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Due capolavori dei fratelli Coen

27 Giu 22

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Ne “L’uomo che non c’era (The man who wasn’t there)” (USA, 2001), ambientato nella provincia californiana degli anni ’50, Ed Crane (Billy Bob Thornton) è un barbiere silenzioso e introverso, quasi inespressivo, perennemente con la sigaretta accesa tra le labbra, che nasconde una sua natura di homo philosophicus. Ed si ritrova in modo casuale ad uccidere per legittima difesa l’amante della moglie, Big Dave (James Gandolfini), dopo averlo ricattato per avere i soldi per un investimento nel “lavaggio a secco”, su proposta di un faccendiere omosessuale, Tolliver (Jon Polito), elevare così la propria condizione e far stare meglio la moglie. Nonostante non provveda a eliminare le tracce e sia pronto all’arresto, per una serie di indizi viene invece incriminata la moglie di Ed (Frances McDormand). Insieme al cognato, Ed è costretto a ipotecare il negozio per far difendere la moglie dal famoso e carissimo avvocato Freddy Riedenschneider (Toni Shalhoub), un narcisista assoluto che teorizza la radicale arbitrarietà della logica narrativa e difensiva e scoprirà che Big Dave era per alcuni versi un millantatore. Non servirà a niente perché la moglie si impiccherà in carcere prima del processo: il medico legale si sentirà in dovere di dire a Ed che lei era incinta di tre mesi, ma Ed, impassibile, risponderà che da anni loro non avevano rapporti. Mentre la vedova di Big Dave attribuisce la morte del marito all’intervento degli extraterrestri, Ed, nel periodo della carcerazione della moglie, si lega a Birdy (Scarlett Johansson agli esordi), un’adolescente figlia di un amico che suona, al pianoforte, la sonata di Beethoven che costituisce la principale traccia della colonna sonora del film; come per rilanciare un progetto, tenterà invano di farla studiare da un maestro di musica in città. Quest’ultimo ne avallerà la mancanza di talento per cui al ritorno, per consolarlo, in modo del tutto imprevedibile, cercherà di “donargli” un rapporto orale mentre lui è alla guida dell’auto; il risultato sarà un pauroso incidente. Al risveglio dal coma, nel quale Ed sogna la moglie morta, ancora malconcio viene arrestato non per la morte di Big Dave né di Birdy (che ha solo una costola rotta), ma per quella di Tolliver, nel frattempo trovato morto affogato, dopo essere stato pestato da Big Dave, ma con addosso i fogli del loro contratto d’affari. Nonostante l’appassionata difesa di Freddy Riedenschneider, che accetta come pagamento da Ed la sua casa, l’innocente (in questo caso) barbiere verrà condannato alla sedia elettrica, alla quale si lascerà condurre serenamente, dopo aver anche lui visto i dischi volanti: prima della sua morte lo schermo di questo atipico noir si illuminerà di un bianco accecante.

The man that wasnt’ here”: è il capolavoro assoluto dei Coen. Girato in un nitido bianco e nero riversato dal colore, che, nella forma apparente di un noir anni ’50, propone un’accorata, poetica, ma anche sarcastica riflessione sull’imprevedibilità del destino, sull’impossibilità di trasformare l’esistenza in identità autentica, sul bisogno di trascendenza che non trova un contenuto, ma anche una riflessione su come si fa il cinema “psichico” giustapponendo in modo semi-onirico su sfondi realistici personaggi grotteschi, eventi narrativi improbabili e fantasie non meno bizzarre, anche se all’epoca altamente condivise (dischi volanti e extra-terrestri).

La maestria del film è dato principalmente dalla capacità delle bellissime immagini e delle situazioni di coinvolgere in profondità la mente dello spettatore portandola costantemente sui piani esistenzial-ontologici, ma anche stupendola con l’erraticità imprevedibile della trama.

