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Il compleanno a Brokeback mountain: due modi di rappresentare l’omosessualità

18 Lug 13

A cura di Alberto Sibilla

Come avevo promesso a Manlio Converti ho guardato il film che mi aveva consigliato “Il compleanno” di Marco Filiberti del 2009. Seguendo il filo dei miei precedenti interventi sull’omosessualità ho rivisto anche “I segreti di Brokeback mountain” di Ang Lee del 2005. Mi sembra utile un confronto tra queste due visioni dell’omosessualità nella cultura americana e in quella italiana. In Brokeback mountain la scelta omosessuale avviene in due giovani in maniera quasi casuale, usando un termine romantico, per amore e diventa la ragione di vita per entrambi. I due ragazzi sono pieni di contraddizioni, con un passato di sofferenza, ma questo non sembra rilevante ai fini della loro scelta. I due ragazzi si sentono simili e il passato non assume caratteristiche psicopatologiche o esplicative. La vicenda è ambientata negli anni 60 e i due quasi stupiti, cercano di delimitare il loro rapporto e senza drammi si sposano e fanno dei figli, ma nonostante questo, il loro legame è più forte di tutto. La storia senza enfasi è ambientata in un ambiente omofobico: siamo nel Wyoming zona montana e rurale.  Con gli anni mentre l’amore non ha cedimenti, ma le convenzioni limitano il legame di coppia e inevitabilmente la storia si dirige verso il dramma finale con la morte di Jack, che dei due protagonisti era quello che accettava di meno di celare la sua natura.  Per la prima volta il tema dell'amore omosessuale è centrale in un film mainstream, ovvero rivolto ad un grande pubblico.  Non c'è traccia degli stereotipi gay tipici del cinema hollywoodiani, ma contemporaneamente rifiuta la provocazione gratuita, l'intento militante o didascalico. Per questi motivi ad apprezzarlo e ad identificarsi nella tragica storia è un pubblico più trasversale, al di là di età, sesso e sessualità. 
Completamente diversa è la storia del Compleanno, dove l’omosessualità del protagonista è scoperta in età matura e l’oggetto dei suoi desideri è un ragazzo bellissimo. Il film inizia con la scena operistica dell’amore folle fra Tristano e Isotta, però il regista abbandona Wagner per seguire la tradizione melodrammatica italiana.  Si tratta di passione senza se e ma. Il personaggio interpretato da Poggio, psicanalista quarantenne affermato e razionale, sposato felicemente cade progressivamente in un'inestricabile attrazione per David, figlio della sua migliore amica. L’attore protagonista dell’impeto sessuale recita costantemente sopra le righe, ha un’espressione che teoricamente dovrebbe essere di una persona passionale e innamorata, ma sembra l’espressione di un invasato. Sembra che fino al momento di vedere il ragazzo sia stato un eterosessuale moderatamente infelice, come tutti del resto.  Il disvelamento porta poi immediatamente alla morte della moglie del protagonista. Mi sembra una storia sopra le righe tutta giocata in un registro melodrammatico e non sembra facile identificarsi con il protagonista. Il film ha avuto un successo limitato a un pubblico di nicchia.
Ritorno agli USA e a come l’aids ha mutato la rappresentazione dell’omosessualità, citando una recente intervista di David Leavitt, noto scrittore gay (Ballo di famiglia, La lingua perduta delle gru) al Corriere della sera in occasione del riconoscimento del matrimonio omosessuale da parte di Obama.
«Di fronte a una catastrofe sterminata come l’Aids molti gay si sono rifugiati in stili di vita più conservatori. Abbiamo smesso di essere una parata folcloristica per diventare coppie e famiglie affiatate. Le coppie gay e lesbiche sono sempre esistite: nessuno si accorgeva di loro perché la sera stavano a casa invece di frequentare i club gay. Io conosco coppie omosessuali che sono insieme da oltre 60 anni. Marc ed io abbiamo festeggiato il nostro 21° anno insieme. Quando sarà possibile anche in Florida, ci sposeremo». 
Quello che cercavo di dire nei miei precedenti interventi era rilevare la svolta della rappresentazione dell’omosessualità dopo il periodo dell’AIDS. Si abbandonano gli aspetti vittimistici e folkloristici e gli omosessuali diventano parte integrante delle storie nei media. Abbandonare il vittimismo significa avere ben presente l’omofobia e cercare di evidenziarla e combatterla. Significa anche allargare il pubblico ai possibili omofobi per paura o ignoranza, senza giudicarli inferiori o alieni. Rinunciare all’intento militante richiede una descrizione degli omosessuali con le loro contraddizioni, con i loro limiti e i loro sentimenti senza cadere nell’agiografia cosi cara ai media italiani.
Penso che le caratteristiche della comunicazione siano fondamentali per risolvere gli stereotipi.  Forse attribuendo alla donna una caratteristica di accudimento sostenuta dall’ossitocina anche io ho usato una semplificazione. Cercavo di collegare questa caratteristica in un discorso più ampio introdotto dalle teorie neuro cognitive sulla psiche incarnata, cioè il continuo feedback del cervello con i vari stimoli prevalentemente chimici provenienti dal corpo. Ovviamente la psiche è in relazione anche con l’ambiente e da esso è continuamente modificata per cui nasce la domanda, da un milione di dollari: fino a che punto la cultura può modificare i comportamenti. Ho letto un articolo interessante su Psicoterapia e scienze umane sulla sfida delle famiglie omogenitoriali. Ne riparlerò la prossima volta con riferimento ai serial americani.
Un ultima considerazione sull’outing che può essere rappresentato in maniera leggera e ironica. Consiglio un film “The beginners” in cui un padre  settantacinquenne  ( Cristopher Plummer che ha preso l’Oscar per questa interpretazione) confessa al figlio di essere gay e si costruisce una storia sentimentale. Il figlio con un po’ di difficoltà lo capisce …

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