Freud mutuò il termine Massenpsychologie(“psicologia delle masse”) da Gustave Le Bon[1] e Gabriel Tarde,[2] con cui questi autori intendevano strutture sociali non ben definite, “movimenti sociali, considerati fenomeni di massa: minacciose entità in cui folle prive di una guida erano sospinte di qua e di là da impulsi primitivi e irrazionali”.[3] Privo di struttura propria, il concetto di massa umana era destinato a essere trattato in termini di psicologia individuale. Per l’approccio individualistico alla psicologia delle masse umane Freud ricevette il plauso di Hans Kelsen,[4] grande filosofo del diritto.
Il contrario di Freud fu Marx, di principio collettivista, che trattò i collettivi a prescindere dagli individui. Devo dire che tuttora non capisco come sia potuta nascere una corrente di pensiero intitolata al freudo-marxismo, connubio improbabile di un approccio teorico individualistico e di uno collettivistico. Di Freud sono noti diversi travisamenti, ma quello marxiano mi sembra il più cervellotico. La possibilità che il senso comune, notoriamente antiscientifico dai tempi del processo a Galilei, abbia coniugato Freud con Marx dimostra solo un fatto: nessuno dei due autori fu uomo di scienza nel senso galileiano del termine. Freud e Marx furono avvicinati per via di un fattore comune, il materialismo storico, cioè la prevalenza teorica della diacronia sulla sincronia, con il conseguente predominio della verità storica sulla materiale. L’operazione freudo-marxiana, avviata da Wilhelm Reich, non diede grossi risultati scientifici. Scadenti pure quelli filosofici di Erich Fromm ed Herbert Marcuse.
Il presupposto della psicologia sociale freudiana è negativo. Fu esposto da Freud in modo chiaro alla fine del secondo saggio di Totem e tabù. Recita esplicitamente: “La soddisfazione sessuale è prima di tutto il fatto privato dell’individuo”.[5] Come si passa dal privato al pubblico? Il percorso di Freud è perifrastico. Il punto di partenza freudiano è che, in perfetta logica nevrotica, di cui Freud dimostra pure gli inghippi dalle rimozioni ai ritorni del rimosso, la sessualità freudiana volge le spalle al collettivo. Nella metapsicologia freudiana non esistono pulsioni collettive. Il collettivo freudiano si deve accontentare d’ibridazioni tra pulsioni individuali di conservazione ed erotiche, con pesanti limitazioni di entrambe, imposte dalla morale civile, per cui l’individuo è da sempre ostile alla comunità. Freud lo precisa in Avvenire di un’illusione: “Ogni singolo è virtualmente nemico della civiltà”.[6]
A Freud, che non ebbe in biblioteca L’origine delle specie(1859) di Darwin, sfuggì il vantaggio selettivo per la conservazione della specie della sessualità, intesa in modo individualista, sì, ma del maschio. Il maschio, a differenza della femmina, ha una visione ristretta della sessualità: vuole solo scopare, poco importa con chi. Ma, a prescindere dal coito interrotto, questo è un vantaggio per la conservazione della specie, che sfrutta il tornaconto del maschio per affermarsi. Aveva capito tutto il mafioso del motto: “Cumannà megghiu ca futteri”, con il sottointeso che il maschio comanda anche in campo sessuale, dove impone alla donna di sottostare al coito. Il fatto privato della sessualità freudiana si basa su questo tratto maschilista, utile all’evoluzione della specie. Freud usò Liebesbemächtigung (“impossessamento erotico”[7]) della donna dalla parte dell’uomo per indicare l’atto sessuale. Mi guardo bene dal dire che la Bemächtigung sia la soluzione giusta al problema sessuale; registro il fatto biologico, misconosciuto da Freud: l’assetto individualista, in versione brutalmente maschilista,[8] favorisce la conservazione della specie. Fu selezionato dall’evoluzione naturale come meccanismo favorevole alla sopravvivenza della specie. Alle donne oggi tocca il compito di mitigare la deriva biologica, imponendo alla sessualità altri significati oltre a quello fallico.[9]
La seconda topica freudiana confermò la logica individualista trascendendola. Su suggestione di Empedocle, l’ultimo Freud fu incline a supporre due forze psichiche contrapposte: amore e morte; l’amore unifica i collettivi, la morte scinde i prodotti dell’unificazione, riportando il tutto alla suddivisione molecolare inorganica. Che spazio resta per il collettivo nella versione freudiana?
