Uno dei miei pazienti, italo-americano, sulla sessantina, emigrato dal nord da piccolo con la famiglia, negli anni 60, porta il cilicio. Un cilicio simbolico. Voi direte “Grazie al cielo!” Ma sarebbe invece meglio se fosse un cilicio vero, assicche’ quest’uomo potesse vedere e toccare le sue piaghe invece di negarle. Perche’ lui nega. Fa finta che non esistano. Lui s’immagina invece di portare la croce del mondo sulle spalle e se ne vanta, e aggiunge che lui la croce la sa pure usare come spada. E’ razzista, berlusconiano, e mi ricorda i primi mesi passati a New York nell’oramai lontano 1981, quand’ero, come dire, ‘appena sceso dalla nave’ e, girando per Little Italy, m’imbattei in un negozio di elettrodomestici che aveva un bella fotografia di Mussolini — bianco e nero, mascella ed elmetto, cornice di legno sbiadito — esposta nel bel mezzo della vetrina tra ventilatori e frullatori. Ora non ci son piu’ foto del duce in vetrina ma purtroppo la musica e’ spesso la stessa, sia qui che in Italia.
Ci sono cioe’ persone, come il nostro Rudy Giuliani o il nostro Arrigo Sacchi. La settimana scorsa, l’uno blatero’ che Obama non ama l’America, l’altro che ci son troppi giocatori di colore nelle squadre italiane e che se vergogna. Uno piu’ fulminato dell’altro insomma. Mi fan pensare a Franti nel libro Cuore. “E Franti rise.” E’ difficile gestire pazienti cosi’ perche’ sanguinano tanto e ci sporcano l’ufficio e non c’e’ verso a offrirgli garza, disinfettanti, etc. Sono innamorati del proprio sangue e provano un piacere erotico a vederlo colare e, fondamentalmente, tendono a volerci usare come testimoni. Il problema e’ che esseri umani cosi’ poi fanno soffrire i propri figli, le proprie mogli (di solito sono gli uomini che amano dissanguarsi e dissanguare, le donne di questo tipo tendono invece a essere piu’ contenute, a starsene al piede della croce – ad asfissiarsi e ad asfissiare invece che a dissanguarsi.) Georges Batailles nel suo “Documents” (1968) consacra un capitolo alle persone che amano “Le Gros Orteil” – il police del piede, nostramente chiamato pollicione. Include nel libro una foto ch’egli incluse di detta parte del corpo, foto la quale mi fa sempre pensare a un pollicione marcio, come infettato.
Ci sono insomma entita’ come Giuliani & Sacchi S.p.A. che non solo amano il pollicione, il che’ di per se’ va benissimo, ma l’amano pure marcio (si pensi’ qui a quell dolorosissimo film di Pier Paolo Pasolini dal titolo “Salo o le 120 Giornate di Sodoma”), e, come se non bastasse, vogliono che l’amiamo pure noi! E cio’ e’ molto piu’ probelamtico. Mi sembra molto piu’ onesto un essere umano come David Nebreda, il quale, estremamemente conscio dell’aspetto tragico della condizione umana, si affama come il digiunatore di Kafka e ci espone alla sua sofferenza, all’impotenza umana, senza pretese che noi la si debba amare. Nebreda e’ ‘semplicemente’ lapidare. Onesto.
In altre parole, contrariamente a Giuliani & Sacchi S.p.A, i quali sono fondamentalmente ‘brutti, cattivi, neri e carbonai’ (come usava dire la mia beneamata zia Lolly quando parlava di persone dalla moralita’ limitata) poiche’ questa ditta vuole imporci il proprio gusto dei pollici marci. Nebreda ci ricorda invece che l’Altro – e includiamo qui Giuliani & Sacchi S.p.A. — soffre, e che, se ne abbiamo la forza, possiamo soffrire con lui, non imponendoci bensi’ in un atto di preghiera. Con compassione. Cum patior. O, come diciamo tre volte al giorno nella liturgia ebraica, “pregando per coloro che sono addormentati nella polvere.” Nebreda ci insegna insomma ad essere testimoni della poverta’ esistenziale di Giuliani & Sacchi S.p.A. senza essere sopraffatti dalla loro ignoranza e dalla loro cattiveria. Ci insegna a contenere la rabbia che Giuliani & Sacchi S.p.A. ispirano. A suo modo, Nebreda ci ricorda che funzioniamo ancora come quando eravamo cannibali: il nostro cervello, la nostra capacita’ di amare, stava ancora sviluppandosi e quando faceva freddo e non c’era cibo ci divoravamo a vicenda. Questo e’, a mio avviso, il ‘succo’ del peccato originale, della mela morsa nel Paradiso Terrestre: e’ il ricordo seppellito nel nostro inconscio collettivo di un tempo antichissimo durante il quale ci mangiavamo a vicenda. A mio avviso l’essere capaci di prendere atto di questo nostro passato cannibale puo’ aiutarci, oggi, nel nostro quotidiano, a contenere l’aggressione, il desiderio di divorare sia l’altro che noi stessi: sia l’impulso di imporre pollici marci al prossimo che l’impulso di polverizzare i deficienti che si comportano cosi’.
