L'ultimo film di Nanni Moretti può prestarsi a molte letture. La trama è focalizzata sul rapporto tra potere e responsabilità e il finale è una accettazione e per certi versi un elogio della fragilità e dei limiti dell'individuo. Il racconto è coerente e si collega al soggetto del Caimano; anche in quel film il protagonista, Silvio Orlando, non riusciva a dare un significato ai cambiamenti nella sua vita privata provocati dalle “novità” culturali nel campo della famiglia, del lavoro e della politica. In Habemus Papam sono accentuate le incertezze del protagonista che nel finale trova la forza per il rifiuto. La rinuncia del potere viene attuata in un'istituzione, la chiesa, descritta come la più radicata e stabile o forse che tende a dare di sé, mediaticamente, una immagine monolitica. Questa descrizione, sostenuta da una folla plaudente e dall'interesse delle televisioni contrasta con numerosi precedenti storici e non parlo solo di quelli Danteschi. Non sono passati molti anni dai dubbi laceranti che hanno accompagnato il pontificato di Paolo VI e della morte di Papa Luciani, schiacciato dal mandato pontificio. Il potere religioso saldo e senza dubbi sembra una costruzione e una rappresentazione mediatica e la crisi del papa neoeletto rende i fedeli sconcertati e lascia ammutoliti i giornalisti che vogliono risposte immediate e non riescono a dare un senso a un avvenimento inaspettato. Assistendo alla beatificazione di Wojtyla è lecito chiedersi cosa sia diventata la chiesa televisiva; la rappresentazione mediatica ottiene grandi ascolti, ma dubito che spinga alla fede, ma trascina a un rapporto superficiale con la trascendenza. Fuori dal Vaticano le cose non vanno meglio e il neo eletto Melville vaga spaesato per Roma. Incontra casualmente una compagnia che prepara un testo di Cechov, “il gabbiano”, la rappresentazione dell'irraggiungibilità dei desideri e dell'impossibilità a dare un valore alla vita. Non a caso Melville lo conosce a memoria. La recita sulla fragilità e sulla infelicità sembra dare pace al neo papa. La narrazione è terapeutica, come ben sappiamo.
Ma lasciamo un'analisi globale del film ai critici. Su un sito di psichiatria è corretto parlare di argomenti di nostra competenza. La psichiatria entra come coprotagonista nella storia ed è lecito chiedersi quali reazioni suscita lo psichiatra di Moretti e in particolare che immagine fornisce il film degli strumenti terapeutici. Il bravo Michel Piccoli nei panni del papa neoeletto manifesta un attacco di panico, accompagnato da sintomi di tipo depressivo. L'attore rappresenta con molta finezza il suo spaesamento, il suo disagio e le conseguenze invalidanti dell'angoscia. Come un faro della scienza entra in Vaticano lo psichiatra Moretti, il più bravo, e offre della nostra specialità una rappresentazione che definire caricaturale è riduttivo. Mi sono sentito profondamente a disagio chiedendomi se questa immagine è solo funzionale alla storia o indica una critica più profonda. Moretti è una persona colta, che ha un notevole ascendente culturale ed è informato sulle scienze della mente. Tornando alla storia, entrato in conclave lo psichiatra inizia il dialogo con il povero Melville, con una arroganza e supponenza tale che spingerebbe qualsiasi paziente a scappare a gambe levate. Con una versione caricaturale della psicoanalisi fa capire che non può svolgere bene il suo lavoro perché non è possibile affrontare problemi sessuali o chiedere com'era il rapporto di Melville con la mamma. Non approfondisce il significato dell'elezione al seggio pontificio. Viene fornita un'immagine della psicoterapia tutta condizionata dal “tunc et alibi”, da un passato “rimosso”, molto suggestivo sotto un profilo letterario, ma che lascia uno spazio illimitato alle fantasie del terapeuta. In poche scene Moretti assesta un colpo alla psicoanalisi freudiana “classica” o almeno come viene rappresentata nei media, tutta sesso e complesso edipico. Lo stesso atteggiamento di supponenza è assunto in maniera “materna” dalla seconda psicoterapeuta, Margherita Buy che mette alla base della crisi di Melville “il deficit di accudimento”. Con questa notazione ironica vengono liquidati psicoanalisti come Bowlby, Stern, Lichtemberg, Fonangy (per citare solo i più noti) che hanno cercato di costruire una teoria dall'osservazione del bambino e del rapporto madre e neonato. Naturalmente il povero cardinale continua a vagare per Roma. Come ho detto la narrazione è terapeutica, ma deve partire dalla sofferenza e dall'ascolto dell'altro, non dal sovrapporre nostre teorie a quanto ci viene mostrato. L'incontro terapeutico avviene al di fuori di un rapporto professionale con un'assonanza tra la sofferenza del cardinale e un'analoga angoscia di un attore impegnato ne “il gabbiano” di Cechov. L'attore è in crisi, ma questo non è un impedimento, anzi è il fondamento di una comunicazione che tranquillizza Melville che nella compagnia teatrale sembra acquisire una maggior serenità.
