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Giugno 2013 II – Società e salute, politica, padri e figli, l’inconscio e Vienna

22 Giu 13

A cura di Luca Ribolini

Una società frigida
di Sarantis Thanopulos, il manifesto, 8 giugno 2013

Secondo NHS Choices (organo di informazione del Servizio Sanitario Britannico) metà delle donne hanno problemi sessuali. Il problema più comune è la difficoltà di eccitazione. Dieci anni fa un articolo del BMJ(Giornale dell’Associazione Medica Britannica) ammoniva che il termine «disfunzione sessuale femminile» era costruito ad arte per favorire l’industria farmaceutica. In effetti le aziende farmaceutiche sono già sulla buona strada: nel 2016 sarà in vendita Lybrido, un medicinale contenente testosterone che intensificherebbe la stimolazione sessuale aumentando il flusso del sangue nei genitali (come il Viagra). Il giornale scandalistico Daily Mail ha espresso la preoccupazione che il Lybridopotrebbe creare ninfomani. Si troverà un’altra pillola come antidoto a questo, ha risposto ironicamente il Guardian. C’è poco da ridere: la cultura dell’eccitazione è la forza motrice dell’economia mondiale. La produzione di un’erezione costante del desiderio e la creazione, ad essa complementare, di strumenti per controllare i suoi effetti collaterali di confusione sottendono il processo di omologazione forzata chiamato globalizzazione. La crescente discrepanza tra la varietà infinita di merci prodotte e la possibilità reale di usarle per soddisfare i nostri desideri è un problema enorme di cui non c’è traccia nelle analisi politico-economiche. La complementarità tra il Viagra/Lybrido e il suo antidoto è una metafora efficace per rappresentare la logica folle che domina invisibile la nostra vita, distruggendo la complementarità tra l’eccitazione (qualità maschile dell’eros) e il godimento profondo (qualità femminile dell’eros) nella coppia come nel singolo individuo. Più la società è in crisi più i fantasmi collettivi prendono il sopravvento. Il fantasma della ninfomania trasforma l’anarchia della sessualità femminile (condizione necessaria della sua intensità e profondità) nello spettro di un’avidità sessuale insaziabile, di un godimento sfrenato, senza limiti. In questo fantasma, che domina le difese sociali contro il coinvolgimento erotico, si riflette l’ansia dell’uomo di non poter soddisfare la donna. Dietro questa ansia si nasconde la paura di uscire dalla sua corazza e di farsi coinvolgere. La promiscuità sessuale estrema è incapacità e non avidità di godimento: esprime, in entrambi i sessi, una frigidità erotica coatta, la ricerca ansiosa di un’eccitazione che vive di se stessa, in antagonismo con la soddisfazione che reca il temuto oggetto del desiderio. La difficoltà erotica della donna, che evidenzia di riflesso l’inconsistenza del desiderio dell’uomo, è un profondo segnale di malessere della civiltà, un appello d’amore caduto nel vuoto che si cerca a tutti i costi di nascondere. Va bene l’uso dei farmaci per alleviare problemi sessuali di natura organica. Se ci abituiamo, invece, a usarli come surrogato del vivere, dobbiamo rassegnarci al fatto che il ventesimo secolo non ci ha insegnato nulla e che le catastrofi causate dalla distruzione del desiderio per l’altro sono ancora in agguato.
http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/08Jun2013/08Jun2013ab609a467ba105133f779ee39ee957b6.pdf
 
 
I figli-Telemaco in attesa del padre che non c’è più
Come cambia il “ruolo” educativo nella società moderna col tramonto dei grandi sistemi di interpretazione del mondo
di Augusto Romano, La Stampa -Tuttolibri, 8 giugno 2013 

