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IL DIAVOLO NELLA CITTA’ BIANCA OVVERO LO STRANO CASO DEL PROFESSOR LOMBROSO E DEL “DOTTORE HOLMES”

4 Nov 16

A cura di Pierpaolo Martucci

IL DIAVOLO NELLA CITTA’ BIANCA  OVVERO LO STRANO CASO DEL PROFESSOR LOMBROSO E DEL “DOTTORE HOLMES”
 

Nel 1893 Chicago – al tempo la metropoli più importante e innovativa degli States – fu scelta come sede della  Fiera Colombiana, la grandiosa Esposizione Universale celebrativa dei quattrocento anni dalla scoperta dell’America, con il quale gli USA si presentavano al mondo come nuova grande potenza. Sorse un intero quartiere in monumentale stile neoclassico – la c.d. White City – destinato a ospitare le principali manifestazioni  e l’allora Presidente Harrison la definì «il più importante evento nazionale dopo la guerra civile». Ma Chicago era anche una città dalla crescita tumultuosa, un crogiuolo dove imperversava il crimine e dove ogni giorno qualcuno spariva. Rudyard Kipling ne aveva colto il lato oscuro: «L'ho visitata di recente quella città. Ha certo carattere e dispensa talenti d'ogni foggia, non lo nego. Ma bada che è abitata da selvaggi». Comunque la Fiera Colombiana fu visitata da oltre 27 milioni di persone in sei mesi e surclassò tutte le precedenti esposizioni internazionali europee.
Fra i protagonisti di quell’evento ve ne fu uno altrettanto eccessivo: il dott. H.H. Holmes, uno dei più singolari e spietati omicidi seriali di tutti i tempi. Da oltre un anno Martin Scorsese sta preparando un film (protagonista Di Caprio) dal titolo “The Devil in the White City”, tratto dall’omonimo romanzo di Erik Larson pubblicato nel 2003, che ne ricostruisce la straordinaria vicenda (1).
Henry Howard Holmes (vero nome: Herman Webster Mudgett), soprannominato “dottor Morte” era nato nel 1861 nel New Hampshire e aveva trascorso un infanzia segnata da un padre alcolista e violento e dai difficili rapporti coi coetanei.  Studente brillante, nel 1884 si era laureato in medicina presso l’Università del Michigan. Ma più che alla terapia le abilità del giovane Herman sembrano indirizzate alle frodi assicurative: pare che già negli anni universitari avesse sottrato cadaveri dalle sale anatomiche per poi sfigurarli, in modo da simulare una morte in seguito ad incidenti e riscuotere le polizze da lui stesso accese sulle vittime.  Nell’agosto del 1886 arriva a Chicago, con il falso nome di Henry H. Holmes. Alle spalle ha un matrimonio fallito, lavori temporanei presso ospedali e farmacie, truffe, forse già degli omicidi.
Nella “città ventosa” trova un impiego in una farmacia, dimostrandosi ottimo lavoratore, tanto da conquistare la fiducia del proprietario: alla morte di costui, col denaro ricavato dalle proprie truffe, riesce ad acquistare il negozio dalla vedova, con ogni probabilità poi da lui stesso soppressa.
In seguito compra un appezzamento di terreno nei dintorni dove fa costruire secondo i suoi progetti un grande e lungo casamento di gusto modernistico, soprannominato dai vicini “The Castle” per le sue dimensioni, che si sviluppa in tre piani, con uno spazio commerciale al piano terra per la farmacia di Holmes e altri negozi e il resto attrezzato ad albergo – il Fair Hotel – destinato ad ospitare i visitatori dell’inauguranda Fiera Mondiale Colombiana.
Ha cambiato in corso d’opera capimastri e manovali, in modo da mantenere segreto il reale schema della costruzione, che trasforma in realtà la sua personale e visionaria ossessione.  Durante i lavori si lega di stretta amicizia con Benjamin Pitezel, un carpentiere con precedenti penali, che diverrà il suo complice più fidato e poi l’ennesima vittima.
La maggior parte dello straordinario edificio si sviluppava in un labirinto di camere e corridoi ricchi di false uscite, trabocchetti, spioncini occulti, porte a chiusura automatica, un castello degli orrori in cui le persone potevano essere uccise e fatte sparire in segreto.  Esistevano vere e proprie camere a gas, con erogatori nascosti collegati alla rete di distribuzione, stanze blindate ed insonorizzate dove i prigionieri  morivano di sete e di fame e nelle cantine erano approntati un laboratorio di dissezione, vasche di acido e addirittura un efficiente forno crematorio.
