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Il fermento nella psicoanalisi

11 Nov 21

A cura di Francesco Bottaccioli


Il variegato mondo della psicoanalisi è in pieno fermento e cominciano a uscire “distillati” di rilievo. Due in particolare, ad opera di eminenti studiosi, come Otto Kernberg e Morris Eagle.
Il primo, molto noto anche agli studenti di psicologia per le sue ricerche sul narcisismo, del quale è uscita un’ampia intervista in forma di libro a cura di Manfred Lutz, Dottor Kernberg a che serve la psicoterapia? Cortina, Milano 2021, che non tratteremo in questa sede.
 il secondo, meno noto, ma di indubbio rilievo nel panorama internazionale.
Su Eagle c’è una biografia puntualissima, com’è nel suo costume, di Paolo Migone, condirettore della rivista Psicoterapia e scienze umane, il cui comitato di redazione include lo stesso Eagle http://www.psychomedia.it/pm/modther/biogr/eagl-bio.htm.
Immagino che Migone, leggendo l’ultimo libro di Eagle Toward a unified psychoanalytic theory Foundations in a revised and expanded Ego psychology, si sia dovuto ricredere su quella che a suo avviso sarebbe la caratteristica fondamentale del lavoro dello psicoanalista americano. Infatti Migone scrive “Eagle non è mai stato particolarmente interessato a formulare una specifica teoria psicoanalitica. Piuttosto, il suo principale ruolo è stato quello dell'interprete e del critico puntuale delle varie teorie.” In realtà, questo libro ha come obiettivo proprio quello di formulare una specifica teoria psicoanalitica. O, meglio, ha l’ambizioso obiettivo di “unificare la teoria psicoanalitica” come recita il titolo. Perché? E come?
Perché la psicoanalisi, anche secondo Freud, è soprattutto una teoria della mente. Il suo principale lascito alla posterità, scrive Freud, sarà soprattutto questo e non tanto un peculiare trattamento psicoterapeutico. Eagle constata che, nell’ultimo mezzo secolo, l’enfasi posta sulla clinica ha messo in secondo piano il ruolo della teoria, anche detta “meta-psicologia”. Anzi, per alcuni studiosi come George Klein, che è stato anche uno dei maestri di Eagle, se la psicoanalisi si concentra sulla meta-psicologia va a confondersi con la psicologia accademica. In realtà, come ricorda Eagle, per Freud “la psicoanalisi è parte della psicologia, non della psicologia medica, nel vecchio senso, non della psicologia dei processi patologici, ma semplicemente della psicologia” (Freud 1926, cit. in Eagle, p. 2). Questo approccio, secondo Eagle, è stato sviluppato dalla Psicologia dell’Io di Hartmann e Rapoport, che ha avuto un importante ruolo nel movimento psicoanalitico, ma la cui influenza è poi venuta scemando fino a vanificarsi. Ed è da qui che Eagle vuole ripartire per costruire una teoria unificata per la psicoanalisi.
Il libro quindi si concentra in una rielaborazione, correzione ed espansione della Psicologia dell’Io.
I punti di partenza sono, inevitabilmente, Freud e Hartmann. Il primo per il ruolo di “mediatore” che attribuisce all’Io, stretto tra l’inconscio e il super-io. La funzione fondamentale dell’Io, che s’impegna ad esercitare, nel corso dello sviluppo, in modo sempre più raffinato, secondo Freud, è quella di inibizione degli impulsi e dei desideri che vengono dall’Es. La maturità dell’Io (o dell’ego, secondo la dizione usata da Eagle) in Freud è strettamente connessa alla sua capacità di inibizione e di controllo degli impulsi istintivi (p. 89).
Hartmann, pur negando la dipendenza dell’Io dall’Es e rovesciando la supremazia freudiana del principio del piacere subordinandolo al principio di realtà, ad avviso di Eagle, mette in primo piano “la flessibilità dell’Io”, come “organo dell’adattamento”. Ci possono essere disturbi da carenza di controllo e di inibizione degli impulsi, scrive lo studioso, ma anche un eccesso di inibizione è fonte di patologia e segnala una debolezza di fondo dell’Io. È per questo che il concetto hartmanniano di adattamento è da condividere, ma non basta.
Qui Eagle sviluppa una serie di critiche alla tradizionale Psicologia dell’Io che lo conducono, nel corso delle 300 pagine del volume, in un confronto puntuale con tutte le principali correnti psicoanalitiche contemporanee (da Kohut a Mitchell a Green, solo per citare i più noti), alla nuova teoria unificata.
D’ indubbio interesse l’affermazione di Eagle che la psicoanalisi, nella sua varietà, non ha una adeguata teoria delle emozioni e degli affetti e delle loro relazioni con la motivazione Non c’è in Freud, che attribuisce alla scarica dell’eccitazione, dovuta alle pulsioni, il primato degli affetti sulla motivazione. Ma non c’è nemmeno nei leader della nuova psicoanalisi, scrive Eagle, portando come esempio il fatto che le parole “emozioni” e “affetti” non compaiono negli indici analitici dei libri di Kohut e di Mitchell (p. 184 e sgg.). La psicoanalisi ha bisogno di una adeguata teoria degli affetti e per questo Eagle si cimenta nell’analisi di due categorie fondamentali: l’inconscio e le relazioni.
