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Glee e la legge sull’omofobia

15 Ago 13

A cura di Alberto Sibilla

L’idea di scrivere considerazioni sulla rappresentazione dell’omosessualità nei media mi è nata seguendo nel corso degli anni un serial americano, Glee, di grande successo negli USA e destinato a un pubblico mainstream e giovane (con una media di otto milioni di telespettatori a puntata). Sin dall’inizio tra i protagonisti vi era Kurt, gay dichiarato, Santana e Brittany lesbiche senza paura.  Rachel, la protagonista è figlia adottiva di due gay. Mi ha colpito nella narrazione la storia di Kurt che nel primo anno è preso in giro nella scuola per la sua omosessualità e non trova il coraggio di dirlo al padre, meccanico appartenente alla working class. A scuola però non si nasconde e dopo un iniziale sconforto trova un appoggio nel glee club (glee significa gioia e glee club sta per canto corale). Nel corso degli anni Kurt si confida con il padre che dopo una crisi iniziale lo accetta, anzi si lega ancora di più a lui.  Santana è un personaggio particolarmente deciso e aggressivo e non fa niente per nascondere la sua omosessualità e ha una storia sentimentale alla luce del sole. Rachel poi mette spesso in rapporto il suo grande talento con il rapporto pieno di affetto con i suoi due padri. Ovviamente la mia è una sintesi, ma voglio ancora una volta rilevare come in questi serial siano assenti intenti di militanza o pedagogici nella rappresentazione dell’omosessualità e di fronte ai soprusi non ci sia mai vittimismo. In questo periodo scrivendo di omosessualità sono più attento alla presenza di gay e lesbiche nei serial ed è evidente che sono personaggi presenti, sempre con le caratteristiche che ho descritto in precedenza. Le serie sono numerosissime e cito quello che seguo, in cui tra i protagonisti ci sono sempre più spesso gay e lesbiche. Ovviamente la mia è una scelta soggettiva, da completare. Ho evitato programmi che non hanno avuto un riscontro di pubblico. Inizio ricordando la poliziotta Kima di The Wire, considerata la migliore serie drammatica di tutti i tempi, che è lesbica ed è rappresentata nella sua convivenza quotidiana e nel rapporto alla pari con i colleghi maschi. Kima è popolare tra i colleghi e gode di una solidarietà unanime in un ambiente maschile come quello della polizia. Passando a una serie comica Due uomini e mezzo, l’anziano padre di una protagonista fa coming out e va a vivere con un coetaneo. L'outing tardivo è di moda.  In “The good wife” legal thriller di enorme successo, la poliziotta Calinda, mostro d’intelligenza, è inizialmente bisessuale e nel corso della storia sceglie una relazione lesbica. In Grey’s Anatomy vediamo una coppia lesbica che ha una figlia, in cui una delle due donne era in precedenza etero. In Modern family una delle famiglie è composta da due gay. Sono tutti serial di grande successo; io ne ho citati alcuni, ma in ogni serie gay e lesbiche hanno una parte di rilievo, sempre senza idealizzazione o intenti pedagogici.
Torno a Glee che nel corso degli anni ha sviluppato la storia di Kurt che non solo dopo la crisi per il disvelamento recupera l’affetto del padre, ha una relazione affettiva con Blaine e nella scuola non nasconde il suo orientamento sessuale, ma non ne fa nemmeno una bandiera. In questa scuola è protagonista un’insegnante di ginnastica, durissima con qualsiasi atteggiamento politicamente corretto che distrugge con una buona dose d’ironia. Ne parlo perché questo personaggio o meglio l’attrice ha preso molti premi ed è amata dai giovani. Appena vede vittimismo in Kurt, lo prende in giro con durezza, come fa con gli etero. Ovviamente il controcanto è costituito da un altro professore che è empatico e accogliente. Nelle ultime due annate compare Wade “Unique”, transessuale.  Per ora il personaggio non ha raggiunto lo spessore degli altri e sta cercando una definizione nella storia di Glee.
Ho iniziato questo intervento nel giorno del suicidio a Roma di un ragazzo quattordicenne.  Sono subito partite le solite accuse sul bullismo e sui ritardi sulla legge sull’omofobia e Repubblica mette in prima pagina una lettera di un ragazzo omosessuale che accusa con durezza la politica. La lettera mi ha messo tristezza perché da parte del ragazzo c’è una sopravalutazione dell’influenza della politica e delle leggi sui destini individuali. Questa a mio parere non è la via per combattere l’omofobia.  Ritorno a Glee e ricordo che Kurt il personaggio omosessuale, era preso in giro duramente dai giocatori di football della sua scuola, ma contemporaneamente era aiutato e accettato dal circolo Glee e con l’outing migliorava il rapporto con il padre, che non era propriamente un intellettuale progressista. Sempre su Repubblica, Cristiana Alicata si chiede concretamente le conseguenze di una legge sull’omofobia sulle persone omosessuali e conclude che l’omofobia è “legata alla nostra idea di famiglia, al sangue, alla gerarchia, ai ruoli di dominio legati al genere.” Esprime dubbi sulla possibilità che sia una legge a cambiare queste convinzioni. Penso che per “sangue” la Alicata intenda il corpo con il suo funzionamento biochimico,  argomento che non deve essere sottovalutato.  A conclusioni analoghe arrivano Codignola e Luci nel loro articolo su Psicoterapia e Scienze Umane, che rilevano che la sfida e l’opportunità offerta dalle famiglie omogenitoriali è di mettere in discussione assunti fondamentali come il triangolo edipico e rivedere i meccanismi relazionali alla base della creazione del sé. Bisogna però avvicinarsi a questo problema con umiltà e fuggire le posizioni preconcette. Il passaggio da padre-madre a care giver non è un artificio lessicale e corrisponde a un profondo cambiamento delle relazioni formative con i bambini con ovvie conseguenze sulla formazione del sé.
A proposito della legge sull’omofobia, non mi piace la smania iperlegislativa italiana e a tale proposito è utile leggere l’articolo del Sottosegretario alla giustizia, Cosimo Ferri (Corriere della sera del 13 /08/2013), che evidenzia i punti della legge. Quando si abbandonano i principi ideali e si scende nel concreto, le proposte diventano oltremodo vaghe e anche con pericolose sovrapposizioni sulla libertà di pensiero e con una delega alla magistratura sulla valutazione dell’intenzione omofobica, concetto che a parte pochi casi evidenti è più di competenza della psicologia individuale che della legge. Ma si sa in Italia ci s’indigna, si fanno interpretazioni paranoiche, si chiede una legge e si è a posto con la propria coscienza.
Tornando a Glee non vorrei che le mie fossero considerate unicamente analisi basate su un fenomeno mediatico di nicchia. Ricordo ancora il grande successo presso i giovani della serie e vorrei citare un episodio che mi ha colpito. Al Festival del cinema di Giffoni è stata invitata Naya Rivera, la mitica Santana, eroina lesbica di Glee. Il paese è stato invaso da giovani provenienti da tutta Italia per salutarla e ringraziarla.  Ricordo che Santana quando è presa in giro reagisce con rabbia, talora anche fisica. Forse anche da noi questo modo di rappresentare le lesbiche ha qualche riscontro?

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