Ci sono cioe’ persone, come il nostro Rudy Giuliani o il nostro Arrigo Sacchi. La settimana scorsa, l’uno blatero’ che Obama non ama l’America, l’altro che ci son troppi giocatori di colore nelle squadre italiane e che se vergogna. Uno piu’ fulminato dell’altro insomma. Mi fan pensare a Franti nel libro Cuore. “E Franti rise.” E’ difficile gestire pazienti cosi’ perche’ sanguinano tanto e ci sporcano l’ufficio e non c’e’ verso a offrirgli garza, disinfettanti, etc. Sono innamorati del proprio sangue e provano un piacere erotico a vederlo colare e, fondamentalmente, tendono a volerci usare come testimoni. Il problema e’ che esseri umani cosi’ poi fanno soffrire i propri figli, le proprie mogli (di solito sono gli uomini che amano dissanguarsi e dissanguare, le donne di questo tipo tendono invece a essere piu’ contenute, a starsene al piede della croce – ad asfissiarsi e ad asfissiare invece che a dissanguarsi.) Georges Batailles nel suo “Documents” (1968) consacra un capitolo alle persone che amano “Le Gros Orteil” – il police del piede, nostramente chiamato pollicione. Include nel libro una foto ch’egli incluse di detta parte del corpo, foto la quale mi fa sempre pensare a un pollicione marcio, come infettato.
Ci sono insomma entita’ come Giuliani & Sacchi S.p.A. che non solo amano il pollicione, il che’ di per se’ va benissimo, ma l’amano pure marcio (si pensi’ qui a quell dolorosissimo film di Pier Paolo Pasolini dal titolo “Salo o le 120 Giornate di Sodoma”), e, come se non bastasse, vogliono che l’amiamo pure noi! E cio’ e’ molto piu’ probelamtico. Mi sembra molto piu’ onesto un essere umano come David Nebreda, il quale, estremamemente conscio dell’aspetto tragico della condizione umana, si affama come il digiunatore di Kafka e ci espone alla sua sofferenza, all’impotenza umana, senza pretese che noi la si debba amare. Nebreda e’ ‘semplicemente’ lapidare. Onesto.
In altre parole, contrariamente a Giuliani & Sacchi S.p.A, i quali sono fondamentalmente ‘brutti, cattivi, neri e carbonai’ (come usava dire la mia beneamata zia Lolly quando parlava di persone dalla moralita’ limitata) poiche’ questa ditta vuole imporci il proprio gusto dei pollici marci. Nebreda ci ricorda invece che l’Altro – e includiamo qui Giuliani & Sacchi S.p.A. — soffre, e che, se ne abbiamo la forza, possiamo soffrire con lui, non imponendoci bensi’ in un atto di preghiera. Con compassione. Cum patior. O, come diciamo tre volte al giorno nella liturgia ebraica, “pregando per coloro che sono addormentati nella polvere.” Nebreda ci insegna insomma ad essere testimoni della poverta’ esistenziale di Giuliani & Sacchi S.p.A. senza essere sopraffatti dalla loro ignoranza e dalla loro cattiveria. Ci insegna a contenere la rabbia che Giuliani & Sacchi S.p.A. ispirano. A suo modo, Nebreda ci ricorda che funzioniamo ancora come quando eravamo cannibali: il nostro cervello, la nostra capacita’ di amare, stava ancora sviluppandosi e quando faceva freddo e non c’era cibo ci divoravamo a vicenda. Questo e’, a mio avviso, il ‘succo’ del peccato originale, della mela morsa nel Paradiso Terrestre: e’ il ricordo seppellito nel nostro inconscio collettivo di un tempo antichissimo durante il quale ci mangiavamo a vicenda. A mio avviso l’essere capaci di prendere atto di questo nostro passato cannibale puo’ aiutarci, oggi, nel nostro quotidiano, a contenere l’aggressione, il desiderio di divorare sia l’altro che noi stessi: sia l’impulso di imporre pollici marci al prossimo che l’impulso di polverizzare i deficienti che si comportano cosi’.
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