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DOPO NIZZA: LA GUERRA VIRALE E L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA di Gianni Guasto

15 Lug 16

A cura di Redazione Psychiatry On Line Italia

Non parlo di politica, né di storia; non ne sono competente, e neppure mi ricordo bene i fatti storici che ho vissuto. Ma qui non è soltanto questione di storia, economia, politica, religione, antropologia. Le predazioni coloniali e imperialistiche, le guerre del petrolio e il commercio delle armi c'entrano eccome, ma non bastano a spiegare tutto. Perché questa è una guerra che sfugge a qualsiasi termine di paragone. Non ha precedente alcuno con cui confrontarla.

Quando Papa Bergoglio disse "siamo nella terza guerra mondiale" pensai che si trattava soltanto di un'efficace metafora, che alludeva a qualcosa di proporzioni auspicabilmente molto minori delle precedenti. Invece, le due precedenti durarono ripetitivamente quattro e sei anni, ovvero un tempo infinito, perché in guerra, come mi diceva il mio carissimo professore di Lettere Erminio Arena, il tempo sembra infinito. Qui, invece, siamo davanti a una guerra che si preannuncia di durata illimitata, proprio perché non è dispiegata.

Non ci sono eserciti in campo ad affrontarsi, non bombardamenti, non fronti (i fronti sono dappertutto e da nessuna parte). Non ci sono ambasciatori impegnati in trattative segrete: al massimo ci sono sporchi faccendieri internazionali e criminali che trattano per la sua continuazione.

Questa guerra è programmata a tavolino da un Califfo il cui legami sono molto oscuri. Ma la programmazione a tavolino non è la causa di tutto, così come il suo progetto non è necessariamente condiviso, e forse neppure consapevole da parte dei suoi esecutori. Perché non c'è alcun obbiettivo finale, al di là di una vaga idea di "far la guerra agli infedeli" che non vincerà mai.

Questa guerra è tanto più insidiosa e pervasiva perché ha modalità di espansione paragonabili a quelle della guerra batteriologica. È una guerra virale, che si diffonde alla velocità e con le stesse modalità di un virus informatico.

Ogni notizia mediatica di un attentato è un invito implicito a ripeterne altri. Chi uccide può farlo in nome di un piano organico, stabilito nella centrale segreta dell'ISIS, o magari anche no. Non importa se lo fa per stabilire la supremazia della Sunna sullo Sciismo, se per vendetta contro le guerre dei Bush o per riscattare i popoli depredati da secoli di colonialismo e di imperialismo militare ed economico. O per sostenere il commercio delle armi. Chiunque agisca, può farlo anche per ragioni personali. È una guerra senza regole d'ingaggio. Chiunque può arruolarsi senza dirlo a nessuno.

Questa è la sua grande forza, nei confronti della quale siamo impotenti; a poco servirebbero le azioni militari, anche se nulla può oggi essere escluso. Perché, dopo le invasioni di Afghanistan e Irak dalle conseguenti devastanti, l'ultimo errore che possiamo fare è quello di non far nulla, consegnandoci definitivamente alla paura.

Ciò che rende noi tanto vulnerabili e gli aggressori così invincibili, è la comune pretesa di credere nell'immortalità dell'anima; è la paura della morte, che ci fa ritenere impensabile la scomparsa dell'Io, di tutto quel patrimonio di idee, esperienze, affetti, ricordi che costituisce l'essenza della nostra memoria, della nostra identità, della nostra vita. L'impensabile è che dopo l'ultimo battito tutto sia scomparso in un rivolo di umori destinato a essiccarsi. Questo siamo: come i carciofi, le mosche, le azalee, le farfalle, abbiamo una vita sola, ottenuta grazie al casuale incontro fra due cellule (a fronte di milioni di concorrenti), è destinata a non ripetersi mai più.

Ma è nessuno è disposto a tollerare l'idea che ciò che è stato non possa più tornare; di qui l'idea di un paradiso di beatitudini, o di vergini dalla sopravvalutata virtù.

Se questa convinzione cessasse di colpo, sparirebbe il terrorismo suicida; gli attentatori saprebbero che ciò che fanno è a fondo perduto, e che non proveranno nemmeno il gusto del successo del loro infernale progetto. Non ci sarà nessuna vergine ad aspettarli, e nemmeno la delusione di non trovarla. Non ci sarà nulla, come non c'è nulla nella mente di un ramarro morto. Ma la dimensione dell'attacco kamikaze ha ormai proporzioni epidemiche, ne è dato sapere se e quando ci libereremo dell'idea di Dio.

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