Sull’inconscio, Eagle, da un lato, rifiuta la visione di Groddeck, accettata da Freud, secondo cui “noi siamo vissuti dal nostro id” (inconscio), dall’altro, prova a reinterpretare il programma freudiano riassunto nell’affermazione “dove c’è l’Es (inconscio) deve subentrare l’Io”.
Per il fondatore della psicoanalisi, coerentemente con la sua teoria pulsionale che vede l’inconscio come crogiuolo di passioni e istinti ribollenti, il lavoro dell’Io è un lavoro di bonifica dei territori inconsci e di loro annessione al proprio dominio. Per Eagle, l’Es, invece, è tutto ciò che è impersonale ed estraneo all’Io: esperienze e contenuti mentali che possono presentarsi come minacciosi per l’Io, che quindi deve lavorare per integrarli, per renderli propri e non più estranei.
Emerge la centralità che Eagle assegna all’Io inteso come soggetto. Qui si misura la distanza che separa la sua concezione da quella della psicoanalisi relazionale, che, certamente, scrive nelle pagine finali del libro, ha messo in luce carenze ed errori della tradizionale psicologia dell’Io, che non considerava la centralità delle relazioni nella costruzione dell’Io. Tuttavia, “benché gli stati della mente e dell’Io possono variare nel tempo e nelle situazioni, la personalità consiste di rappresentazioni e strutture (modelli interni di lavoro, schemi relazionali, pensieri e aspettative) che sono relativamente stabili e resistenti al cambiamento” (p.287). Ironicamente, conclude Eagle, benché l’inconscio sia, storicamente, la caratteristica distintiva della teoria psicoanalitica, ciò che rende rilevante e “forse indispensabile” la psicoanalisi per la costruzione di una adeguata teoria della natura della mente “è l’esistenza di una esperienza soggettiva”. “L’io, l’elemento personale devono essere al centro della teoria” (p.288).
Alla fine della lettura di questo studio, denso e ricco della lunga esperienza e della originale teorizzazione dell’Autore, provo a sintetizzare la mia riflessione principale.
Penso che Eagle, con i suoi libri (tra i quali segnalo Core Concepts in Contemporary Psychoanalysis, Routledge 2018, antecedente e preparatorio dell’attuale), stia dando un contributo rilevante alla centralità della riflessione teorica. La psicoterapia e la psicoanalisi in particolare hanno molto sofferto del predominio della clinica o, meglio, della generalizzazione delle esperienze terapeutiche del singolo studioso. È urgente, è ora di ripartire dai fondamenti, contrastando la tendenza ad affidarsi all’empirismo e all’eclettismo clinico e ad accantonare la riflessione e il dibattito sui nodi della teoria e della prassi psicologica, come scriviamo nel documento della Commissione nazionale Sipnei Discipline mentali (vedi Pnei Review 2021; 1: 12-69).
In questo quadro, l’analisi critica di alcuni concetti fondamentali della psicoanalisi classica che Eagle ci consegna è un contributo rilevante. La sua critica esplicita all’istintivismo e alla teoria delle pulsioni che arriva fino ai contemporanei (vedi le pagine taglienti dedicate su questo punto a Green) e l’accoglimento della centralità delle matrici relazionali, fin dalle prime fasi della vita (Bowlby), per la costruzione dell’Io e della personalità, ritengo siano un punto fermo per  tutti gli studiosi della psicologia.
Tuttavia, Morris Eagle, in questo libro, non esce dal riduzionismo psicologico. Rimane ancorato a un’analisi del soggetto disincarnato, anche se, ripetutamente, afferma che gli apporti delle scienze non psicologiche sono fondamentali per una nuova teoria della mente. Nella disamina sugli affetti e sulla motivazione non c’è l’essere umano intero, non c’è sullo sfondo la storia dell’organismo umano sessuato, non c’è un esame della motivazione e quindi dell’agency soggettiva all’interno delle relazioni che l’organismo stabilisce con il contesto. È l’organismo intero, infatti, non l’Io, che si adatta. È il network psicobiologico che persegue l’allostasi, cioè la ricerca della stabilità tramite il cambiamento. La soggettività, l’identità della persona sono espressione della dialettica relazionale interna al network e tra esso e l’ambiente fisico e sociale, storicamente determinato.
La rivoluzione in psicologia e in psicoanalisi, che giustamente rivaluti il soggetto e il suo ruolo, ci pare debba necessariamente passare da qui, recuperando i tentativi del Novecento (Reich, Fenichel, Goldstein, Alexander, Fromm, Vygotskij, Lurija). 
 



[1] Questa recensione fa parte della sezione Recensioni del n.2/2021 di Pnei Review (in press) a cura dell’Autore che discute anche testi di Vineis, Levi Sullam, Piccolino, Harrington

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