, alcuni degli stessi, dare ragione a Luca Traini perché di quei “negri” che bighellonano e spacciano non se ne può più.
- Così la Macerata dove non succede quasi mai niente è diventato un luogo di interesse nazionale, esposto agli sguardi e alle domande: “perché?”, “si poteva evitare?”, “come è potuto accadere?”, “ci sono responsabilità oltre a quelle degli attori immediati?” E ancora, “come e se reagire” e “da parte di chi ?”.
- L’Italia attorno, dentro una brutta campagna elettorale carica di demagogie, si è divisa fra chi si riconosceva nel sentire di Luca Traini, chi difendeva allarmato le ragioni della Costituzione e dell’antifascismo, chi stava prudentemente defilato. Mentre le vittime del raid terrorista e razzista rimanevano fuori dalla scena: erano neri, non erano dei “nostri”, non si distinguevano gli uni dagli altri, non interessavano le loro storie e i loro nomi.
La città è stata così percorsa da un turbamento profondo che ha prodotto stupore, vergogna, colpa, consapevolezza di non essere più un luogo sicuro dove tutti si conoscono, si ri-conoscono, hanno comportamenti prevedibili. E qui è accaduto quello che, secondo me, è il fatto più grave: l’afasia e la fuga delle istituzioni democratiche e del potere politico locali. Il sindaco di Macerata, forse travolto dall’angoscia e dall’urgenza di reagire, dare risposte, ha rappresentato appieno tutto questo: per giorni, senza convocare il Consiglio comunale o proclamare il lutto cittadino, ha predicato di chiudersi in casa e preteso di chiudere la città al mondo che spingeva, interpellava, voleva entrare, sapere, capire. Quella di Macerata mi è sembrata una tragica parodia dell’8 settembre 1943, con il Sindaco nelle vesti di Badoglio, quello del “tutti a casa” intanto che “la guerra continua”.
Eventi pubblici dalle dinamiche così drammatiche, violente, esplosive come quelli di Macerata richiedono tempi adeguati di elaborazione, approfondimento, confronto, ma in primis, da subito, disponibilità di opportunità, occasioni, rituali civili e religiosi in cui fare esprimere l’angoscia collettiva, incrociare le narrazioni, cominciare a dare senso agli avvenimenti, lì dove sono accaduti. È un “lavoro” che non porta necessariamente, come sappiamo, a memorie condivise, perché le stesse possono legittimamente essere e rimanere anche divise. Ma è un “lavoro” fondamentale per la vita e il benessere di una comunità perché consente a tutti i cittadini di ritrovarsi in racconti che non sono più solo “privati”[1]. È questo il compito della politica nel senso alto e radicale del termine, è questo il ruolo di chi “guida” una comunità. È questo che è mancato a Macerata dove le autorità locali hanno scelto la strada della “privatizzazione “ di un possibile lutto cittadino, rinunciando ad aprire spazi di confronto plurale, democratico.
La legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale individua nel Sindaco l’ “autorità sanitaria locale” (nella sua accezione più ampia, comprendente la salute mentale della cittadinanza)[2]. A Macerata, invece, nelle tragiche circostanze intervenute, al posto di invitare i cittadini a scuotersi, incontrarsi, discutere per capire, il Sindaco ha operato perché i cittadini rimanessero nelle loro case e ha preteso di blindare la città contro chi veniva da fuori a testimoniare il proprio allarme e portare solidarietà. A difesa di una “identità” declinata nella sua accezione più chiusa e localistica.
P.S. Oggi 19 febbraio ho appreso dalla stampa che nella giornata di ieri, dopo almeno due settimane dai luttuosi traumatici eventi, cittadine e cittadini con i loro simboli e le loro bandiere, migranti con le loro associazioni, hanno percorso le vie di Macerata in corteo alla cui guida stava il Sindaco. Le serrande dei negozi erano alzate. C’è meno paura.
Mantova, 19 febbraio 2018
“Sono attribuite ai comuni tutte le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera che non siano espressamente riservate allo Stato ed alle regioni. I comuni esercitano le funzioni di cui alla presente legge in forma singola o associata mediante le unità sanitarie locali, ferme restando le attribuzioni di ciascun sindaco quale autorità sanitaria locale.[…]
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