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HOUSE OF CARDS E L’OSSO DEL FANTASMA

30 Gen 17

A cura di annalisapiergallini

“Nessuno che impari a pensare può tornare a obbedire come faceva prima, non per spirito ribelle, ma per l'abitudine ormai acquisita di mettere in dubbio ed esaminare ogni cosa"
(Hannah Arendt)
“Il principio di piacere si esercita in modo non meno reale del principio di realtà (e penso perfino che l’analisi sia fatta per dimostrarlo)”
(Jacques Lacan)[1]
 

“Non si può morire di turbina, la nostra parrocchia di Castignano ce l’ha e non stiamo ai piedi del Gran Sasso. Chiedo con tutto il cuore a chi di dovere: questi soldi, ma subito, spendiamoli per le cose che servono, non sciupateli, non ve li mangiate”.
Questo è il parroco di Castignano (AP), al funerale stracolmo di Marco Vagnarelli e Paola Tomassini, la coppia morta nella valanga all’Hotel Rigopiano.
“Due morti inutili, basta, siamo stanchi”.
 
E’ il male turpe che si fa per interesse personale.
C’è anche un altro tipo di male, ce lo spiega la Arendt[2], quello dovuto all’ubbidienza, che ha permesso il fascismo e altri fenomeni, anche quotidiani. E un terzo tipo di male, quello di cui parla
Bataille, “l'attrazione disinteressata verso la morte”, il male di cui scrivono Rimbaud, Baudelaire, Sade, Kafka, Genet…
Il primo tipo di male, quello a proprio vantaggio, quello contro cui giustamente si scaglia il parroco di Castignano, è lo stesso che procura Underwood, il protagonista di House of Cards, una serie TV statunitense.
Prima serie TV-online a ricevere tante nomination (Golden Globe, Emmy Award), l'episodio pilota di House of Cards è stato diretto da David Fincher nel 2011, con Beau Willimon come sceneggiatore e Spacey come protagonista e produttore esecutivohttps://it.wikipedia.org/wiki/House_of_Cards_-_Gli_intrighi_del_potere
La serie, amata anche da Barack Obama, da Clinton e da Renzi, è un adattamento della miniserie anni ’90 della BBC, ispirata alla trilogia a sfondo politico di Michael Dobbs , ex capo dello staff del Partito Conservatore sotto Margaret Thatcher, dal 1986 al 1987, ultimo anno di vittoria della Thatcher, e più tardi vicepresidente del partito, dal 1994 al 1995.
L'intera prima stagione, da tredici episodi, è stata resa disponibile nel 2013 sul servizio streaming on demand Netflix. Il debutto della quinta stagione è previsto per il 24 Febbraio 2017, ma lo sceneggiatore Beau Willimon ha deciso di lasciare la serie.
Ambientata oggi a Washinton, House of Cards segue le vicende di Franck Underwood (Kevin Spacey), un democratico eletto nel quinto distretto congressuale del South Carolina e capogruppo di maggioranza della Camera.
Dopo essersi visto sottratto il posto da Segretario di Stato, che il neopresidente gli aveva promesso, tesse la sua vendetta. Inizia un giro di intrighi per giungere ai vertici del potere americano. La moglie, Claire (Robin Wright), lo aiuta nel suo piano.
Il protagonista di House of cards, Underwood, sottomette o estromette. Non importa quanto siano etici i personaggi, se non sottomette comprando, ricatta o inganna. Ricorre anche alla provocazione calcolata, come col Sindacalista degli insegnanti, alla menzogna, alla manipolazione, anche passando attraverso un’altra persona, o due, come Doug e Rachel.
A volte gli credono, a volte no. Davanti a Linda, Underwood dice la verità: “Sì, io voglio essere nominato vicepresidente e ho aiutato tuo figlio ad entrare al collage per avere da te…” Poi Franck si rivolge a noi: “lei vuole sentirsi dire queste parole.”
Sfrutta, usa, anche quando ama, o qualcosa del genere, come fa con la moglie, Claire, o con il suo vecchio amico-amante.
“Forse la vita potrebbe darmi qualcosa in più” dice Claire, quando scappa da Adam, il fotografo di successo, s’intende. Claire voleva essere una che conta, ma a questo era già arrivata.
Qui c’è una brusca, agghiacciante, svolta noir: Franck uccide Peter Russo, dopo averlo fatto ricadere nell’alcolismo via Doug e Rachel.
Franck, o come lo chiama solo Claire, Francis, usa il presunto suicidio di Peter per mandare alla moglie l’sms giusto che la fa decidere a tornare.
E’ emblematico quando dice ad Adam “Chiedimi continuamente cosa ho e cosa penso”. Lui si rifiuta, mentre Francis ascolta le sue parole, sempre con la risposta pronta per adularla.
Non avrà qualcosa in più, Claire, ma non perderà quello che conta, per lei: contare.
 “ …effetto di jouissance: e chi non ha il senso che chi ne tocca i fili gode?[3]
 “Stiamo restituendo il favore” dice Claire, che sa fare quel gioco, comunemente anche detto scambio di favori.
Solo al presidente, Underwood, dà sempre ragione. Il suo gioco è distruggere sistematicamente chi lo ostacola per l’occupazione del posto al di sopra di lui, all’inizio della serie, punta a quello di vicepresidente.
L’altro, per Franck, è già nemico, poco di più dopo l’omicidio. La serie è lui. E lui siamo noi. Siamo noi quelli a cui parla.
Non accetta di essere manipolato, non accetta di essere l’oggetto della manipolazione, si pone alla pari, mantenendo la sua indipendenza, che poi usa solo per i suoi fini. “Ho accettato di lavorare con te, non per te.” Dice a Raymond Task, ma in realtà lavora anche contro di lui.
Ci dice: “Sono diventato vicepresidente e non un solo voto mi è favorevole, la democrazia è sopravvalutata.”
La lotta è tra lui e Dio. Del resto non c’è nessuno sulla terra che sia veramente degno della sua attenzione, se non chi gli si para davanti, come un ostacolo, o come uno strumento. Essenzialmente l’altro rimane oggetto, anche un oggetto di godimento, ma raramente, di solito deve occuparsi di ostacoli e strumenti.
Claire cerca la violenza, fisica, senza riuscirci, Franck non si lascia andare alla violenza, non quella inutile o dannosa per lui.
Guardando House of cards sembra sia impossibile simpatizzare con il protagonista, invece una specie di simpatia, perversa come lui, arriva alla terza serie. Forse proprio dopo che gli cade il crocifisso addosso, fatalità. In effetti lì fa quasi pena. Fa prendere una tale malinconia, come quando urina sulla tomba del padre.
Gli unici momenti, in cui è vero, li ha con degli oggetti, per quanto sacri, una tomba e un crocifisso. E noi siamo gli unici testimoni.
Le perversioni, dice Lacan nel Seminario IV, realizzano l’al di là dell’immagine dell’altro, caratteristica della condizione umana, ma solo in “momenti sincopati all’interno della storia del soggetto.”[4]
Durante il passaggio all’atto, qualcosa viene realizzato. “Ma tale unità non può mai essere realizzata se non nei momenti che non sono ordinati simbolicamente.”[5]
La castrazione instaura la necessità della frustrazione e la trascende. Una privazione può essere concepita solo da chi articola qualcosa al livello simbolico.[6]
“L’ingresso nella frustrazione, in una dialettica che la situa legalizzandola e che le dà anche la dimensione della gratuità, è una condizione necessaria allo stabilirsi di quell’ordine simbolizzato del reale in cui il soggetto saprà, ad esempio, ammettere certe privazioni permanenti.”[7]
Niente è analizzabile se non entra nel circuito simbolico.
Come viene illustrato già nell’analisi-non analisi della giovane omosessuale di Freud[8], nel fantasma perverso c’è una riduzione simbolica della struttura articolata in cui il soggetto si trova inserito “fino a un residuo completamente desoggettivato”[9], ed enigmatico. Tutti gli elementi ci sono, ma ciò che è significazione, cioè relazione intersoggettiva, è perduto.
Così per Franck Underwood, lucido pazzo di potere: oggetto che simbolizza il fallo[10], l’osso del fantasma. La parola è del soggetto, ma rimane nell’Altro, è lì l’inconscio e il rimosso[11]. Lui senza potere è nulla, come nulla era il padre.
Dice Claire: “Non serve a niente strigliarlo in quella maniera, è come prendersela con un serpente perché ha i denti”.
 