Ed è caratteristicamente una personalità schizoide, apparentemente glaciale, in realtà un “passionale”, come con un intuito tutto femminile gli dice la ragazzina Birdy: un freddo con una profondità affettiva insondabile. Il volto scolpito di Ed, magistrale interpretazione di Thornton, richiama per la sua impassiblità quello di Buster Keaton, ma dietro i suoi occhi si intuisce la ricchezza del suo mondo interiore. Freddy Riedenschneider è un prototipo assoluto di narcisista istrionico, con la sua estrema attenzione per l’aspetto fisico, l’eleganza, l’elevatissima autostima, l’indifferenza con cui si propone agli altri con la maschera più conveniente, senza alcun rispetto per la realtà effettiva. Tutta la vicenda della difesa di Riedenschneider è un film nel film da mostrare come uno degli esempi più clamorosi di personalità narcisistica al cinema. Celebre è divenuto il sostegno della sua filosofia giuridica mediante la grossolana citazione idiosincrasica della teoria dell’indeterminazione di Werner Heisenberg: “Più si guarda un fenomeno da vicino e meno lo si capisce”. Il personaggio di Birdy, grande esordio della Johansson, richiama quello della Lolita di Kubrick, ma in veste buona ragazza di famiglia. La breve apparizione della vedova di Big Dave può essere considerata esemplificativa di una psicosi paranoidea da lutto.

La citazione del misterioso principio di Heisenberg fa da trait d’union tra questo film e A Serious Man (USA, 2009) altro testo filmico complesso, che di “L’uomo che non c’era”, ripropone i temi esistenziali, sia pure collocati in un’altra epoca (i tardi ’60 e non più ’50), in un’altra area (la provincia del Midwest e non più della California), affrontati dal lato religioso e non filosofico e all’interno di un contenitore “comedy” e non più “noir”.Che si tratti fondamentalmente dello stesso film, una profonda riflessione sul destino dell’uomo e sulla sua inconoscibilità e indeterminabilità non solo a priori, ma anche a posteriori del senso della vita e dei destini individuali, ce lo dicono l’imprevedibilità ironica del plot, la sua irridente deriva e il riferimento strutturale al “principio di indeterminazione di Heisenberg, che qui è oggetto di una lezione, insieme all’altro celebre paradosso quantistico del “gatto di Schrödinger”, tenuta dal protagonista di questo film, l’insegnante di fisica, precario, Larry Gopnik (Michael Sthlbarg), un uomo serio, appunto. Nel film c’è un terzo riferimento “scientifico”, il misterioso “Mentaculus”, il libro folle sulla teoria delle probabilità che il fratello di Larry, un po’ matto e giocatore d’azzardo scrive, e che nei suoi ghiribizzi assomiglia in modo impressionante alle immense lavagne piene di formule che Larry riempie nelle sue perfette dimostrazioni logico matematiche: come dire, il passo tra certa scienza e la follia è veramente minimo, e comunque irrilevante quando la posta sono la conoscenza del reale e la capacità di previsione.

Tutt’intorno a questo nucleo tematico c’è la maestria dei Coen-autori di puro cinema: la perfetta ricostruzione ambientale, la profonda descrizione, dall’interno, delle religiosità ebraica (con tanto di un prologo yiddisch), il trionfo strutturale del grottesco nel quotidiano, infine veri colpi di teatro quali le stridenti associazioni tra la colonna sonora (Jimi Hendrix) ed alcune delle numerose storie nelle storie dentro il film, oppure i due o tre sogni degni di Buñuel, che tormentano le notti del povero Larry. A quest’uomo più serio e perbene del barbiere di “L’uomo che non c’era”, anch’egli maciullato da una sceneggiatura implacabile, i Coen fanno capitare di tutto, com’era peraltro già successo ad un altro loro protagonista, Barton Fink (“Barton Fink”, USA, 1991); ma quando il suo destino sembra segnato, tutto sembra rimettersi sulla giusta strada per lui e i suoi familiari; ma è solo un momento perché nubi (letteralmente) ben peggiori si profilano all’orizzonte.

L’uomo serio, l’ebreo Larry, è stato educato dal libro di Giobbe ad accettare senza protestare le prove durissime che gli riserva il destino, nonostante le percepisca come ingiuste, e senza neppure aspettarsi per questo una ricompensa: è forse questo il fil rouge dell’ebraismo (che ha trovato la prova più tragica nella Shoah), ma forse l’apologo che prelude al film ci mostra come le donne, sia pure ebree, siano un po’ meno remissive e rassegnate di quanto non siano i loro menschen.

A serious man” è un film così ricco di dettagli di ogni genere da pretendere una revisione ed uno studio da molti punti di vista e si candida come modello di cinema che coniuga opera d’arte e riflessione filosofico-scientifica-religiosa senza perdere nulla della sua capacità di comunicare alle platee più vaste e di divertirle.

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