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Fare i conti con Lacan

5 Gen 21

A cura di vastopolis

«Fate come me, non imitatemi!» soleva ripetere Jacques Lacan. In realtà, in tanti non hanno fatto come lui ma lo hanno imitato, scimmiottato, pensando di tenerlo in vita riproducendone il dogma, cantando sempre la stessa messa, restando fedeli sempre alla stessa chiesa. Si può, di grazia, essere ortodossi con un eretico? Si può essere lacaniani mentre lui teneva a definirsi freudiano?
A quarant’anni dalla scomparsa (9 settembre 1981) continuano a fiorire libri come limoni su una delle figure più controverse della psicoanalisi mondiale, controversa per chi non è ancora riuscito a coglierne il verso, per chi si è …perso tra i suoi Seminari senza la capacità di trarne indicazione, utilità, insegnamento. Si parla e si scrive forse troppo di Lacan e intorno a Lacan, ma non su Lacan. Sono poche le gemme che meritano una lettura approfondita, pochi i libri che aprono ad altri libri, senza interrompere la corrente del sapere, che non è mai asfittico, rinchiuso dentro le quattro mura, quando sono quattro, della stanza d’analisi.
Marco Focchi, psicoanalista, membro della “Scuola Lacaniana di Psicoanalisi”, con “La clinica psicoanalitica di Jacques Lacan”, edito da Orthotes, ha scritto un libro su Lacan, un libro che ripercorre la storia di un’intelligenza vivida, il sapere di uno che sa di non sapere, di parlare ai muri, di guardare con una smorfia di sufficienza, tutta francese, chi ha voglia di perdere tempo, chi non va dritto al punto, chi pensa che lavorare sulla parola, sull’inciampo, sul nodo, non sia il centro dell’esistenza, il succo della vita. E Focchi parte proprio dal rapporto con la parola, dal rapporto dell’uomo con la parola, prima di addentrarsi nella struttura del delirio di Schreber, di valicare il confine tra realtà e fantasma.




Spiega l’autore: «Questo è un libro che si può leggere in molti modi. Chi avrà la pazienza di percorrerlo dall’inizio alla fine potrà scoprire un filo conduttore di fondo che traversa i momenti, i temi, e i concetti più diversi, una sorta di basso continuo in cui appaiono le chiavi che mi guidano nell’interpretare il testo di Lacan. Ma è un libro che può essere usato anche in un altro modo. Ogni capitolo ha una sua indipendenza, e anche la bibliografia è concepita con l’idea di rendere autonomo ogni capitolo».
È vero, infatti io ho iniziato dal secondo, “Come condurre un’analisi”, perché è la conduzione di un’analisi ad affascinarmi più di ogni altra cosa, e ho trovato appropriate le pagine sul soggetto dell’inconscio, pagine che in altri lacaniani ho trovato banali. Scrive bene Focchi, senza giocare al fenomeno, ma giocando seriamente con Lacan, al quale il gioco, il gioco serio, non dispiaceva affatto. Esplorare l’inconscio con Lacan, come recita il titolo del terzo capitolo, tramite Focchi è esperienza avvincente e costruttiva, una lettura piana e necessaria, un accompagnamento nei meandri di un pensiero alto, mai scontato. Lacan è una continua chiamata. Se Biagio de Giovanni ritiene che, in filosofia, bisogna fare i conti con Hegel, in psicoanalisi non è possibile non fare i conti con Lacan. Non è il fondatore della disciplina, ma con il ritorno al fondatore, con il suo modo di tornare al fondatore, ci impegna e ci costringe a fare i conti anche con lui. Non ho mai avuto dubbi. Il libro di Focchi me lo ha confermato. Poi, ognuno è libero di fare le pulci alle pagine sul desiderio, a quelle sul fantasma dell’origine, a quelle sul godimento, ma le pulci si fanno a chi ha scritto un libro che rasenta la perfezione. Che pulci vuoi fare a chi scrive un libro pieno di pulci e di poco altro?

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