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I CRIMINI DELL’ODIO

15 Gen 17

A cura di Sarantis Thanopulos

Secondo dati della Polizia di Londra e dell’Fbi, i crimini dell’odio (legati al pregiudizio nei confronti della diversità) hanno avuto una forte impennata dopo il referendum sulla Brexit e l’elezione di Trump. Sembra che, almeno in Gran Bretagna, questi crimini siano poi tornati ai livelli precedenti. Resta il fatto di una loro correlazione innegabile con due vittorie elettorali della xenofobia.
Indubbiamente sentirsi dalla parte dei più agisce come una legittimazione dell’aggressività nei confronti dei diversi (sul piano del colore della pelle, della religione, dei costumi, delle preferenze sessuali) e dei marginali. Pure come autorizzazione della sua estrinsecazione. Freud ha spiegato la trasmissione dei sintomi isterici (i fenomeni di “isteria” di gruppo) mediante un meccanismo di identificazione: tra più individui si stabilisce un legame per analogia su un punto (un’affinità psichica) e quando in uno di loro l’elemento comune estrinseca il suo potenziale patologico, la stessa cosa accade anche negli altri. La patologia si propaga come il fuoco tra oggetti infiammabili contigui.
Nel caso delle manifestazioni emotive morbose di massa della nostra epoca, la contiguità si stabilisce attraverso il processo di omogeneizzazione, indifferenziazione delle reazioni psicologiche che è tipico di un assetto psichico collettivo difensivo (come quello che sfocia nel rigetto della diversità). L’esplosione di un comportamento distruttivo in questo o in quell’altro individuo si trasmette facilmente ad altri individui parimenti vulnerabili, a condizione che questo comportamento, che agisce come detonatore di ulteriori e più violente esplosioni, abbia la risonanza necessaria. I mezzi di comunicazione agiscono da amplificatori in misura che va ben oltre il diritto all’informazione.
La violenza xenofoba (in modo analogo al terrorismo) è particolarmente redditizia nel mercato delle notizie. Cattura l’attenzione di tutti in modi complessi e contraddittori. Attiva sentimenti di compassione nei confronti delle vittime e agisce come argine delle proprie riserve nei confronti dell’alterità. Crea un sollievo per il fatto di sentirsi né carnefici né vittime. Su un piano più insano stimola un’identificazione inconscia con l’aggressore: meglio carnefici che vittime.
L’odio legato al pregiudizio si diffonde rapidamente, con il contributo indiretto dei mass media, a causa del suo carattere identitario. Produce un senso di appartenenza perverso che non riconosce le differenze e lo scambio ed è finalizzato a mantenere il soggetto che vi aderisce nel campo di una maggioranza indistinta, compatta, anonima. La preoccupazione sottostante è di finire -a causa delle proprie sensibilità, sofferenze e difficoltà personali- minoritari, messi ai margini. Si odia nel diverso la possibilità di essere “altro”, la tentazione di abbandonare abitudini e sicurezze collaudate per dare voce alle proprie inclinazioni più private e particolari, sperimentare altri modi di essere. Si odia il proprio desiderio che si identifica con il desiderio del discriminato, la compassione più sconveniente e insopportabile per chi sente il proprio privilegio, vero o presunto che sia stato, in stato di avanzata precarietà.
La fiammata di violenza nei confronti delle minoranze etniche e culturali, seguente all’ebbrezza di sentirsi confermati nella propria esigenza di essere dalla parte dei più, illumina il carattere esaltante, drogante della compulsione che guida il soggetto del pregiudizio. L’esigenza di ingannare, far tacere la sua doppia mancanza: il privarsi della parte più vera di sé nell’atto di privarsi dell’altro.

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