manchi a questa bocca che cibo più non tocca
(U. Tozzi[1])
Gloria è una bambina di 13 anni, dalla statura piccola, molto più piccola della norma. E’ affetta da Sindrome di Turner, che comporterebbe un ritardo psico-fisico non troppo evidente soprattutto dal punto di vista psichico; ma il suo ritardo è enorme.
Non parla, non cammina, se un adulto non le tiene la mano, non ha il controllo dei bisogni fisiologici, non mangia se non imboccata, non fa praticamente niente.
Prima di arrivare al centro Ginestra[2] ha frequentato altre istituzioni, come ha fatto sempre, e, anche dopo il suo arrivo, ha continuato la logopedia e la psicomotricità, peraltro in due città diverse.
Alla Ginestra, inizialmente, frequentava i laboratori di logopedia e di fisioterapia, in seguito alla segnalazione della neuropsichiatra e alla diagnosi dello psichiatra responsabile, è stata inserita nei nostri laboratori.
La madre l’ha partorita a quarantuno anni, il fratello ha diciannove anni e non sembra avere grossi problemi, sta terminando le superiori. Le richieste della mamma di Gloria sono tante, continue e, soddisfarle, non l’accontenta, quasi mai.
E’ una mamma che sa tutto della figlia.
Il padre parla poco, è la moglie a parlare, anche quando chiedo direttamente a lui. La figlia sembra particolarmente legata al padre, nelle moine.
Gloria a cinque anni ha cominciato a camminare mentre il fratello suonava il piano.
Ha parlato per un breve periodo, poi ha smesso. Secondo la mamma in quel periodo diceva: mamma, babbo, oooooh, che sempre secondo la mamma, vuol dire no.
Frequenta la prima elementare. Non è mai andata a scuola prima perché la madre non la riteneva capace di svolgere le attività scolastiche.
La madre ha deciso l’orario in cui la bambina va a scuola e l’orario dell’insegnante di sostegno. Ha anche deciso di non portarla mai a scuola un giorno a settimana, in cui accompagna invece la bambina a yoga[3].
Nelle prime sedute di psicomotricità e logopedia era stato osservato che la bambina smetteva di piangere solo quando le terapiste non le davano più attenzione.
Dalla relazione di queste terapie si evince che la bambina sta sempre accasciata sul tappeto col viso rivolto a terra. Presenta delle stereotipie:
- muove le mani davanti ai suoi occhi
- sbatte la testa a intervalli regolari dove capita (tappeto, sedia, tavolo… )
- quando è più agitata si morde le mani e tira i capelli
- tamburella le dita sul tavolo. (…)
Cammina in maniera scoordinata, con poco equilibrio, in quanto va a cercare sempre punti d’appoggio (tavolo, muro, le mani delle terapiste…)”
Ma quando fa i laboratori con noi al Centro La Ginestra non è autolesionista e non sbatte la testa sul tavolo o altrove.
Questo perché tento di dirigere i laboratori e gli operatori che lavorano con me secondo la logica della pratique à plusieurs, iniziata da Antonio Di Ciaccia, con la fondazione dell’Antenne 110, più di 40 anni fa, a Bruxelles.
La psicoanalisi ci insegna che ogni essere umano ha a che fare con la parola, anche se apparentemente non parla, e “ci indica che tutte le strutture umane sono dell’ordine del linguaggio, quindi, per prima cosa, il bambino autistico richiede un’istituzione, che è quella del linguaggio, che faccia funzionare il suo proprio mondo. Quindi, paradossalmente anche tutte le istituzioni concrete (…) devono essere conformi alla struttura di linguaggio ”[4].
In questo modo i bambini autistici si reperiscono meglio, e sono più tranquilli. I bambini autistici diventano molto aggressivi, quando qualcosa nell’ambiente in cui vivono non rientra in questo quadro, non è conforme alla struttura di linguaggio.
Ai laboratori, poi, dopo pochissimo tempo, Gloria prende a camminare da sola dritta e senza aiuto. All’inizio, quando faceva in modo di appendersi alle mani, abbiamo incominciato a prendercela con la nostra mano ‘appiccicosa’, con noi o col regolamento che dice agli operatori di evitare di camminare tenendoci per mano.
A pranzo ‘insiste’ perché la si imbocchi come fa la madre. Proviamo a dire che non possiamo farlo, che lei, se vuole, può mangiare da sola. Ma all’inizio, niente.
Dopo due mesi mangia qualcosa con le mani e incomincia a fare dei vocalizzi (ohhh, ahhh).
Le crisi di pianto si diramano e si assottigliano, anche se non sempre ne capiamo il motivo scatenante, sicuramente qualcosa del funzionamento istituzionale non tiene conto delle leggi del linguaggio, e più in generale, non si sta procedendo per logica.
Gloria partecipa al gioco della palla, ma ci mettiamo sempre un po’ perché si sollevi da terra; anche perché dobbiamo faticare contro l’idea (nostra!) di ‘sacco vuoto’, Gloria si presenta così, come se l’Altro gli impedisse perfino di sollevare la testa.
Anche all’atelier di ballo qualcosa comincia a muoversi; una volta, le terapiste ripetono i suoi passi, ad un certo punto Rita le dice che è stata brava e che, se vuole, può insegnare anche alle altre operatrici. Così riprende a fare gli stessi passi anche con le altre.
E' colei con cui si vede di più quando si sta lavorando bene, con una posizione molto presente, molto sottomessa alla pratica, ma anche con la distrazione dovuta. Gloria ci insegna il rigore delle regole. Ad esempio, negli appunti dei laboratori trovo: … ha tirato la palla più volte, nel momento in cui si è imposta la regola di giocare in piedi, lei non ha più tirato la palla oppure la prendeva, si rimetteva seduta e la tirava. Ribadita la regola, si è alzata, è andata verso il muro e ha girato le spalle. Si vede bene il rigore della bambina che ‘prova’ a spiegarci come le regole non si possono improvvisare, perché rischiano di sembrare il capriccio degli operatori.
Nel Seminario V, Lacan ci indica che l’essere umano si muove su due coordinate, della realtà e del simbolo. Più il bambino si situa anche al livello del simbolo, più può muoversi nella realtà.[5]
Siccome nel bambino autistico le due coordinate coincidono, il lavoro deve ampliare lo spazio al livello del simbolo, in qualche modo, della funzione paterna; perché, anche sul livello della realtà, ci sia uno spostamento. La possibilità, per Gloria, di spostarsi dalla posizione di essere oggetto della madre.
La madre ha deciso però di ritirarla dai laboratori; continuerà a portarla a logopedia, psicomotricità, fisioterapia e yoga, oltre che a scuola, quando decide lei.
Antonio Di Ciaccia, I bambini autistici: cosa ci insegnano, conversazione sulla pratique à plusieurs; organizzata dall’Antenna del Campo Freudiano di Pisa e l’Antenna 110 di Bruxelles, Pisa, 9 gennaio 2016.
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