L’accostamento potrà sembrare arbitrario….Cos’hanno in comune una femminista e filosofa come Elisabeth Badinter con la sempre indomita giornalista Fallaci?
Sono di recente usciti in libreria sia "La forza della ragione" della Fallaci (edito da Rizzoli) che "La strada degli errori" della Badinter (edito da Feltrinelli). Il primo ha già fatto, ovviamente, molto discutere; ed anche il secondo non e’ da meno, in quanto a forza persuasive e potenziale critico.
Io li ho letti velocemente, uno dopo l’altro, come mi capita coi testi brevi e infiammati di passione, sui quali lo sguardo del lettore procede senza dilungarsi, senza perder tempo e spinto di riga in riga. Della Fallaci — che da sempre ammiro — ho già scritto in un pregresso Lato Debole, sollecitata dal desiderio di riabilitarla, se cosi’ si può dire, attraverso la rilettura di Un uomo, dopo che con La rabbia e l’orgoglio fu coperta di critiche e insulti. Del libro della Badinter mi attirava invece l’ipotesi, che mi ronzava da un po’ nella testa e che vado via osservando nel femminile intorno a me, che l’attuale movimento femminista stia seguendo quella che l’autrice chiama una fausse route, una via sbagliata, una via che ci porta forse inconsapevolmente indietro.
Li metto oggi insieme, in questo commento ed invito ad una lettura scevra da pregiudizi e da ritrosie, perché pur nelle loro profonda diversità (per temi, contenuti, stile, storia…) questi due libri hanno molto in comune secondo me: sono appassionati, sinceri, dentro la realtà e, soprattutto, sono unpolitically correct.
Ora, e’ molto difficile essere unpolitically correct oggi. E’ quasi impossibile per una donna. E’ sorprendente (e, a mio avviso, avvilente) quanto raro sia ascoltare una donna che abbia voce per dirlo, ovviamente, che non si schieri dalla parte della tolleranza a tutti I costi, della bontà a tutti I costi, delrelativismo a tutti I costi.
Le donne sono contro la Guerra, sono pacifiste e sono anche contro il terrorismo; sono contro gli integralismi e sono contro le intolleranze; sono contro I maschilismi e sono contro la sudditanza, ma talora sono anche contro le altre donne, ad esempio quelle che si comportano come uomini; sono contro le discriminazioni e le violenze, ma sono spesso anche contro I mezzi per ridurre le une e le altre. In genere, le donne sono empatiche, si mettono cioè nei panni degli altri per natura; sono colleghe collaborative e capi comprensivi; tendono alla mediazione e alla ricerca costruttiva del compromesso; spesso, sono gentili e care, e ci tengono a restare simpatiche e a fare buona impressione. E tante altre cose ancora.
Fallaci e Badinter escono, vivaddio, da questo schema. Non sembrano preoccupate di risultare simpatiche, nè di esprimere opinioni che rischiano l’impopolarità o persino l’ostracismo; scaraventano il loro discorso sulla pagina, elencando dati, numeri, episodi storici, senza ricorrere al buonismo nè cercando di mitigare e addolcire la loro idea originaria. Se la prendono con un unico, incombente e sotterraneo nemico: la cultura imberbe del politically correct, che in virtù di salvare tutto, di relativizzare tutto, ossessionata dal non prendere mai posizione contro qualcuno o qualcosa, ha via via favorito un clima politico e socioculturale sempre più lasso e minacciato.
Il pensiero della Fallaci e’ noto, e non starei qui a ripeterlo. L’elefante Islam, "fermo da 1400 anni", ha da sempre in animo la conquista dell’Occidente, la sua disfatta e la sua deriva. Un tempo lo faceva con le guerre tradizionali, scempi e invasioni e devastazioni dettagliatamente elencati e storicizzati, ora lo fa avendo come mira non già la conquista sensu strictu, ma la conquista attraverso l’infiltrazione culturale, l’introduzione del proprio illiberale pensiero, la costruzione di luoghi di culto come le moschee, l’indottrinamento dei giovani, la sottomissione delle donne, eccetera. Sebbene ciò avvenga ovunque, e’ nella vecchia Europa che i germi dell’Islam radicale hanno potuto prosperare più floridamente, mai osteggiati dalle debolezze dei governi da un lato, e dall’insipienza e cecità dell’Onu, dall’altro (anche queste riccamente documentate). L’Europa non più padrona in casa propria, e’ cosi’ diventata Eurabia (dal titolo di un giornale che si chiamava proprio Eurabia e si stampava in Francia).
In realtà, la Fallaci dice molte più cose, ha molte più memorie, molte più arguzie e intuizioni di quante non se ne possa citare qui. Il suo non e’, come può apparire, un discorso contro qualcosa o qualcuno; e’ un discorso a favore di qualcosa: la Ragione e la Liberta’.