Stern il caposcuola del “deficit di accudimento” ha teorizzato in recenti lavori i WFM (weird fucking moment, strano fottuto momento) momenti imprevedibili e bizzarri, carichi di disagio o tensione da parte di paziente e terapeuta, che costituiscono dei punti di svolta per la terapia. È un'opinione in contrasto con la psicoterapia intesa come scienza dell'interpretazione e quindi una critica allo psichiatra Moretti tutto teso a spiegare la crisi del Papa con eventi remoti, infantili, possibilmente edipici. In una relazione terapeutica devono innescarsi momenti di forte tensione emotiva, spesso in maniera anche casuale tra due persone che si sintonizzano profondamente. Questo accade per Melville con un non tecnico, complice Cechov, mentre il nostro “più bravo” psichiatra per dimostrare la sua abilità, organizza un progetto riabilitativo basato su partite di pallavolo, per i cardinali senza una guida e spaesati nel conclave. Chi ha lavorato in psichiatria ha ben presente le squadre di pallavolo o di calcio (o di altri sport …) che ottengono lo stesso risultato del torneo Vaticano, rendendo più attivi i pazienti e creando un legame leggero e allegro e fuori dai ruoli con gli operatori. Anche il saccente psichiatra si lascia coinvolgere dal gioco e diventa meno antipatico. Forse non è un Freudiano ortodosso, ma è anche appassionato di Winnicott e della funzione terapeutica del gioco. Il torneo però termina e i cardinali si recano alla ricerca del papa e con un esame di realtà invasivo lo riportano al suo ruolo. Il recupero di Melville tronca brutalmente la rappresentazione teatrale. Il film termina con Melville che esprime la sua incapacità ad assumere la funzione del Papa e con un'espressione di difficile interpretazione si chiude in un profondo silenzio. In conclusione come si presenta la psichiatria? La mia prima reazione è stata d'irritazione perché quella di Moretti sembra una visione eccessivamente tagliente della cura per la sofferenza psichica, con un eccessivo peso dato alla psicoanalisi come intervento primario. Anche la psicoanalisi non ne esce bene ed è trattata con un eccesso d'ironia. L'intervento terapeutico, il contatto con la sofferenza del papa avviene con un attore un po' suonato e in particolare con il testo di Cechov che mostra l'impossibilità di risolvere il disagio individuale e l'assenza di soluzioni. Di fronte al fallimento della psichiatria e in particolare di fronte alla Buy che insisteva sul difetto di accudimento mi sono sentito sconsolato. Ma poi ho pensato e riflettuto a lungo (in questo aiuta una formazione psicoanalitica …). Questo è un film sul potere e sulla responsabilità e sui limiti e sulla fragilità. Forse dobbiamo imparare dal film (e da Stern…) evitando teorie forti ed esplicative e ascoltando il paziente nel qui e ora, cercando una sintonizzazione senza troppi pregiudizi. L'ironia di Moretti non è sulla psichiatria, ma su un'immagine “forte” della nostra professione. Anche noi dobbiamo rinunciare al potere, che spesso è illusorio. Concludo con una domanda. Possiamo considerare Melville un ammalato che ha bisogno di una cura? La psicologia evoluzionistica considera il panico un meccanismo radicatosi nel corso dell'evoluzione, che tutela l'individuo di fronte ai pericoli del mondo e quindi è una risposta adattativa rispetto a un ambiente che è percepito come ostile. Il corpo attraverso l'ansia ci invita a tornare nelle nostre sicurezze. Come dice la canzone, tutto cambia e quindi è naturale che il cambiamento venga percepito come pericoloso e perturbante. Forse nel conclave si è creato un conflitto tra le scelte dello Spirito (Santo) e le debolezze della mente incarnata. Melville nella sua rinuncia si è avvicinato al Cristo e al suo corpo martoriato. Non mi sembra che questa scelta abbia a che fare con la malattia.
TUTTO CAMBIA
Cambia ciò che è superficiale
e anche ciò che è profondo
cambia il modo di pensare
cambia tutto in questo mondo.
Cambia il clima con gli anni
cambia il pastore il suo pascolo
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.
Cambia il più prezioso brillante
di mano in mano il suo splendore,
cambia nido l'uccellino
cambia il sentimento degli amanti.
cambia direzione il viandante
sebbene questo lo danneggi
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia.
Cambia il sole nella sua corsa
quando la notte persiste,
cambia la pianta e si veste
di verde in primavera.
Cambia il manto della fiera
cambiano i capelli dell'anziano
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.
Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi,
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.
E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.
Cambia, tutto cambia…
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