Non abbiamo ancora le Sentenze della Corte Costituzionale, ma due ottime notizie sì, attraverso i comunicati stampa della Corte. Uno strumento che è stato mutuato dalle Corti Internazionali e che avvicina i cittadini a materie tecniche e complesse, che riguardano però i loro diritti fondamentali.
La prima, di oggi: 285,66 euro mensili, previsti dalla legge per le persone totalmente inabili al lavoro per effetto di gravi disabilità, non sono sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita. È perciò violato il diritto al mantenimento che la Costituzione all’articolo 38 garantisce agli inabili. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella camera di consiglio del 23 giugno 2020, esaminando una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino.
La Corte deve ancora depositare le motivazioni della Sentenza. Ma il comunicato stampa anticipa che la dichiarazione di incostituzionalità comporterà che il cosiddetto “incremento al milione” (di lire, pari a 516,46 euro) da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011, dovrà essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui parla l’articolo 12, primo comma, della legge 118 del 1971, senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge. Conseguentemente, questo incremento dovrà d’ora in poi essere erogato a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro. Come da tempo accade per riconoscimento di diritti di tipo economico in forza di dichiarazione di incostituzionalità di una norma, l’aumento dell’assegno avrà effetto solo per il futuro.
Resta ferma la possibilità per il legislatore di rimodulare la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché – precisa la Corte – idonee a garantire agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione.
La seconda. Solo due settimane fa, la Corte Costituzionale, esaminando le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista in caso di diffamazione a mezzo stampa, con riferimento, all’articolo 21 della Costituzione e 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha confermato che la soluzione delle questioni richiede una complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale. Una rimodulazione di questo bilanciamento non è più rinviabile ulteriormente, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la Corte.
La rimodulazione spetta al Legislatore italiano, che però sino ad oggi non ha saputo provvedere, anche se sono pendenti in Parlamento vari progetti di legge in materia.
Pertanto la Corte, nel rispetto della leale collaborazione istituzionale, ha deciso come in passato di rinviare la trattazione delle questioni all’udienza pubblica del 22 giugno 2021, per consentire al Parlamento di intervenire con una nuova disciplina della materia. Un anno di tempo al parlamento per provvedere. Altrimenti, lo farà la Corte stessa, giudicando sulla legittimità costituzionale delle norme in materia di diffamazione a mezzo stampa che prevedono pene detentive.
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