L’Italia e le sue scelleratezze demagogiche è particolarmente presa di mira; citando Tocqueville e il suo classico testo sulla democrazia, ricorda che egli diceva che "…il matrimonio su cui basa la democrazia, cioè il matrimonio dell’Uguaglianza e della Liberta’, non e’ un matrimonio riuscito. Non e’ riuscito perché gli uomini amano la liberta’ assai meno dell’uguaglianza, e la amano assai meno perché sfociando nel collettivismo l’uguaglianza toglie agli uomini il peso delle responsabilità. Perché non esige i sacrifici che esige la libertà, non richiede il coraggio che richiede la liberta’, non ha bisogno della liberta’. …" (corsivo mio).
Qualcosa di molto simile scriveva Dostojesky nei Fratelli Karamazov, anzi ne e’ uno dei punti più belli, ma nessuno l’ha mai criticato per questo.
Elisabeth Badinter fa un discorso assai simile, ma rivolto al femminismo. Se ci guardiamo indietro, lei osserva, non abbiamo di che essere contenti: se e’ vero quanto dicono le statistiche, e cioè che esiste ancora (o di nuovo) una differenza salariale a sfavore delle donne in certi ambiti, che le carriere dirigenziali sono ancora (o di nuovo) cosi’ difficili, che in molti Paesi (gli stessi del già citato Islam, guarda caso) le donne sono oggetto di violenze ordinarie e quotidiane e di una diffusa cultura discriminatoria, che molte donne sono tornate a lasciare il lavoro dopo la maternità, o a rincorrere frustranti part-time pur di conciliare il sempre meno conciliabile, se tutti questi dati sulla condizione femminile nel mondo sono veri, allora qualcosa non ha funzionato, non e’ andato come doveva. Perché?
Perché il femminismo storico, quello che aveva vinto tante battaglie, ha nel tempo perso di vista e di fatto abbandonato quello che era il suo scopo principale, irrinunciabile: l’universalismo e la lotta per la parità dei diritti. Si e’ progressivamente spinto verso il separatismo, la cosiddetta cultura della differenza, la quale ha avuto almeno due esiti nefasti: rigettare le donne nel brodo del vittimismo (non privo di vantaggi, ricorda l’autrice, ma pur sempre perdente), e anteporre al femminile (che finisce col racchiudere tutto il buono e tutto il bello) il maschile, depositario cosi’ di tutto il brutto e tutto il cattivo. Cultura scissionale, quindi, che lungi dall’avvicinare i sessi e facilitarne la dialettica costruttiva e lo scambio, li ricolloca l’uno contro l’altro, inesorabilmente, vittima e carnefice. In più, se il femminile ridiventa una sede separata, altra, di qualcosa che la donna ha e l’uomo no, questo qualcosa e’ per forza di cose da ricercarsi nella biologia, nella natura, e cioè nella possibilità di procreare, nel privilegio, anzi, di procreare: "come in passato Luce Irigaray, il nuovo femminismo (della differenza) si aspetta la salvezza dalla coppia madre-figlia".
Se il femminile, in virtù della differenza, contiene tutte le buone qualità che vengono a rappresentarsi come empatia, comprensione, dolcezza eccetera, il maschile non può che essere tacciato di dominio. L’allargamento progressivo del concetto di "molestia sessuale", soprattutto negli Stati Uniti, per cui non vi e’ più limite tra lo sguardo ammiccante e la molestia vera, pone nuovamente la donna in un eterno ruolo di essere debole, la equipara inconsciamente al bambino, a un essere da proteggere ("la vittima ha sempre ragione"). Risultato di questa evoluzione manichea, scrive l’autrice, " e’ il generalizzarsi della vittimizzazione delle donne e della colpevolizzazione degli uomini (…..) Dalla fine degli anni ottanta, ha iniziato a levarsi da ogni parte un immense clamore in favore del diritto alla diversità. Questo nuovo diritto, reclamato da tutte le minoranze, da tutte le comunità e dai singoli individui, e’ diventato il nuovo cavallo di battaglia di molte femministe. A quanto esse dicono, in diritti della femminilità sarebbero minacciati, le donne masculine rinuncerebbero inconsapevolmente alla propria identità…..".
