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Genova, crollo del Ponte Morandi: dalla mortificazione dello stato di diritto al diritto alla salute dei sopravvissuti

29 Mar 19

A cura di Emilio.robotti

Intervento al Convegno Nazionale 

“Salvare il Ponte Polcevera: Paesaggio, Ambiente, Diritti”

 

Sinossi: Una terribile tragedia poteva trasformarsi in una rinascita della città intera oltre che dei quartieri su sui sorge il Ponte. Ma oggi possiamo solo constatare, nel percorso per la distruzione/costruzione del Ponte, plurime mortificazioni dello Stato di Diritto e delle garanzie che esso prevede per la collettività, nonché il disinteresse della Pubblica Autorità verso il diritto alla salute dei cittadini: non solo e non tanto per la sottovalutazione del pericolo amianto,  oggi divenuto come prevedibile sin dall’inizio di giusta attualità; ma  per il sostanziale disinteresse verso il concetto di Salute come inteso dalle Convenzioni internazionali delle N.U.  e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). Che hanno portato alla definizione dell’Agenda 2030 e alla nascita della Rete Città Sane, della quale Genova stessa fa parte. Un’occasione persa per ridisegnare una città intera, più vivibile e bella.

 

Fare una legge e non farla rispettare equivale ad autorizzare la cosa che si vuole proibire.”. (Cardinale di Richelieu, Mémoires).

 

Discutere del Ponte Morandi, come stiamo facendo oggi, ha molto a che fare con il diritto, anzi con i diritti fondamentali.

Ci sono in primo luogo le violazioni dei diritti fondamentali e le responsabilità conseguenti, anche penali ed in corso di aggiornamento, legate al crollo del ponte ed alla morte di tante persone. ci sono poi le violazione dei diritti più elementari dei sopravvissuti che abitavano le case sotto il ponte o comunque nelle sue vicinanze.

 Queste violazioni dei diritti, come quella di chi ha perso la propria casa, lavoro o azienda, avranno un loro percorso che porterà al risarcimento dei danni.

Ma una ulteriore violazione dei diritti di quelle stesse persone e di tutta la collettività, invece, deriva dalle scelte e dalle azioni compiute per ricostruire il ponte crollato. 

Prima si è deciso COSA fare, senza alcuna apparente valutazione comparativa tra varie opzioni, poi si è deciso COME farlo. Senza considerare né le questioni tecniche (che continuano infatti ad emergere giorno per giorno con fastidio del Commissario) né la Legge.

Si è utilizzata una immagine (un ponte con un lampione per ogni vittima, che assomiglierebbe ad una nave) e vi si è costruita una narrazione. Narrazione che nella politica odierna non deve fare i conti con i vincoli di legge, nazionali o dell’Unione Europea: significa (almeno a parole) fare presto e bene, senza burocrazia.

Una tecnica, quella della narrazione, usata in molti altri campi dall’attuale governo e maggioranza, basti pensare alla materia dell’immigrazione, dove la possibile violazione di norme costituzionali o convenzionali, e persino del codice penale, è secondaria rispetto all’obiettivo perseguito.

Una narrazione ed anzi un agire che è però in contrasto con lo stesso Stato di Diritto, cioè con quel nucleo di norme e principi che limitano il potere statale a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini e della collettività; uno Stato di Diritto ormai considerato dall’Autorità governativa un inutile orpello, un ostacolo anziché un necessario limite all’agire dello Stato.

Quindi, si è deciso sin da subito che il concessionario dell’autostrada non doveva essere il soggetto che avrebbe ricostruito il ponte, anche se, in assenza di un accertamento della sua responsabilità, era tenuto a farlo in forza della concessione. Il Presidente del Consiglio, che come noto è Avvocato, disse d’altronde pubblicamente: “Non possiamo aspettare i tempi della giustizia penale”.

Poi, si è deciso che il ponte sarebbe stato un bel ponte, tutto italiano, anzi, genovese perché costruito da una azienda come Fincantieri, che a Genova è considerata del territorio, disegnato da una Archistar mondiale che è genovese.

