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Giuseppe Sergi, un eugenista dentro la Grande Guerra

1 Mag 19

A cura di Luigi Benevelli

Giovanni Cerro ha curato  una interessantissima antologia di testi di scienziati eugenisti italiani che, di fronte ai massacri della prima guerra mondiale, si occuparono degli effetti della guerra moderna  sulla salute genetica delle popolazioni. Nell’antologia Cerro ripropone L’eugenica e la decadenza delle nazioni, di Giuseppe Sergi  (1841- 1936), l’antropologo che fondò nel 1893 la Società romana di antropologia e nel 1936 con Corrado Gini e Alfredo Niceforo la prima Società italiana di eugenetica[1].
Per Sergi l’eugenica (umana) “si fonda  sul concetto che vi sia trasmissione patologica, degenerativa, anormale per scoprire il metodo di evitare e di eliminare la discendenza, che si considera dannosa per la razza” ed ha il compito di aiutare lo sviluppo normale dei soggetti sani e di interrompere l’eredità morbosa, ossia “eliminare gli elementi degenerati”. Qui le cose si fanno complicate per la non sufficiente validazione scientifica dei dati sull’eredità degenerante e il rischio che procedimenti troppo empirici possano risultare socialmente nocivi.
Poi entra nel vivo della discussione partendo dalla riduzione della natalità in Francia e delle sue cause, uno dei temi più frequentati dagli eugenisti europei fra fine Ottocento e inizi Novecento: a parte il “delitto di Onan” “la causa principale della sterilità relativa che si protrae da oltre un secolo in Francia è, secondo Sergi,  di carattere biologico; soltanto in parte può essere responsabile la volontà umana”. E c’è anche però la guerra: “La gloria e la grandezza militare portano una terribile sanzione punitiva!”. E qui Napoleone è indicato come responsabile di una grande quantità di morti, mutilati, fanciulli abbandonati, mendicanti.
“La guerra, quindi, secondo noi, non soltanto è causa di squilibrio sociale, ma anche di perturbamento biologico profondo che assume la forma evidente della sterilità più o meno relativa e per un periodo indeterminato. Il perturbamento biologico non deriva soltanto per il fatto della distruzione delle giovani vite, le più adatte alla fecondità, ma ancora per quelle sfavorevoli condizioni in cui improvvisamente viene posta la nazione: donde hanno origine squilibri mentali e di sentimenti, traumi psichici e nervosi, ansie, dolori di ogni sorta, cui contribuiscono le gravi condizioni economiche che derivano dallo stato di guerra: tutto si ripercuote nella economia generale organica della popolazione”.
Sergi si sofferma sulla fecondità e sulla sterilità negli umani per affermare che “ Delle cause di sterilità, specialmente nell’uomo, meno che per effetti patologici, non sappiamo nulla”, salvo che “nell’umanità vi sia un limitato numero di fecondazioni e molte cellule germinali nei due sessi giungono a completa maturità e abortiscono, altre non raggiungono le fecondazione e periscono ugualmente […]; la limitazione normale della fecondità umana sembra un effetto naturale, come suole avvenire in altre specie di animali”. Ma la grande carenza di dati e di ricerche lo porta a citare  una statistica australiana di Victoria del 1897 secondo la quale “la fecondità maschile non sembra illimitata, il maggior numero dei nati si ha nell’età del genitore dai 30 ai 35 anni, dopo il numero declina con l’età del padre che aumenta. […] Facciamo, ora, una applicazione a quel che segue dopo una guerra lunga e continuata come quella della Francia dal 1792 al 1815. […]  Allora abbiamo il fatto che un gran numero di uomini da 20 a 40 anni è perito, e rimangono coloro che non sono atti soltanto alle armi, ma anche alla discendenza, e uomini che danno una discendenza minore di numero e, aggiungiamo, inferiore di qualità.”
Sergi prende in considerazione altre cause della minore fecondità a causa della guerra moderna: “ la guerra che presentemente si combatte ha rivelato i gravi disturbi nervosi che si producono nei combattenti, disturbi più o meno visibili che prendono vari nomi clinici.  […] Ebbene, chi ignora che il sistema nervoso sia il regolatore della vita e della vitalità umana? Nel caso nostro il sistema nervoso avendo patito quegli squilibri speciali e caratteristici, dev’essere causa di disgenesia, parziale o totale, e quindi di sterilità relativa.” Ma anche la popolazione che vive lontano dai campi di battaglia soffre di “ansie e traumi nervosi che non possono non influire sullo stato generale della vitalità, e quindi  sulla genesia. Tali condizioni sono aggravate dalla miseria, dalle difficoltà di avere una normale alimentazione, anche dalla qualità inferiore degli alimenti, come dalla terribile incertezza del domani”.
Sergi cita al riguardo la situazione del rischio di estinzione degli “Indiani del Nord-America obbligati a vivere nelle riserve”, impediti di “circolare liberamente nelle loro praterie del Mississipi”; dei Maori della Nuova Zelanda e degli Australiani: “questi indigeni si vanno estinguendo per sterilità continua e ininterrotta”.
Invece, “dove la popolazione ha potuto avere un riposo relativo con la pace, ha ripreso in parte o in tutto la sua vigoria vitale. La Francia dopo i gravi effetti della guerra sotto Luigi XIV riprese la sua normale vigoria genesiaca; ma dalla rivoluzione e per le continue guerre napoleoniche ha risentito per un tempo molto più lungo i terribili effetti della sua gloria militare.” […] Le grandi e lunghe guerre, dunque, sono un grave pericolo per le nazioni, le quali possono resistere al danno che le minaccia secondo quel coefficiente di vitalità che possiedono e fino a certi limiti, che sono segnati dal concorso di varie condizioni non sempre valutabili”.
Giuseppe Sergi rassicura “che l’Italia per la eugenesia si trova in piena efficienza” e che non ci sarebbe da preoccuparsi per la mortalità da cause di guerra, ma fa appello “allo Stato, ai dirigenti, a tutti coloro che hanno potere, mente e cuore, di sorreggere il popolo nel grave e difficile cimento in cui ci troviamo, perché sia al meno possibile alterato lo stato normale delle attività varie della nazione e nella vita quotidiana; sia conservata sufficiente alimentazione per ogni classe nelle città e nelle campagne; sia dato conforto non verbale ma efficace con quella assistenza di varia e molteplice natura, specialmente ai più sofferenti per vari motivi creati dallo stato di guerra, e non soltanto per tenere elevato lo spirito nazionale e fermo il potere di resistenza alle dure condizioni della guerra, ma anche per conservare sano e vigoroso il corpo per il presente e per l’avvenire”. Per concludere che “a queste condizioni che noi consideriamo eugenetiche e che dipendono dalla nostra previsione e dalla nostra volontà, possiamo affermare che in Italia i danni derivati per la perdita delle vite umane e per le enormi spese che esige lo stato di guerra potranno essere riparati dagli stessi effetti della conseguita vittoria.
 

 

 

[1] Giuseppe Sergi, L’eugenica e la decadenza delle nazioni in Giovanni Cerro ( a cura di), L’eugenetica italiana e la Grande guerra, Edizioni ETS, 2017, pp. 129-149. L’articolo fu pubblicato negli «Atti della Società Italiana per il progresso della scienza- VIII Riunione» Roma, marzo 1916.
 

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