Le conseguenze di tutto ciò non sono indolori, e non si riducono ad una disquisizione accademica: vuol dire esaltazione della femminilità e suo ancoraggio alla maternità, a tutti i costi; vuol dire separatezza dai campi di lavoro e discussione con gli uomini, unici nostri possibili compagni di viaggio; vuol dire statuto del femminile come debole e indifeso, da proteggere "nei tribunali". Forse inconsapevolmente, l’attuale femminismo ha finito col collegarsi alle culture sessuofobe e conservatrici, poiché esaltare la differenza vuol dire esaltare la biologia e quindi ancorare la donna alla natura, "soffocando la lotta sociale e culturale", ossia il fertile terreno dell’universalismo in virtù del quale tutti gli esseri umani hanno uguali diritti e doveri, e noi dobbiamo lottare perché sia sempre cosi’, in ogni parte del mondo.
Ci sono poi, anche in questo libro, molte altre cose: sulla violenza domestica, sul concetto di aggressività nei due sessi, statistiche, dati. Ma il punto più interessante e, a mio avviso, del tutto condivisibile, e’ quello inizialmente citato.
In un punto particolare del discorso (oltre che nello spirito di tutto il libro, più sottilmente), la Badinter incontra la Fallaci: nel capitoletto "Dal relativismo culturale al particolarismo sessuale". Lo vorrei citare per la sua importanza. Dagli anni ’70-80 si e’ cominciato a mettere in crisi l’universalismo, in maniera un po’ strisciante; si e’ "presa di mira la Dichiarazione dei Diritti umani, accusata da alcuni di essere espressione esclusiva della cultura occidentale e dei valori giudaico-cristiani e quindi una forma di imperialismo da combattere nel rispetto di altre culture.(…) La vita politica si era impregnata di relativismo culturale. La prima offensiva ha avuto luogo col ricongiungimento delle famiglie dei lavoratori immigrati (in Francia) venuti dall’Africa. Il diritto alla poligamia e alla infibulazione delle bambine sono stati dottamente discussi. Accecati e trasportati dall’odio verso se stessi, molti si sono levati a reclamare il rispetto totale dei costumi stranieri. Anche se alcune giovani africane supplicavano perché venisse applicata la legge francese, le anime belle relativiste hanno fatto finta di non sentire. (…..) I rappresentanti dello Stato e le sue istituzioni, atterriti al pensiero di essere tacciati di intolleranza, si inchinano supinamente alla diversità, qualunque sia il prezzo per le vittime". (corsivo mio).
Ho riportato questo brano per intero, per la sua chiarezza e la capacita’ di esprimere pensieri che, credo, albergano nelle nostre menti e talvolta non osiamo dire; perché sembra che oggi non ci sia maggior dispiacere, per un animo democratico, che essere "tacciato di intolleranza", venire escluso dal circolo virtuoso del politically correct, il popolo di quelle che con tanta efficacia la Badinter chiama, appunto, le "anime belle relativiste".
Il libro si chiude con qualche pagina sul ritorno quasi obbligato all’allattamento materno, corollario ineludibile della premessa fatta in precedenza. Senza nulla levare, anzi, alla bontà dell’allattamento materno in se’ per il bambino, ciò su cui ci si deve interrogare e’ come si sia tornati a questo clima di pressioni sulla donne, dato che in passato si erano ridotte, e perché non si fanno più asili, e che connubio mortale sia il relativismo sessuale (essere donna e’ cosi’ bello) con la crisi economica attuale (e’ cosi’ bello che visto che c’e’ crisi puoi tornartene a casa).
Due libri molto ricchi, insomma. Tenaci, determinati, finalmente cosi’ uncorrected.
Personalmente, mi ritrovo spesso a pensare a questi temi, ad interrogarmi, guardo con seria preoccupazione al relativismo spinto all’estremo, alla condizione in cui versano donne di Paesi che la nostra miope paura dello scontro ci porta a non difendere abbastanza, a non tutelare abbastanza non in quanto vittime, ma in quanto esseri umani con dei diritti che culture obsolete e retrograde ignorano e calpestano. Allo stesso modo, mi preoccupa la frequenza e la quasi ‘scontatezza’ con cui molte donne rinunciano al lavoro, al destino di brillanti studentesse che, dicono varie ricerche, si perdono per strada, non raggiungono mai le vette che avevano sognato e per le quali avevano i talenti. Mi preoccupa il crescente e subdolo vittimismo, la facile rinuncia all’indipendenza economica per non poche ragazze, la presenza di cosi’ poche donne nei nostri organi direttivi e di Governo. Mi dispiace che cosi’ poca simpatia e solidarietà susciti una Fallaci o una Condoleeza Rice — indipendentemente dalle bandiere — e tutti si sia pronti a solidarizzare con le immagini bucoliche delle nostre femmine televisive, vallette o supermamme che siano.
Buona lettura….
"Il segreto della felicita’ e’ la liberta’, e il segreto della liberta’ e’ il coraggio"
(Pericle, citato da Oriana Fallaci)
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