E’ stato poi nominato l’attuale Commissario Straordinario, conferendogli amplissimi poteri mediante un Decreto Legge assolutamente unico nel suo genere.

Il Decreto Genova infatti prevede che “Per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l'affidamento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario, il Commissario straordinario opera in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.

E’ una (pessima) formulazione assolutamente inedita nel suo genere e nella sua genericità: perché non c’è bisogno di scrivere che il Commissario non può violare le disposizioni di legge penali e francamente non si sentiva la necessità di affermare che le disposizioni inderogabili… non possono essere derogate.

Soprattutto è però una pessima tecnica legislativa perché non sono stati individuati limiti e facoltà del commissario in materia di procedure di gara per l’affidamento dell’appalto.

 Ed infatti, una volta nominato, il Commissario ha deciso guarda caso di utilizzare il disegno di Renzo Piano e  l’affidamento dei lavori proprio alla cordata Fincantieri- Salini Impregilo – Italferr, come deciso quindi già pochi giorni dopo il crollo del ponte.

Il Decreto contiene poi vari “regali” alla concessionaria del Ponte ed ai suoi Avvocati: ad esempio, prima ancora dell’avvio di procedure di revoca della concessione e dell’accertamento delle responsabilità penali e civili, le è stato impedito di partecipare alla ricostruzione del ponte, impedendole di adempiere un suo obbligo di concessionaria. Di questo ed altro contenuto nel decreto i Legali di Autostrade si stanno già servendo innanzi al TAR anche in vista dei contenziosi futuri della società da loro assistita.

Questa, in sommi capi, la cronaca. Perchè parlare di mortificazione dello Stato di Diritto in questa vicenda? Sotto almeno due profili.

Iniziamo da quello relativo alla violazione della normativa, europea e nazionale, in materia di appalti pubblici. 

Il Decreto Genova afferma che l’appalto di demolizione e ricostruzione del ponte viene affidato dal Commissario straordinario in base all’art. 32 della Dir. 2014/24/UE. La questione non è però così semplice come vorrebbero il Governo ed il Parlamento: si tratta infatti di ipotesi riservata a cause di estrema urgenza dovute ad eventi imprevedibili e non imputabili all’amministrazione aggiudicatrice, o nel caso in cui sia chiaro fin dall’inizio che la pubblicazione non genererebbe maggior competitività ovvero migliori risultati dell’appalto,  ad esempio perché un solo operatore economico è oggettivamente in grado di eseguire l’appalto ed altre ipotesi non applicabili al caso. Scartata l’ipotesi di un solo soggetto in grado di costruire l’opera, allora l’estrema urgenza nel caso del Ponte Morandi da cosa deriva? Tutta la procedura è (sommariamente) motivata nel Decreto  Genova con l’esigenza di demolire e ricostruire il ponte e di ripristinare il sistema viario connesso. Non vengono citati esigenze di sicurezza che riguardino il ponte, esigenze di salute (vedremo cosa si intende per salute) degli abitanti, null’altro, che non consentano di seguire le procedure ordinarie. Ho avuto occasione di vedere ad esempio il progetto proposto dal Prof. Spalla e da altri professionisti di caratura internazionale, che prevedeva, tra le altre apprezzabili cose, la realizzazione in poche settimane di un sistema viario alternativo al Ponte che ancora oggi non c’è. Così come – nonostante l’urgenza – non sono in stato avanzato i lavori affidati alla cordata prescelta per la sottovalutazione di un elemento che era noto anche alla pietre, ovvero la presenza, poco o tanto che sia, di amianto nelle strutture cementizie del ponte che si vogliono demolire con l’esplosivo, piuttosto che a causa delle esigenze di indagine della Procura. Perché non sono state nemmeno prese in considerazione alternative all’affidamento a Fincantieri ed ai suoi Partners del progetto basato sul disegno di Renzo Piano, decise fin dalle prime settimane dopo la tragedia? L’urgenza è quella di realizzare una decisione già presa?

