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I ribelli verso le precauzioni anti-contagio: lo “angelo” cattivo educatore secondo Baudelaire

12 Mar 20

A cura di Sabino Nanni

In quest’epoca di epidemia stiamo assistendo, da parte di alcune persone (giovani e meno giovani), a condotte sconcertanti. Le regole che dovremmo rispettare, per fermare il contagio da coronavirus, sono semplici, ripetute ossessivamente da tutti i media, e le loro ragioni sono facilmente comprensibili. Eppure non sono pochi quelli che continuano ad ignorarle: si organizzano feste, la gente si affolla davanti agli impianti sciistici, o davanti ai supermercati, o davanti ai campi sportivi dove la squadra del cuore si sta allenando. Come spiegare questi comportamenti? Alcuni si limitano ad esprimere un giudizio morale: “Questi individui sono degli egoisti, ed i loro comportamenti antisociali sono delinquenziali”. Oggettivamente lo sono, ma la spiegazione non è del tutto convincente: il vero delinquente, del tutto privo di riguardo per gli altri, ne ha in massimo grado per sé stesso. Qui, al contrario, la probabilità di contagiare è pari a quella d’essere contagiato; e quindi queste persone danneggiano anche sé stesse. Altri spiegano queste condotte assurdamente trasgressive in base alla scarsa intelligenza di chi le pratica: “Sono degli idioti!”. Alcuni lo sono, però ci sono molti che, in altri settori della loro vita, sono capaci di prestazioni che richiedono un QI superiore alla media. Che dire? Che fare? Riguardo a quest’ultimo quesito, nell’immediato, non c’è che una risposta (purtroppo): “Usare il pugno di ferro!”. Dico “purtroppo” perché nulla ci garantisce che un regime autoritario cessi d’essere tale appena ne vien meno la necessità. È quindi opportuno pensare ad una strategia che, sia pure a lunga scadenza, renda più facilmente evitabile la sottomissione ad un’autorità politica. Ciò richiede una spiegazione approfondita e convincente di queste irragionevoli forme di ribellione. Baudelaire, in una poesia intitolata, appunto, “Le rebelle”, ci offre un prezioso suggerimento:

 
Un Ange furieux fond du ciel comme un aigle,
Du mécréant saisit à plein poing les cheveux,
Et dit, le secouant : « Tu connaitras la règle !
(Car je suis ton bon Ange, entends-tu ?) Je le veux !
 
Sache qu’il faut aimer, sans faire la grimace,
Le pauvre, le méchant, le tortu, l’hébété,
Pour que tu puisses faire à Jésus, quand il passe,
Un tapis triomphal avec ta charité.
 
Tel est l’Amour ! Avant que ton cœur se blase,
A la gloire de Dieu rallume ton extase ;
C’est la Volupté vraie aux durables appas ! »
 
Et l’Ange, châtiant autant, ma foi ! qu’il aime,
De ses poings de géant torture l’anathème ;
Mais le damné répond toujours : « Je ne veux pas ! »

 

(Un Angelo piomba dal cielo come un’aquila, / afferra a pugno pieno i capelli del miscredente, / e gli dice, scuotendolo: “Tu conoscerai la regola! / (perché io sono il tuo buon Angelo, capisci?). Io lo voglio!

 

Qui l’Angelo (il genitore, l’educatore, il terapeuta, l’autorità politica) usa il “pugno di ferro”. Ciò può essere occasionalmente necessario, però Baudelaire ci mostra come possa sortire l’effetto opposto a quello desiderato. La spiegazione è che l’Angelo non si limita ad esigere un “comportamento” rispettoso della dignità altrui; pretenderebbe, al contrario d’imporre al miscredente un “modo di essere” (di pensare, di sentire) diverso da quello che gli è spontaneo; pretenderebbe di “obbligarlo” ad avvertire quei sentimenti che possono essere autentici solo se frutto di una scelta libera e spontanea: l’amore, la solidarietà, la fede. Pretende non solo (come è giusto) di dirigere quel che l’individuo “fa”, ma anche di plasmare con l’imposizione quel che l’individuo “è”.
Questo è proprio il problema di molti adolescenti (o tardo-adolescenti) inclini al ribellismo: trovarsi di fronte alla scelta drammatica (a volte tragica) fra l’essere “buoni” (ragionevoli, civili) e l’essere “veri”. Alcuni si sottomettono, e ne deriva un modo d’essere inautentico, fasullo: l’amore (il rispetto per gli altri, la solidarietà) imposto e ipocritamente proclamato non è vero amore. Altri si rivelano ribelli irriducibili, anche a costo di “dannarsi” e di non porre alcun freno a comportamenti antisociali, irragionevoli e autolesionisti.
In base alla mia esperienza trovo che si possa uscire da tale dilemma solo attraverso un’esperienza affettiva ed educativa di tipo correttivo: massimo rigore riguardo al controllo di quel che l’individuo “fa”, e massima e illimitata libertà interiore riguardo a quel che l’individuo “è”. Certi aspetti dell’animo umano (l’egoismo miope, la prepotenza, l’odio cieco) non possono essere soppressi con l’imposizione; si può e si deve, semmai, imporre che non si traducano in comportamenti. Possono, tuttavia essere controllati se, attraverso un processo di maturazione interiore, l’individuo arriva a contrapporre, a queste caratteristiche primitive, altre più evolute e mature: innanzi tutto la disposizione a rapporti di collaborazione ed al rispetto per gli altri, condizione indispensabile se si vuole essere rispettati. Ciò richiede che la libertà interiore sia incoraggiata e favorita; favorita anche dalla garanzia che, se l’individuo non riesce a controllare i suoi comportamenti, altri lo faranno al posto suo. 

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