Foto: assemblaggio di Vincenzo Lopardo.
 

 
 
 
 
 
 



[1] J. Lacan, Le Séminaire IV. La relation d’objet 1956-57, trad.it. Einaudi, Torino, 1996, p. 30.
[2] H. Arendt, La banalità del male 1963, Feltrinelli, Milano.
[3] “…effetto di jouissance: e chi non ha il senso che chi ne tocca i fili gode? Solo il santo resta a secco: andata buca (…) Il santo è lo scarto del godimento. A volte però fa uno scarto, non s’accontenta più di chiunque altro. Gode. Tempo in cui non opera più. Non che i maliziosetti non stiano a spiarlo per tirarne conseguenze atte a farli rigonfiare anche loro. Ma il santo se ne frega, come pure di coloro che vedono in ciò la sua ricompensa. Cose da sbellicarsi (…) il che non vuol dire che non abbia morale. Il solo guaio per gli altri è che non si vede dove ciò lo porta” da J. Lacan, Radiofonia Televisione, Einaudi, Torino, 1982, p. 77.
[4] J. Lacan, Le Séminaire IV. La relation d’objet 1956-57, trad.it. Einaudi, Torino, 1996, p. 88.
[5] Ibidem, p. 89
[6] Ibidem, p. 104.
[7] Ibidem, p. 106.
[8] S. Freud, “Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile”.
[9] J. Lacan, Le Séminaire IV. La relation d’objet 1956-57, trad.it. Einaudi, Torino, 1996, p. 126.
[10] Ibidem, p. 90.
[11] Ibidem, p. 127.

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2 Commenti

  1. gabrielli.arianna

    Grazie ad Annalisa
    Grazie ad Annalisa Piergallini per aver dato”voce” a due temi di cui si parla troppo poco: l’etica e la perversione.
    I due ultimi articoli, quelli che per ora ho letto, sono sublimi.
    Arianna

    Rispondi
    • annalisapiergallini

      Grazie Arianna, troppo
      Grazie Arianna, troppo buona.
      Mi chiedevo proprio oggi ma come mai continuo a volere parlare di psicoanalisi etica e, di necessità, di perversione?
      E’ anche un modo per curarmi, soprattutto quel tratto di perversione che c’è in ognuno, e che la contemporaneità favorisce, che sia declinato come per Francis Underwood o come la giovane omosessuale… strutturalmente siamo lì.

      Rispondi

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