Ma c’è di più, sotto questo profilo, se guardiamo ai principi generali dell’affidamento degli appalti pubblici previsti dall’Unione Europea e recepiti nella nostra legislazione.

La normativa sugli appalti pubblici – per carità, perfettibile – non nasce infatti dai capricci di un eurocrate di turno, ma da solide basi sulle quali poggiano i diritti delle imprese e dei cittadini.

Nasce ad esempio da un programma strategico denominato “Europa 2020” per una ripresa sostenibile e solidale, avviato nel 2010 dalla U.E. con cinque obiettivi: occupazione, ricerca, sviluppo, clima, energia, integrazione sociale, riduzione della povertà.

Obiettivi ambiziosi, che hanno condotto alle Direttive n. 23, 24,25 del 26/02/2014 , (recepite dall’Italia con la L. 28.1.2016 N. 11) che fondano l’attuale Codice degli Appalti.

Direttive che affermano esplicitamente l’importanza della disciplina degli appalti pubblici per la realizzazione degli obiettivi di “Europa 2020”, ovvero una crescita sostenibile ed inclusiva che promuova l’innovazione.

Il considerando n. 47 della Direttiva n. 24/2014 afferma infatti che “le autorità pubbliche dovrebbero utilizzare strategicamente gli appalti nel miglior modo possibile per stimolare l’innovazione. L’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi svolge un ruolo fondamentale per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo per affrontare le principali sfide a valenza sociale”.  

La Legge di recepimento italiana di tali direttive U.E., nel delegare il Governo all’emanazione del nuovo Codice degli Appalti, ha individuato come obiettivi la semplificazione e l’accelerazione procedimentale, la trasparenza, la maggiore accessibilità, la prevenzione della corruzione, la maggiore partecipazione alle gare, la garanzia dell’innovazione, il favore per la crescita anche della PMI, il tutto in quadro di compatibilità ambientale e sociale.

L’aumento della partecipazione alle gare pubbliche in un quadro compatibile con gli obiettivi di “Europa 2020” è previsto nella Legge delega italiana attraverso principi concorrenziali – assolutamente ignorati per la ricostruzione del Ponte – che vengono estesi anche alle aree caratterizzate da una maggiore discrezionalità della stazione appaltante come le concessioni; la legge di recepimento prevede la disciplina del soccorso istruttorio al fine di evitare penalizzazioni della concorrenza sotto il profilo formale, l’introduzione del dibattito pubblico; la tendenziale separazione tra le fasi di progettazione e di realizzazione dell’opera, accanto al recepimento della visione europea degli appalti, inscindibile dagli aspetti sociali, di inclusione ed ecosostenibilità: coerentemente quindi alle Direttive U.E. recepite, la legge prevede “la valorizzazione delle esigenze sociali e sostenibilità ambientale” e “l’introduzione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale”.

Il Consiglio di Stato, nel parere sul nuovo Codice degli Appalti afferma che la legge delega “coglie il recepimento delle Direttive come occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali  e ambientali.”

Quali di questi principi abbiamo visto rispettare nel percorso sino ad oggi compiuto per la ricostruzione del Ponte e l’affidamento dei lavori?

Il principio di favore per la separazione tra le fasi della progettazione e dell’affidamento dei lavori di realizzazione dell’opera, ad esempio, è stato rispettato?

Sono, purtroppo, domande retoriche.

Ancora: l’art. 22 del Codice degli Appalti prevede per le grandi opere infrastrutturali o architetture di rilevanza sociale, per le opere di grande impatto ambientale, economico sociale, un dibattito pubblico con la partecipazione dei portatori di interessi: le opere debbono essere precedute dal coinvolgimento delle collettività locali sul territorio. A parte la questione, ancora da definire completamente, dei risarcimenti ai residenti nelle zone rosse e arancioni, quale coinvolgimento concreto c’è stato, quale dibattito pubblico, sia sull’opera in sé che sul destino delle aree interessate? L’esposto dei cittadini (e dei Vigili del Fuoco) sul pericolo dell’amianto, visto con iniziale fastidio dal Commissario, non nasce dalla mancata o insufficiente considerazione delle comunità locali? E quale sarà il destino di quelle aree interessate dal crollo e dalla ricostruzione del Ponte?