Nell’hotel-trappola di Holmes scompaiono a decine viaggiatori, semplici turisti giunti a Chicago per l’Esposizione Universale ma anche amanti occasionali del proprietario, e suoi dipendenti, in prevalenza donne sole che erano state assunte a condizione di stipulare un’assicurazione sulla vita a beneficio del datore di lavoro. I corpi, trasportati con montacarichi nelle cantine, vengono scarificati, le parti organiche bruciate nel forno o dissolte in acido e gli scheletri ripuliti venduti alle Facoltà di Medicina, in una linea quasi industriale di sfruttamento economico. Al processo il “dottor Morte” confesserà 27 omicidi (9 dei quali accertati), con la stampa si vanterà di oltre 130 assassini ma alcune stime, basate su testimonianze e analisi delle denunce di persone scomparse, giungeranno ad ipotizzare fra le 150 e le 200 vittime.
Con la sua meticolosa organizzazione tecnologica e concentrazionaria, il “Castello”, più che rievocare manieri gotici alla Walpole, sembra una allucinante prefigurazione su scala ridotta degli stermini di massa dell’incombente “secolo breve”.  Holmes si diletta anche di praticare dissezioni, poiché si considera comunque uno scienziato e sino all’ultimo pretenderà di essere chiamato “dottore”.
Nonostante i notevoli introiti ricavati dai suoi delitti, per la crisi economica successiva alla fine dell’Esposizione Colombiana Holmes si trova in difficoltà, accumula debiti e preferisce lasciare Chicago, dove poco dopo il suo “castello” viene distrutto da un incendio, quasi certamente doloso. Inizia un vagabondaggio fra Stati Uniti e Canada, segnato da truffe assicurative e nuovi omicidi, ma ormai le compagnie si insospettiscono e ingaggiano dei detective per le indagini. Dopo alterne vicende, il “dottor Morte” – su segnalazione di investigatori dell’agenzia Pinkerton – viene infine arrestato a Boston il 17 novembre 1894. Nel corso degli interrogatori e poi del processo, viene alla luce la reale natura della sua spaventosa carriera criminale, che polarizza l’attenzione della stampa americana.
Nelle udienze il serial killer alterna confessioni a ritrattazioni, descrizioni veridiche a menzogne palesi e sfrutta la sua enorme notorietà  vendendo a caro prezzo – pare 10.000 dollari (2) – il proprio memoriale al gruppo editoriale Hearst. 
A questo punto interviene uno sviluppo paradossale e sconcertante e la tragica vicenda  si intreccia con la criminologia di oltre oceano, chiamando in causa Cesare Lombroso.
Succede che, falliti gli espedienti difensivi, Henry Holmes tenta di giustificare la propria condotta alla luce delle categorie criminologiche lombrosiane, ben note negli Stati Uniti, dove riscuotevano consensi anche superiori a quelli ottenuti in Italia. Basti ricordare che gli scritti del padre dell’antropologia criminale erano ospitati su testate di rilievo come il New York World ed il New York Journal; quest’ultimo, che arrivava a ben 600.000 mila copie giornaliere, ripubblicava regolarmente e “sempre nel posto d’onore” quanto Lombroso scriveva sui giornali italiani (3). 
Anni dopo lo stesso Lombroso rievocherà la vicenda nel volume Delitti vecchi e delitti nuovi (4) dove un cospicuo capitolo è intitolato “Il dottore Holmes” ed è interamente dedicato alla storia di colui che l’autore  riconosce come «certo il più grande e anche il più moderno delinquente del secolo» , ovviamente alludendo all’Ottocento.
Nel capitolo così riassume la cosa: «Di un ingegno straordinario, dopo aver tentato di negare tutto, vistosi schiacciato dalla risultanza dei fatti, tenta un metodo geniale di difesa come geniali erano i suoi metodi di offesa. Si fa radere la barba, si procura i libri della nuova Scuola penale italiana (…) e combina una strana difesa autobiografica, di cui disgraziatamente io posseggo solo un sunto, dove egli trova in sé tutti i caratteri del delinquente-nato; quindi aumenta a dismisura e inventa di sana pianta inconcepibili delitti, si dichiara pazzo morale e irresponsabile, pretende siangli sorte anomalie craniane (stenocrotalia ed acrocefalia) durante la dimora in carcere ».
Ma questa strategia non riscuote alcun credito e da ultimo Holmes giunge a sostenere di aver sempre agito sotto l’influenza demoniaca. Condannato a morte, viene impiccato il 7 maggio 1896; la sua agonia dura un quarto d’ora, perché il boia non ha preparato bene il cappio.