Una storiella ebraica, riportata da J. Hillman, racconta di un padre che vuole insegnare al figlio ad avere più coraggio. Perciò, lo mette in piedi sul secondo gradino di una scala e gli dice: «Salta, che ti prendo». Il bambino salta e il padre lo accoglie fra le braccia. Il gioco va avanti per un po’ finché il padre improvvisamente si tira indietro e il bambino cade lungo e disteso. Mentre piangente si rimette in piedi, il padre gli dice: «Così impari a non fidarti di nessuno, neanche se è tuo padre».
Se, al di là dell’aneddoto, cerchiamo di cogliere il significato simbolico della storia, ci rendiamo conto che esso è particolarmente pregnante. Il gesto del padre, nella sua apparente crudeltà, rompe la fiducia primaria e il bisogno unitivo e, creando distanza, rende possibile la relazione, la quale implica inevitabilmente la differenza, l’alterità. Inoltre, l’azione paterna apre al figlio il luogo dell’incertezza e della precarietà, la condizione dell’abbandono e dello sradicamento, che sono propri dell’esistenza umana; ma anche, indicando un limite, mobilita le energie volte a fare del limite stesso una opportunità e della solitudine un’occasione di creatività. Mette il figlio a contatto con l’ingiustizia e col non senso e gli affida il compito di elaborarli simbolicamente. In questa operazione trasformativa anche il padre sanguina, e proprio perché sanguina realizza una testimonianza efficace.
Simile in questo ad Abramo, rinuncia al possesso del figlio e lo abbandona pur senza abbandonarlo, giacché lascia in lui il segno del limite; si sacrifica, realizzando in prima persona ciò che addita al figlio; si assume sino in fondo la responsabilità del tradimento, confidando forse nel detto gnostico attribuito a Gesù, che dice: «Se sai quello che fai, sarai salvo; se non lo sai, sarai dannato». Il figlio si ricorderà di lui nelle situazioni limite dell’esistenza, per esempio nei rapporti d’amore, quando dovrà prendere atto della radicale dissimmetria dei soggetti della coppia ed assumersi il fardello (che però è anche uno sporgersi oltre se stesso) di amare nell’altra proprio l’irriducibile alterità.
Questo libro denso e appassionato di M. Recalcati si propone di analizzare la paternità nella società attuale, in cui sono tramontati i grandi sistemi di interpretazione del mondo e il nichilismo ha disvelato il carattere precario e per così dire ipotetico della vita individuale e associata.
Com’è sotto gli occhi di tutti, mancano i padri come quello della nostra storiella, garanti con la loro testimonianza del nesso inscindibile tra limite, sacrificio, creatività e umanizzazione. Accanto a un piccolo drappello di padri tradizionali (padre-padrone, padre-eroe), che credono illusoriamente di essere portatori di una verità da trasmettere, la stragrande maggioranza è fatta di padri assenti e di padri-bambini, compagni di gioco dei loro figli. In questo sperdimento del limite, i figli tendono a loro volta a restare bambini, desiderosi di tutto e subito, insofferenti di ogni frustrazione, privi di orientamento verso scopi. Crescendo manifesteranno, a seconda delle situazioni, il rifiuto radicale dell’idea stessa di paternità e la tendenza compulsiva al godimento come esorcismo contro le responsabilità della vita; o, per contro, la nostalgia del padre della Tradizione, che li sollevi dall’obbligo di scegliere; o anche la chiusura saturnina, l’esigenza di controllo, il cinismo, la riduzione dell’altro a feticcio, la mercificazione dei rapporti: una vita al risparmio, una infelicità senza più desideri.
La coppia Ulisse-Telemaco rappresenta per l’Autore un esempio dell’esigenza che oggi si nasconde sotto l’infelicità, il disordine e la paura di padri e figli: un ritorno del padre che dia testimonianza della consapevolezza che la vita è il luogo di opposizioni logicamente inconciliabili ma esistenzialmente esperibili. Infatti, il discorso di Recalcati si muove sul sottile crinale che separa l’innovazione creativa dalla normatività da un lato, e dalla pura dissipazione energetica dall’altro. A una vita all’insegna dello scialo, inteso come uno spendersi sino in fondo per la realizzazione del significato della propria esistenza, si oppone una vita all’insegna dello spreco, dello smarrimento nella pura fattualità. Gli opposti che vengono costantemente tematizzati sono filiazione/separazione, memoria/oblio, identità/alterità, fedeltà/tradimento, libertà/legge, appartenenza/erranza, caos/cosmo.
Centrale, nel discorso di Recalcati, è il problema dell’attribuzione di senso, che lo porta a parlare dell’inconscio non solo come deposito del rimosso ma anche come «il luogo di ciò che non si è ancora realizzato e che domanda di potersi realizzare». Il che sembra allontanarlo dalla matrice lacaniana cui aderisce per avvicinarlo all’idea junghiana di inconscio «progettante» e alla nozione di simbolo come paradossale tensione di termini opposti, cui è affidata la funzione di rendere possibile la trasformazione interiore. Se si sorvola su qualche vezzo linguistico, il libro è tra quelli che danno da pensare.