Quale la considerazione della salute della collettività in tutta questa operazione?

Il Diritto alla Salute, sin dal 1948, è definito  dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) non solo come assenza di malattia, ma come completo stato di benessere psicofisico.

E dal 1948 in avanti questa definizione di Salute – tutelata anche dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dalla Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea  e dal Trattato dell’U.E si è riempita di ulteriori ed importanti contenuti grazie alla giurisprudenza delle Corti nazionali ed internazionali.

Abbiamo quindi un’altra agenda, l’Agenda 2030 e la Rete Città Sane della quale, tra l’altro, anche Genova fa parte e che tra i suoi documenti vede anche proprio la recente “Carta di Genova” dal suggestivo titolo “Riempire di salute i vuoti urbani”.

L’Agenda 2030 nasce dal progetto dell’OMS “Healthy City” come sua articolazione a livello europeo, prevedendo azioni in merito a lotta alla fame, all’eliminazione delle disuguaglianze, alla tutela delle risorse naturali, allo sviluppo urbano, sull’agricoltura ed i modelli di consumo.

Vedete come il concetto di salute sia divenuto ampio nel diritto internazionale e nazionale.

Prendiamo ad esempio la Dichiarazione di Zagabria del 2008 dei Sindaci delle maggiori città europee relativamente all’attuazione di Healthy Cities: si richiamano in essa salute, equità, giustizia sociale, sviluppo sostenibile come principi, si affermano come obiettivi di lavoro il lavorare su “1. Creazione di ambienti capaci di cura e di sostegno. Una città sana è una città per tutti i suoi cittadini: inclusiva, capace di sostegno, sensibile e reattiva alle loro diverse necessità e aspettative. 2. Vita sana. Una città sana fornisce condizioni e opportunità che incoraggiano, permettono e sostengono stili di vita sani.

3. Ambiente e progettazione urbana per la salute. Una città sana offre un contesto fisico ed un ambiente costruito che incoraggiano, permettono e sostengono la salute, le attività ricreative e il benessere, la sicurezza, l’interazione sociale, l’accessibilità e la mobilità, il senso di orgoglio e di identità culturale, e che corrispondono ai bisogni di tutti i cittadini.”.

Se avete chiuso gli occhi mentre leggevo queste dichiarazioni di principio, ora apriteli e metaforicamente guardate il territorio urbano su cui insiste il Ponte Morandi. Poi chiedetevi se sono stati rispettati sino ad oggi, e che cosa si vuole fare per rispettarli in quelle zone urbane, se è sufficiente sostituire il Ponte Morandi. 

Il diritto alla salute, inteso nella sua accezione più ampia, è un diritto umano, uno dei diritti fondamentali che riguarda la persona e la collettività.

È ormai unanimemente riconosciuto che ciascuno dei Diritti Umani abbia un “core right” e che da parte degli Stati vi siano tre ordini di obblighi, positivi e negativi, per gli Stati stessi: obblighi di “respect, protect, fulfil”, ovvero: rispettare il diritto, non interferendo con il livello di godimento del diritto, diminuendolo; proteggere il diritto, intervenendo per farlo rispettare qualora violato, anche dagli attori non statali; soddisfare il diritto, intraprendendo azioni positive, pro attive, per assicurarne la realizzazione ed il godimento. 

Ecco, in tutta la vicenda che riguarda il Ponte Morandi dal crollo ad oggi, non sembra che siano stati rispettati i principi che regolano l’affidamento degli appalti pubblici, ma nemmeno sembra che questi tre obblighi statali siano stati pienamente rispettati.

Ed il mancato rispetto comporta di aver sprecato una grande occasione, nata da una tragedia, per costruire una città più sana, più bella, più vivibile.

 

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