Quello che gli uomini non dicono (per fare da contraltare a Fiorella Mannoia, in piena epoca di San Remo) è che niente è più potente e distruttivo del narcisismo ferito. Gli spiriti dell’isola è un film tremendamente vero sull'anima degli uomini e delle donne. I primi sono creature semplici, fragili e terribilmente orgogliose che si sostengono in qualche modo a vicenda (un’altra bromance, vedi http://www.psychiatryonline.it/node/9694), le seconde devono cercare uno spazio nel mondo maschile, e lo trovano assumendo il ruolo di maghe veggenti (le banshees, creature mitiche del mondo irlandese, da cui nasce il titolo originario del film “The Banshees of Inisherin”) oppure fuggendo altrove, come fa la principale protagonista della vicenda.
Nel mondo primitivo, isolato, desolato di un isola al largo dell’Irlanda nel 1923, uomini vivono del latte delle poche vacche portate a pascolare e della birra scolata al pub. Padraic (Colin Farrell, indimenticabili sono le sue espressive sopracciglia nere) non ha cultura né interessi ed ha l’unica qualità di essere un uomo “gentile”. Ritiene che tanto basti a vivere decentemente. Ma il suo migliore amico Colm (Brendan Gleeson, potente presenza di poche parole) si rende conto che per dare un significato alla propria esistenza bisogna fare un salto di qualità, componendo per i posteri una musica irlandese per violino. Per ottenere questo deve allontanare Padraic, che è sì un amico ma gli impedisce di concentrarsi sul suo intento. Talmente determinata è questa sua convinzione che promette di tagliarsi progressivamente le dita della mano destra, necessarie a usare il violino, ogniqualvolta Padraic gli rivolgerà ancora la parola. Il racconto, su un registro tra l’umoristico e il tragico, verte sull’incapacità di Padraic di rendersi conto di quanto Colm faccia sul serio, pensando dapprima ad uno scherzo e poi essendo travolto dalla determinazione di Colm, che gli rinfaccia di essere una persona assolutamente noiosa.
Padraic non si capacita di questa accusa, chiede conferme alla sorella Siobhán, si confronta con lo stupido del paese vessato dal violento padre poliziotto, ma non risolve i suoi dubbi. Niente in effetti è più mortificante del rifiuto di Colm e niente può distoglierlo dal pensiero di volere riconquistare la sua stima.
Tanto quanto Colm scatena il proprio narcisismo in maniera autodistruttiva amputandosi paradossalmente le dita con le quali crea le proprie opere, e quindi in ultima analisi orgogliosamente punendosi per le proprie ambizioni, Padraic invece passa dalla remissività dell’essere naturalmente gentile al suo opposto, diventare cattivo e violento. Come Kohut ci insegna, la rabbia narcisistica può manifestarsi in molti modi, ma in tutti vi è una forma tangibile di violenza. Tale reazione si manifesta nel momento in cui il narcisista si sente profondamente offeso, ignorato o deluso.
Quando la sorella, stanca della psicopatologia di tutto il mondo maschile che la circonda, alla fine se ne va (confermando che "gli irlandesi sono nati per emigrare” come sottolineato nel film Belfast), e quando l’unica fonte di amore comunque possessivo – ovverossia l’asinella che si porta in casa – scompare anch’essa per una morte indirettamente dovuta a Colm, la rabbia distruttiva di Padraic esce allo scoperto, con l’effetto di produrre una distruzione della quale non vedremo la fine.
Ovviamente a tutto ciò contribuisce l’isolamento e la povertà delle genti e in buona parte anche l’alcol delle birre, rivelatore di qualità nascoste ma anche motore di agiti incontrollati conseguenti alle frustrazioni subite. Il ritratto tutt’altro che idilliaco di uomini poveri e semplici, ma terribilmente ostinati e orgogliosi, è inserito nel contesto della guerra civile irlandese del 1922-23 che infuria al di là dello stretto di mare che separa l’isoletta dalla terraferma d’Irlanda e che vede spietatamente contrapposti cattolici e protestanti, ma soprattutto persone che poco tempo prima erano state amiche (proprio come Colm e Padraic). Tutto questo definisce una storia che pur racchiusa in vicende locali, assurge al significato di una epopea dell’incapacità degli uomini (intesi come genere maschile) a gestire i propri narcisismi feriti se non con la violenza. Una lezione con la quale le donne, vittime spesso di femminicidio, devono fare continuamente i conti.