http://cedocsv.blogspot.it/2013/06/i-figli-telemaco-in-attesa-del-padre.html
 

“L’età dell’inconscio” di Eric R. Kandel 
di Redazione, ilfoglio.it, 8 giugno 2013 

Intorno all’anno 1900, il cuore della vita culturale viennese era il salotto di Berta Zuckerkandl. Qui personaggi come Sigmund Freud e Gustav Mahler, Arthur Schnitzler e Gustav Klimt si incontravano e confrontavano le rispettive intuizioni, che stavano cambiando il volto della cultura europea. Il salotto di frau Berta non era peraltro il loro unico punto di incontro: Freud e Schnitzler erano stati compagni di studi nella facoltà di Medicina, allora punta di diamante dello sviluppo della clinica moderna; il marito di Berta, Emil, a sua volta docente di Anatomia in quella facoltà, aveva ripetutamente condotto Klimt ad assistere alla dissezione dei cadaveri, e lo aveva introdotto alle scoperte della nascente embriologia.
Così, l’effervescente clima culturale della città non fu solamente il risultato di pur clamorose innovazioni nelle singole discipline, ma soprattutto di un fecondo rapporto fra le diverse arti e scienze: “La Vienna del periodo”, scrive Kandel, non solo “dischiuse nuove prospettive nella medicina, nell’arte, nell’architettura, nella critica artistica, nella progettazione, nella filosofia, nell’economia e nella musica”, ma “aprì un dialogo tra le scienze biologiche e la psicologia, la letteratura, la musica e l’arte, e iniziò così un’integrazione della conoscenza che continua ancora ai nostri giorni”.
Denominatore comune della multiforme ricerca del modernismo viennese, una triplice convinzione: che la mente umana abbia ampie zone di inconscio, che tali aspetti possano essere indagati con l’autoanalisi, e che i processi mentali abbiano basi fisiologiche. E così gli studi di Freud, i romanzi di Schnitzler, i dipinti di Klimt e poi dei suoi allievi Oskar Kokoschka ed Egon Schiele possono essere interpretati come vie diverse di un’unica impresa: portare allo scoperto i livelli profondi della realtà psichica. Un’impresa che, concepita sul volgere del secolo, sarebbe diventata uno dei tratti distintivi dell’intero Novecento. Fu infatti studiando le opere del modernismo viennese che Ernst Kris ed Ernst Gombrich iniziarono ad applicare alla critica d’arte le scoperte della scienza della mente: “Combinando la storia dell’arte con le intuizioni derivate dalla psicoanalisi, il più rigoroso pensiero della psicologia della Gestalt e il controllo delle ipotesi delle inferenze inconsce e coscienti, Kris e Gombrich hanno gettato le basi per una psicologia cognitiva dell’arte. Inoltre, hanno capito che, poiché l’arte è in parte una creazione della mente e la mente è una serie di funzioni svolte dal cervello, lo studio scientifico dell’arte deve includere le neuroscienze e la psicologia cognitiva”. Si apre così la seconda parte di questa storia, quella degli studi sul funzionamento del cervello, fino alla “neuroestetica emotiva”, il tentativo di esplorare le basi biologiche dell’arte; così per esempio “studiando l’azione dell’amigdala e le sue connessioni siamo finalmente riusciti ad andare al di sotto della superficie della vita mentale e a cominciare ad analizzare in che modo siano legate l’esperienza conscia e inconscia, il Santo Graal della teoria psicoanalitica”.
Una storia affascinante e ancora in corso, che Eric Kandel è ben attrezzato per raccontare, su entrambi i suoi versanti. Neuroscienziato, premio Nobel per la Medicina nel 2000, è infatti protagonista di avanguardia degli studi sulle funzioni cerebrali che stanno alla base della percezione e delle emozioni. Nato a Vienna nel 1929, ne ha respirato direttamente l’atmosfera culturale. “L’età dell’inconscio” è così un’opera rara, illustratissima, brillante intreccio di arte, letteratura, psicologia e neuroscienze, viaggio affascinante alla scoperta dei misteri della psiche dalle origini alle frontiere della ricerca più recente.
L’età dell’inconscio, di Eric R. Kandel, Raffaello Cortina, 622 pp., 39 euro

