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DSM 5: effetti collaterali

20 Giu 13

A cura di Alberto Sibilla

  Quando ho scritto il mio post sul film Effetti collaterali, ero perplesso sulle origini culturali della storia incentrata su finti depressi, farmaci inutili e psichiatri incapaci e compiacenti. Mi sembrava un film troppo duro con gli psichiatri. Poi ho visto su pol-it  gli interventi nel convegno sulla Depressione difficile, tenutasi a Genova. Un grazie a Francesco che con questo sito fa opera meritoria permettendo anche agli stanziali accidiosi come me, di essere aggiornati. Ma bando ai complimenti e veniamo al sodo. Come al solito ogni opera narrativa va contestualizzata e il film di Sodenbergh risponde alle domande che negli USA ha indotto l’apparizione del DSM V (o 5). Maj è decisamente sulla difensiva nel suo intervento di Genova, e dopo aver difeso la professione,  esprime i suoi dubbi su un punto fondamentale del trattato: l’allargamento del campo di azione della psichiatria provocato dai famosi quindici giorni ammessi di sofferenza “normale” per il lutto. Non lasciamoci ingannare dalla parola “lutto”, che inizialmente sarà riservata alla morte di qualche consanguineo, ma con il tempo anche per problemi medici legali si allargherà.  L’intervento che però mi ha colpito è quello di Siracusano che sposa la bontà di questa scelta della task force americana, ma è particolarmente vago e pur parlando a lungo non riesce assolutamente a fornire indicazioni sulla demoralizzazione, sul trauma e sulla depressione.  Molto più interessante e vivo l’intervento di Girardi che cerca di mettere dei paletti alla depressione/malattia e  stimola a una visione della vita dinamica e conflittuale e segnata da perdite, senza che questo ricada sotto la dizione di malattia e con il necessario intervento dello psichiatra.
Da qui o meglio da analoghe discussioni negli USA  parte il racconto nel film con protagonisti psichiatri come minimo ambigui, ma le cui contraddizioni nascono da questa visione culturale attuale,  allargata ma conseguentemente indefinita e pasticciata. Il corollario di questa premessa è costituito da finti pazienti o meglio persone che attraversano momenti difficili e cercano una risposta nei farmaci e nella psichiatria, visti come oggetti di consumo. La protagonista, Emily inizialmente si rivolge alla psichiatra in seguito all’arresto del marito finanziere rampante, che per lei comporta la perdita del benessere non tanto sentimentale ma economico.  L’ultimo ma non meno importante protagonista è l’antidepressivo, che noi nei convegni  cerchiamo di approfondire e mettere in risalto le specificità, ma che nella visione della gente è indifferenziato, provato e abbandonato come un qualsiasi prodotto di consumo. La psicoterapia non se la passa meglio ed è vista come fonte di manipolazione reciproca con ricadute sessuali. Su tutto incombe il mercato consumistico che stimola comportamenti interessati e superficiali.
È privo di senso e unicamente denigratorio questo  film? Non ne sono così sicuro.  Forse la storia  ci fa uscire dall’autoreferenzialità e ci aiuta a capire come ci vedono nella società. Ovviamente sul DSM si dovrà discutere a lungo, ma mi sembra molto rischioso quest’allargamento delle competenze della psichiatria e anche difensivo (e un po’ euforico) rispetto alla delusione di non avere ancora basi solide sulla natura della depressione.


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