Lombroso non era certo nuovo all’incontro con gli omicidi seriali, a partire dalla perizia su Vincenzo Verzeni, il contadino strangolatore di donne nelle valli bergamasche, condannato ai lavori  forzati nel 1873, la cui figura,  più di qualsiasi altra prima e dopo, a costituì verosimilmente il prototipo del pazzo atavico con gli istinti del carnivoro predatore.
Ma oltre vent’anni dopo, il grande criminologo rifiuta recisamente di attribuire al serial killer americano – che la rivendica – l’etichetta del delinquente nato. E lo fa non senza una nota di humor nero: «Lo strano, però, è, che malgrado tutta la sua buona volontà e malgrado sia un delinquente così consumato, egli non ne ha il tipo».
Con rammarico, ma fedele al proprio ideale di onestà scientifica ammette «Percorrendo infatti avidamente tutti i documenti che concernono questo terribile criminale, alcuni dei quali inviatimi da persone amiche, ho dovuto convincermi che molti di questi caratteri che io assegno ai delinquenti-nati non si ritrovano in questo, che ne è uno dei modelli più straordinari(…)».  Né lo aiutano le fotografie di Holmes dove «in complesso, però, vi è una scarsità di caratteri degenerativi che certo non sono in proporzione con le anomalie morali (…)». Quanto agli scritti «mancano – cosa ancor più singolare – i caratteri grafologici dell’assassino; mancano i tratti troppo energici della penna, le lettere pastose (…) Nella sua calligrafia in complesso presenta caratteri comuni a una persona intelligente, colta ed energica».
La spiegazione per Lombroso è un’altra: si tratta di un genio delinquente e – come molte volte egli ha scritto trattando dei rapporti fra genio, delitto e follia (tema da sempre prediletto) – «negli uomini di genio manca il tipo».  E se mancano i caratteri fisici del criminale – egli nota «non mancano però quelli psichici», oggi parleremmo di disturbi di personalità. Inoltre, potrà essere l’autopsia a far emergere anomalie esternamente non evidenti: «questi non si possono vedere se non dopo la morte».
Tuttavia, al di là dello sforzo di ricondurre comunque il caso straordinario nei confini del suo confuso modello teorico, Lombroso non nasconde la sua fascinazione per un vero supercriminale, il quale «compendia il massimo dei mezzi scientifici che può dare la scienza moderna ad un uomo per fare il male: arte medica; scienza chimica e tossicologica; abilità grafica; conoscenza del meccanismo d’una delle più moderne trovate che sono le assicurazioni. Egli è uno scellerato di genio che rappresenta col delitto quel progresso che hanno fatto le popolazioni degli Stati Uniti ».
Infine, dando ancora prova di quella capacità di “induzione illuminante” (5) che segna il tratto più originale del suo pensiero, Cesare Lombroso coglie la densità metaforica di quel protagonista oscuro del “sogno americano”: «Holmes rappresenta un elemento nuovo, modernissimo»,  in lui «lungi dall’essere atavico, prevale, fino a un certo punto, l’uomo fin de siècle, l’avido, l’individuo, più che crudele, bisognoso della potenza che dà l’oro».
Ormai alla vigilia del Novecento e di ben altre fabbriche della morte, il dottor Holmes – proprio come il Monsieur Verdoux del film di Chaplin – avrebbe ben potuto congedarsi dai suoi accusatori, i giudici e i giurati che lo condannano alla forca, con un sarcastico «A ben rivederci, a presto, molto presto».
 

NOTE
(1)   Larson E.,  The Devil in the White City, New York: Doubleday, 2003;  Borowski, J., The Strange Case of Dr. H. H. Holmes. West Hollywood, California: Waterfront Productions, 2005.
 
(2)   Mayo M., American Murder: Criminals, Crime, and the Media. Canton (MI): Visible Ink Press, 2008, p.242.
 
(3)   Forno M.,  Scienziati e mass-media: Lombroso e gli studiosi positivisti nella stampa tra Otto e Novecento, in S. Montaldo (a cura di), Cesare Lombroso. Gli scienziati e la nuova Italia, Bologna: il Mulino, 2010.
 
(4)   Lombroso C., Delitti vecchi e delitti nuovi. Torino: Bocca, 1902.
 
(5)   Verde A., Pastorelli M.,  “Il professor Lombroso e la donna delinquente: il fallimento di un metodo”.  In Rassegna Italiana di Criminologia, 1998,  579-609.

 
Il testo riprende parti della relazione presentata al XXX° Congresso Nazionale della Società Italiana di Criminologia (Firenze 24-26 ottobre 2016) con il titolo “Delitti vecchi e delitti nuovi. La criminalità non convenzionale nelle intuizioni dei lombrosiani”.

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