La domanda è intrigante per il freudiano ortodosso, che a rigore dovrebbe rispondere: “In Freud non c’è spazio per il collettivo”. Invece, Freud si salvò in corner. Lo spazio freudiano per il collettivo esiste ma è lo spazio molto ridotto della “massa”. Per massa umana Freud intende la collezione di individui tutti identificati allo stesso Führer, reincarnazione del Padre Primitivo (Urvater), il vecchio stallone (Männchen), che dominava l’orda originaria (Urhorde), tenendo per sé tutte le donne. Questo fu il vero senso della sessualità privata secondo Freud: privato = proprietà del padre.
Freud volle farci credere che l’idea dell’orda primitiva esisteva già in Darwin. Siamo ignoranti, sì, ma non al punto da non sapere che Darwin non parlò mai di “orde”; ragionava su “piccole comunità” (small communities). Fu Freud, invece, a ignorare radicalmente la portata dell’innovazione teorica darwiniana insita nel concetto di selezione, operante su collettivi di individui interagenti tra di loro in modo definito.[10]Un’orda freudiana, una struttura sociale priva d’interazioni positive tra componenti, aveva poche chance d’essere selezionata in 300.000 anni di evoluzione come soluzione efficace e duratura di convivenza per Homo sapiens. Fossimo rimasti a livello dell’orda freudiana, ammesso che biologicamente sia mai esistita, non avremmo ottenuto il dominio del pianeta. Il “grande balzo in avanti”, di cui parlano i paleontologi, non ci sarebbe stato: ci saremmo estinti 38.000 anni fa come i nostri “cugini” Neanderthal.
“L’uomo a una dimensione”
Il capitolo centrale della Massenpsychologieè il settimo sull’identificazione (Die Identifizierung). Inizia così: “L’identificazione è nota in psicanalisi come la più precoce manifestazione di legame affettivo (Gefühlsbindung) con l’altro”.[11]Tutto il capitolo è un inno all’identificazione del figlio con il padre, in nome dell’approccio individualistico alla psicologia collettiva. Il merito è dell’einziger Zug, “il tratto singolare”, cervelloticamente tradotto da Lacan “tratto unario”, posto dal soggetto nell’Ideale dell’Io come suggello al patto ambivalente di amore-odio con la figura paterna. “Così (come il padre) devi essere”, contiene anche il divieto: “Così (come il padre) non ti è permesso essere”.[12]E se tutti i soggetti ubbidiscono a questa logica, per l’occasione confermata ambivalente, ecco costituita la massa freudiana come pacco omogeneo di individui agli ordini del Super-Io, i quali ignorano tutto l’uno dell’altro tranne l’identificazione comune. Questa teoria è l’occasione per Freud per rispolverare il mito edipico dell’orda primitiva, invocando falsi riferimenti darwiniani. Il mito ha scarsa valenza scientifica, perché ignora il fatto imprescindibile della collaborazione positiva tra “fratelli” come fattori di sviluppo sociale.
Ma che cos’è l’identificazione?
L’etimologia fa pensare che si tratti dell’idem latino, “lo stesso” italiano. Se consulto il dizionario di Sabatini e Coletti trovo tre ordini di semantiche.
1. Coincidenza di concetti o di entità reali.
2. Riconoscimento della natura che identifica qualcosa.
3. Processo per cui una persona si dà l’identità di un’altra.
In astratto, l’identificazione tratta l’operazione di somma: 1 + 1; in concreto, il risultato varia: può essere 1 o 2. L’operazione freudiana dà come risultato 1; la matematica 2. Nel freudismo due elementi identificati formano un unico elemento, lo stesso; l’identificazione freudiana è un’identità. In matematica due elementi identificati formano un terzo elemento, il loro insieme; l’identificazione matematica è la relazione di equivalenza, che ripartisce in classi disgiunte gli individui di un universo, ogni classe rappresentando individui equivalenti. È chiaro che per Freud non vale la matematica ma la logica identitaria, un avatar della metafisica.