Nel mondo primitivo, isolato, desolato di un isola al largo dell’Irlanda nel 1923, uomini vivono del latte delle poche vacche portate a pascolare e della birra scolata al pub. Padraic (Colin Farrell, indimenticabili sono le sue espressive sopracciglia nere) non ha cultura né interessi ed ha l’unica qualità di essere un uomo “gentile”. Ritiene che tanto basti a vivere decentemente. Ma il suo migliore amico Colm (Brendan Gleeson, potente presenza di poche parole) si rende conto che per dare un significato alla propria esistenza bisogna fare un salto di qualità, componendo per i posteri una musica irlandese per violino. Per ottenere questo deve allontanare Padraic, che è sì un amico ma gli impedisce di concentrarsi sul suo intento. Talmente determinata è questa sua convinzione che promette di tagliarsi progressivamente le dita della mano destra, necessarie a usare il violino, ogniqualvolta Padraic gli rivolgerà ancora la parola. Il racconto, su un registro tra l’umoristico e il tragico, verte sull’incapacità di Padraic di rendersi conto di quanto Colm faccia sul serio, pensando dapprima ad uno scherzo e poi essendo travolto dalla determinazione di Colm, che gli rinfaccia di essere una persona assolutamente noiosa.
Padraic non si capacita di questa accusa, chiede conferme alla sorella Siobhán, si confronta con lo stupido del paese vessato dal violento padre poliziotto, ma non risolve i suoi dubbi. Niente in effetti è più mortificante del rifiuto di Colm e niente può distoglierlo dal pensiero di volere riconquistare la sua stima.
Tanto quanto Colm scatena il proprio narcisismo in maniera autodistruttiva amputandosi paradossalmente le dita con le quali crea le proprie opere, e quindi in ultima analisi orgogliosamente punendosi per le proprie ambizioni, Padraic invece passa dalla remissività dell’essere naturalmente gentile al suo opposto, diventare cattivo e violento. Come Kohut ci insegna, la rabbia narcisistica può manifestarsi in molti modi, ma in tutti vi è una forma tangibile di violenza. Tale reazione si manifesta nel momento in cui il narcisista si sente profondamente offeso, ignorato o deluso.
Quando la sorella, stanca della psicopatologia di tutto il mondo maschile che la circonda, alla fine se ne va (confermando che "gli irlandesi sono nati per emigrare” come sottolineato nel film Belfast), e quando l’unica fonte di amore comunque possessivo – ovverossia l’asinella che si porta in casa – scompare anch’essa per una morte indirettamente dovuta a Colm, la rabbia distruttiva di Padraic esce allo scoperto, con l’effetto di produrre una distruzione della quale non vedremo la fine.
Ovviamente a tutto ciò contribuisce l’isolamento e la povertà delle genti e in buona parte anche l’alcol delle birre, rivelatore di qualità nascoste ma anche motore di agiti incontrollati conseguenti alle frustrazioni subite. Il ritratto tutt’altro che idilliaco di uomini poveri e semplici, ma terribilmente ostinati e orgogliosi, è inserito nel contesto della guerra civile irlandese del 1922-23 che infuria al di là dello stretto di mare che separa l’isoletta dalla terraferma d’Irlanda e che vede spietatamente contrapposti cattolici e protestanti, ma soprattutto persone che poco tempo prima erano state amiche (proprio come Colm e Padraic). Tutto questo definisce una storia che pur racchiusa in vicende locali, assurge al significato di una epopea dell’incapacità degli uomini (intesi come genere maschile) a gestire i propri narcisismi feriti se non con la violenza. Una lezione con la quale le donne, vittime spesso di femminicidio, devono fare continuamente i conti.
0 commenti