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Ha ancora senso pubblicare Riviste?

27 Feb 22

A cura di Davide D'Alessandro

Mi sono sempre chiesto, in questi anni di sconsolante grigiore culturale, se avesse ancora senso pubblicare Riviste, se valesse ancora la pena mettere insieme comitati scientifici per elaborare saggi, articoli e recensioni seguendo un tema, un filo logico, un sistema teorico di riferimento. Poi, ogni semestre, apro “attualità Lacaniana”, la Rivista della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano diretta da Loretta Biondi, edita da Rosenberg&Sellier, e dico che bisogna mettercela tutta per non svanire, per continuare a essere presenti, per offrire al lettore, colto o meno colto, di settore o semplice curioso, l’occasione di scoprire orizzonti vecchi e nuovi, di inoltrarsi nel pensiero degli altri, per aprire ulteriori confronti e discussioni.
L’ultimo numero, davvero ben fatto, ha per titolo “Transizione”. Scrive Monica Vacca nell’editoriale: “Il numero 30 di ‘attualità Lacaniana’ titola ‘Transizione’. Transizione, dal latino ‘transitio-onis’, derivato di ‘transire’, ossia passare. Passare, sia in senso statico sia dinamico, da un modo di essere o di vivere a un altro, da uno stato a un altro, da una condizione a un’altra, da un paradigma a un altro. Transizione risuona come un significante padrone della nostra epoca. Transizione ecologica, transizione energetica, transizione politica, transizione digitale, transizione delle democrazie, transizione da un sesso a un altro…”.
Passando da una sezione all’altra, transitando da una sezione all’altra, c’è la possibilità di ammirare “Madre Donna” di Jacques-Alain Miller ma, soprattutto, di incontrare tanta effervescenza intellettuale che si esprime attraverso collaboratori di livello. Chi si occupa della transizione del linguaggio, chi dei luoghi del femminile, chi di psicoanalisi al futuro, chi di Lacan e della disgiunzione tra sapere e potere, chi immancabilmente del Covid-19 tra malattia del corpo-anatomico e sintomo del corpo parlato, chi dei desideri in transizione, chi del divenire delle relazioni, chi della transizione dell’informe, chi del vuoto, chi della vertigine delle biotecnologie. Non è possibile citarli tutti, ma è necessario soffermarsi nella lettura di ognuno per cogliere una ricchezza di sapere mai scontata, uno sforzo apprezzabile di condurre il lettore per mano in una riflessione sull’ontologia del presente, sempre così articolato e sfuggente.
Ecco a cosa serve una Rivista. A fermare la corsa, a sostare per favorire una meditazione su un tema, sui temi che fanno della vita il nostro tema non aggirabile, non eludibile. C’è un passo di Antonella Anedda posto in esergo: “Eppure non ha senso rimpiangere il passato, provare nostalgia per quello che crediamo di essere stati. Ogni sette anni si rinnovano le cellule: adesso siamo chi non eravamo. Anche vivendo – lo dimentichiamo – restiamo in carica per poco”. Non è bellissimo?
 

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