Lasciamo da parte, allora, la matematica, odiosa ai più, e concentriamoci su Freud, in un giro più largo, considerando l’identificazione freudiana come procedura di conferma per via di coincidenza: se uno coincide con l’uno, perché hanno la stessa identificazione, allora i due sono “a maggior ragione” uno. La conferma è figlia di questa coincidenza. Freud adottò l’identitas indiscernibilium di Leibnitz, un autore da lui ignorato non meno di Galilei. Leibnitz servì a Freud per ridurre il collettivo all’uno, quindi all’individuale. Il risultato teorico è semplice e paradossale. La massa freudiana è virtualmente un individuo, essendo tutti gli individui identici in quanto identificati allo stesso Führer. Se un virus incontrasse una massa freudiana, l’epidemia si diffonderebbe all’istante, perché il virus avrebbe difronte non tanti individui diversi ma un solo individuo. Pur essendo medico, Freud non si pose il problema, non avendo il concetto di modello di popolazione, fatta di individui diversi tra loro interagenti. Freud non ebbe la nozione di diversità come premessa di sviluppo.
Dall’identificazione alla conferma per coincidenza
C’è un tratto specifico della riduzione all’uno: ut unum sint, diceva l’evangelista Giovanni. Si tratta del principio di conferma. “Venite e vedrete” e confermate, rispose Gesù a chi gli chiedeva dove abitasse. Tutta l’epistemologia di Freud pratica la conferma, confermando la sua struttura religiosa. I fenomeni psichici sono chiamati a confermare altri fenomeni psichici, che costituiscono la psicologia, precisamente la metapsicologia. Freud non usò mai la confutazione. Anche quando sostituì le pulsioni di morte alle pulsioni di autoconservazioni dell’Io lo fece perché “confermavano” meglio i dati clinici. La “logica” era sempre la stessa identitaria: due fanno uno e così si confermano a vicenda. Ragionando ingenuamente, la procedura freudiana si giustifica; Freud stava cercando una nuova scienza, la scienza dell’inconscio (eine junge Wissenschaft); quindi cercava prove che la convalidassero. Le trovò nelle coincidenze, non chiedendosi mai se fossero casuali.[13]
È semplice verificarlo. Prendiamo la Traumdeutung, il testo innovativo per eccellenza di Freud, e contiamo quante volte ricorrono i significanti della “conferma” (bestätigen) e quante volte i significanti della “confutazione” (widerlegen, bestreiten). La grezza statistica testuale conferma che i primi prevalgono sui secondi di 53 a 17, quasi di 3 volte.[14] Peccato che le conferme non confermino, ma creino superstizioni. Per Wittgenstein il principio di causa ed effetto è già superstizione per sé stesso.[15] Anche Galilei stava creando una nuova scienza. Ma non cercò conferme del principio d’inerzia, bensì confutazioni. Non ne trovò, grazie a Dio. Concettualmente, l’inesistenza di confutazioni è più forte della conferma più estesa. Basandosi sulla prima, non sulla seconda, Galilei inventò la dinamica, che gli antichi non conobbero, non praticando il principio di confutazione.
Conferme e identificazioni sono concetti di una scienza antica, oggi sopravvissuta nel senso comune, dove producono perfino i fenomeni negazionisti: è sempre lui, loscire per causas, il cavallo di battaglia del cognitivismo dai tempi di Ippocrate e Aristotele. Anticamente ogni effetto aveva la propria causa, che lo confermasse e fosse da essa confermato. Lo storico ragiona così, per conferme, andando alla ricerca delle fonti, cioè delle conferme originarie, le cause prime secondo Aristotele; ragiona in modo eziologico come il medico. Freud fu un medico che ragionava in modo storico. Contrapponeva la verità storica alla materiale,[16]magari deplorando che le sue storie cliniche si leggessero come novelle, prive dell’autentico marchio della scientificità.[17]
Così, Freud confuse scienza con storiografia. La storia della scienza è la vera scienza, diceva Goethe, introducendo alla sua poco scientifica teoria dei colori. Da allora ne abbiamo visto delle belle. Sulle orme idealistiche di Hegel, Marx inventò il materialismo storico. Almeno a sinistra c’è stato tempo e spazio per confutare la costruzione marxista. È stato lungo e difficile; abbiamo dovuto superare crisi individuali e collettive, ma alla fine siamo riusciti a confutare l’ideologia idealista sottostante al marxismo. Quanto tempo ancora ci vorrà per confutare l’ideologia eziologica freudiana, la metapsicologia pulsionale, non meno idealista di quella marxiana, salvando Freud dalla cattura della terapia medica?
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