http://www.ilfoglio.it/recensioni/780

Amore filiale 
di Roberto Spataro, avvenire.it, 11 giugno 2013

Tutti conoscono bene il pensiero legato a quel dinamismo psicologico detto «complesso di Edipo» studiato dallo psicanalista viennese Sigmund Freud. In tal senso, come l’eroe tebano Edipo, sul quale vi è un’ampia trattazione nei miti antichi, uccise Laio, suo padre, per impadronirsi del potere, allo stesso modo tutti gli uomini, repressi e bloccati dalla figura e dall’autorità paterna nel periodo infantile, con l’ingresso nell’adolescenza, uccidono simbolicamente il padre per acquisire una piena maturità.
Anche se questo pensiero appare un’opinione non solamente infondata ma anche dannosa, non vogliamo contestarla criticamente. Preferiamo riportare un altro mito che leggiamo nei poemi omerici. Il più grande poeta greco racconta nell’Odissea che il figlio di Ulisse, Telemaco, dal momento che il padre, da tempo partito per l’assedio di Troia, non era ancora tornato a casa, dietro consiglio di Atena, intraprese un lungo viaggio alla ricerca del padre. In realtà, Telemaco non ritrovò il padre ma venne a conoscere molte notizie sulle sue qualità morali e le sue azioni gloriose. Telemaco, infatti, giunto a Pilo ed interrogato il re Nestore perché gli raccontasse qualche novità sul padre Ulisse, ricevette solamente poche informazioni. Per questo motivo si portò a Sparta per venire a conoscere un maggior numero di notizie da Menelao e dalla moglie Elena, a causa della quale era scoppiata la guerra di Troia. Dopo averle ottenute, se ne tornò a casa, in attesa del padre.
Dopo questa breve sintesi del mito, è bene che prestiamo attenzione a questo dato: il graduale e profondo cambiamento di Telemaco che diventa migliore di quello che era, dopo aver conosciuto le virtù paterne. Infatti c’è un’intima trasformazione in Telemaco, non più un ragazzo timido, incerto, infantile, ma un uomo coraggioso, pronto all’azione, superiore per capacità di comprensione e forza morale. In definitiva, dal mito omerico apprendiamo una convinzione confermata dagli psicologici e dai pedagogisti moderni: i ragazzi hanno bisogno dell’aiuto e dei buoni esempi del padre e soprattutto della soave dolcezza del suo affetto.

http://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/HORTENSIUS/Amore%20filiale_20130611.aspx?Rubrica=HORTENSIUS
 
 
Diritto & Rovescio. Grillo e Freud  
di Redazione, italiaoggi.it, 13 giugno 2013

Nello sbattere fuori dal partito la senatrice bolognese Adele Gambaro che si era permessa di criticarlo, Beppe Grillo ha motivato la sua scelta spiegando che «uno vale quando costruisce. Quando nel dibattito produce crescita, arricchimento, fatica per arrivare un passo in più, oltre. Uno invece vale niente se smantella il suo stesso progetto». Ma Grillo è uno specialista della demolizione mentre è inesistente nella ricostruzione. Con queste parole e con questo atteggiamento Grillo conferma quindi la diagnosi di Freud che diceva che «il moralista è colui che accusa gli altri per fare la predica a se stesso».

http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1829817&codiciTestate=1#

(Fonte http://rassegnaflp.wordpress.com)
 

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